Gli Aztechi raccontano prodigi e crimini del capitano Cortés

Gli Aztechi raccontano prodigi e crimini del capitano Cortés La «Conquista» del Sud America dalla parte dei vinti Gli Aztechi raccontano prodigi e crimini del capitano Cortés ABBIAMO tutti un'idea più o meno crìticamente fondata di come siano andate le cose In Messico negli anni della Conquista: luci ed ombre sparse nelle testimonianze dei primi «osservatori» del vecchio continente (sì, certo, invocando talora lo stato di necessità in questa o quella carneficina e stendendo un velo di misericordia sulle debolezze di chi si partiva dà paesi lontani e rischiava la vita a gloria del re di Spagna e, in subordine, di Cristo) consentono di iscrìvere la fine degli Aztechi nel più vasto tramonto delle civiltà precolombiane. Un evento, pare, programmato in cielo e in terra, che doveva compiersi a dispetto di ogni strategia di difesa, stando al bilanci storiografici che hanno tenuto banco per qualche secolo. La voce di vincitori ha insomma risuonato a lungo, pressoché incontrastata, sin dalle Cartas de relacióv. di Hernàn Cortes indirizzate a Carlo V, alla pari con le trombe-da-fuoco (cosi gli indigeni chiamavano le micidiali bombarde e colubrine) e i solenni passi del Vangelo. Gente d'arme e gente di chiesa, etnografi, cosmologi, eruditi di qualsivoglia disciplina provenienti da Siviglia o da Salamanca, una volta sbarcati sulle coste di Cozumel o di Veracruz, non riuscivano a contenere una voluttuosa eccitazione salvifica che in circostanze ordinarie sarebbe parsa demoniaca: rimodellare la coscienza di popoli a complessa struttura idolatrica, sovente in dissidio tra loro e comunque emarginati nel disegno eurocentrico di Nostro Signore; sgombrare l'orizzonte di grottesche simbologie e incamerare con lodevoli distinguo quei beni che erano stati ipotizzati dal Conquistador un po' per alleggerire i costi dell'impresa, un po' per rafforzare il prestigio della madrepatria, un po' a beneficio dei nativi tecnologicamente incapaci di valorizzarli. Bisognerà attendere i recenti decenni perché lo stereotipo venga sfrangiato, se non rovesciato, grazie alla trepida voce dei vinti colta dal vivo o trasmessa — sia pure con inevitabili scarti semantici e le giunture del restauro filologico — nel Libro XII del Codice Fiorentino, nel Codice Aubin o Codice del 1576, ne Gli annali storici di Tlatelolco, nel Codice Ramìrez, nella Storia di Tlaxcala e nella Storia delle Indie della Nuova Spagna. Oggi quel remoto accento di angoscia e di meraviglia possiamo riascoltarlo in un'antologia di eccezionale Interesse, Racconti aztechi della Conquista, pubblicata da Einaudi a cura di Pier Luigi Crovetto e con due saggi magistrali di Tzvetan Todorov e Georges Baudot. Parte del testi in lingua nahuatl, parte in cast igliano, dav. ,vero non si fa torto a nessuna delle fonti se affei* miamo che sono le narrazioni raccolte da fray Bernardino de Sahagùn nel quinquennio 15501555, e che appunto costituiscono 11 Libro XII del Codice Fiorentino, a esigere un surplus di riguardo. Accento di angoscia e meraviglia, dicevo poc'anzi; e va subito aggiunto: infinita angoscia, dolorosa meraviglia. Colpisce infatti nell'onda emotiva di chi rammemora esperienze appena vissute (e fra}' Bernardino, sbobinando, ne salvaguarda fonemi e paratassi grammaticale, iterazioni, interpolazioni, allucinazioni) il cupo in¬ terrogativo del singolo e della collettività: chi sonò questi esseri dalle barbe gialle o grigie racchiusi nei loro scafandri di metallo? Donde vengono? A qual fine? E ancora: quale castigo hanno inteso infliggere gli dèi a noi fedeli nel permettere che gli Spagnoli abbiano attraversato il Mare Oceano e adesso uccidano, all'affino, si spingano sugli altipiani? Solo per un residuo pudore di credenti si astengono dalla temeraria illazione: precipiteranno essi stessi, gli antichi dèi, sotto 1 colpi degli stranieri onnipotenti. Onnipotenti e cioè ultraterreni li ritiene del resto l'allibito sovrano azteco Motecuhzoma. Onnipotenti, all'occorrenza democratici, che volentieri si nutrono di bianche focacce di mais, di tacchine, di carrube, di abogados; che accolgono in scarificlo leggiadre fanciulle, e il cui Capo Celeste, il dio-Marchese, il dio-Capitano Cortes, si compiace di scegliere tra le venti donne offerte dai sacerdoti maya di Tabasco colei che sarà la fissa compagna di letto, oltre che preziosa interprete: Malintzin, presto battezzata dona Marina. In più occasioni, verosimilmente, fray Bernardino de Sahagùn avvampa di sdegno, sgrana il 3UO rosario e si appella alia Vergine del Pilar per esempio, allorché gli informatori di Tlatelolco raccontano del plurimi inganni di Cortes, dell'irruzione nella dimora di Montecuhzoma, del massacro nel tempio di Quetzalcoatl o del terrore che diffondono i compatrioti ovunque sene "avverta' il pasto"; talché neppure un uomo, nessun uomo del popolo ardiva uscire per via... nessuno osava batter ciglio; quasi s'aggirasse colà una famelica fiera, quasi morta fosse la terra...: Se però dal 1519 al 152S battaglie e tregue, patti e violazioni di patti provvedono a rimpicciolire la statura degli invasori; se le diverse etnie e i profondi contrasti politici nei territori occupati favoriscono enormemente il cammino dei conquistadores; se infine il respiro mitico delle «gesta» fatalmente si affievolisce nell'in¬ treccio di misfatti già «tipici» nella storia umana, intatto resta l'incipit/Iella Conquista, ossia il concerto di prodigi, di divinazioni, di segni di sventura che paralizzano l'immaginario azteco all'antivigilia dell'invasione. La disparità delle fonti—si confronti quella di fray Bernardino e quella del meticcio Munoz Cam argo o quella del domenicano Diego Duràn — non attenua, tranne minime varianti, la sindrome dell'attesa: fulmini che si scaricano in luoghi sacri e perciò considerati inviolabili; urla di una donna d'ignora identità nelle notti di tempesta: 'Oh, figli miei! Ormai siamo perduti! Dove potrò portarvi? Dove potrò nascondervi?»; raggi luminosi emessi da strani organismi nello spazio ; una cometa che sfreccia dall'oriente verso l'occidente e cade a pezzi; improvvise fiamme a mezz'aria; acque di lago che vengono su a bollore... A ogni annuncio il povero Motecuhzoma sussulta e mobilita 1 suoi indovini. L'informatore di fray Bernardino sembra abbia una particolare dimestichézza con la sconvolta psicologia del sovrano là dove ribadisce: -Non conosceva il sonno né il cibo. Era come se fesse in continua afflizione; quasi si sentisse stancò di una stanchezza mortale; più non conosceva sapori né piaceri ne raffinatezze». Invano Motecuhzoma raddoppia i consulti, minaccia o blandisce stregoni, uomini-gufo, incantatori. Chi si affida al poteri occulti ha la sensazione che i filtri magici vengano intercettati e ridicolizzati a distanza dal barbuti extracontinentali, se non proprio extraterrestri, in felice navigazione. È dure e nobili, di una nobiltà biblica, sono le parole che gli rivolge un altro re, il rassegnato Nazahualpilli, negromante di gran rispetto: «Possente e magnifico signore, molto amerei non dar pena al tuo cuòre magnanimo e sereno; ma a ciò mi muove l'obbligo che ho di servirti. E così t'informo che di qui a qualche anno te nostre città saranno rase al suolo, noi e i nostri figli uccisi, i nostri vassalli annientati...: E quando finalmente alle premonizioni seguono le «apparizioni» e i messaggeri tornano trafelati alla reggia e descrivono capigliature e corporature degli Spagnoli, gli abiti che indossano, il cibo che divorano, gli ordigni che li proteggono, i cani «dai ventri magri, dai ventri striati» che 11 precedono e li seguono, la realtà non serve a vincere il sogno. Motecuhzoma resta preda dei suoi incubi: come se un profeta del Millenium o un Giovanni di Patmos in panni esotici lo illuminasse a intermittenza sulla futilità di resistere al nuovo corso. Discontinui, abnormi e spesso infantili sono di fatto 1 comportamenti del re fino alia prigionia e alla morte avvenuta il 27 giugno 1520. Tre E giorni prima che gli Spagnoli fossero costretti a ' ruggire dal Messico subendo gravi perdite e alimentando nell'epos la famosa «Notte triste» di Cortes. Che in nulla, s'intende, avrebbe modificato il destino degli aztèchi, ma che forse avrebbe, concesso un'illusione di potenza a chi non aveva più divinità presso cui rifugiarsi. Giuseppe Cassieri «Racconti aztechi della Conquista», a cura di P. L. Crovetto, con scritti di Todorov e Baudot, Einaudi, 311 pagine, 40.000 lire.

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