Cara Mathilde, la mia arte ha bisogno di lei

Cara Mathilde, la mia arte ha bisogno di lei Cara Mathilde, la mia arte ha bisogno di lei Pubblichiamo in anteprima, per concessione dell'editore, una lettera di Wagner a Mathilde Wesendonk. Martedì di Pasqua, 26 aprile 1859 OGGI finalmente è una mattina che promette bene: vedremo, se il giorno continuerà cosi. La vostra letterina e il bel lem-' po l'hanno fatto cominciare molto bene. Di ciò vi ringrazio! Nell'insieme mi sento un po' pigro di spirito e scontento. Da troppo tempo sono immerso In questo lavoro, e sento troppo che la mia capacità produttiva continua a nutrirsi soltanto dei germogli e della fioritura che un breve periodo ha fatto sbocciare In me, come un temporale fecondo. Non riesco più veramente a creare; ma quanto più durerà questa condizione, tanto più dovrò sentirmi felice, se tutto questo avrà lo scopo di mettere in azione la mia riserva interiore, e questi stati d'animo non possono essere indotti dalla riflessione, come molti altri, soprattutto riguardo al mondo. Ogni giorno lavoro, ma poco e per breve tempo, come avviene per gli sprazzi di luce; spesso preferirei non fare niente del tutto, se non fossi spinto dall'orrore di una giornata completamente vuota. Ognuno di noi ba il suo problema particolare. Ormai non si conduce più una vita naturale; per tornare a essere seminaturale, la vita dovrebbe essere molto più artificiale, più o meno come la mia opera; anch'essa non si ritrova nella natura e nell'esperienza, ma riceve una nuova vita, più elevata, proprio dall'applicazione più completa dell'arte. Ma pensate, dacché mi trovo qui non sono ancora riuscito a decidere di riprendere in mano il secondo atto, cosi che esso è già dietro di me come un sogno indistinto. Non provo alcuno stimolo, attorno a me tutto tace, e l'unico elemento in cui ormai devo e posso vivere mi manca totalmente. Perché lo possa progredire, la mia arte, con tutte le sue influenze e ripercussioni, dovrebbe essermi costantemente vicina, fino all'ebbrezza, fino all'oblio totale di me stesso. Invece, in realtà, dinanzi a me c'è sempre soltanto la vita, quella vita in cui svolgo un ruolo così triste, cosi innaturale. Essa non è come dovrebbe essere; e se voglio salvare la mia volontà, dovrò soccorrermi con una certa ostinazione. Nulla si crea spontaneamente da sé, neppure la mia produzione artistica. E* come se anche il «Tristano» non mi desse più alcuna vera gioia: avrebbe dovuto essere terminato almeno dall'anno scorso. Ebbene, gli del non l'hanno voluto! Ormai me ne occupo soltanto con la sensazione di doverlo terminare, perché altrimenti tutto finirebbe d'un tratto, all'improvviso. C'è violenza in questo. Tutto ciò ha un che di lamentoso, non è vero? Forse II brutto tempo ha gran parte delia colpa, e forse ne ha colpa anche una partecipazione alla qualità che abbiamo trovato nel Tasso, di una forza cosi pura. Ma mi è sempre di sommo conforto sapere di poter essere del tutto sìncero, e soprattutto di non volermi nascondere nulla. Dunque accetto anche questa triste verità; e questo mi dà un po' di coraggio, cosi come già il fatto d'averne parlato con voi, perché so d'essere ancora più sincero con voi che con me stesso. Ma — forse non dovrei affatto parlarvi di cose simili. Potrebbero Inquietarvi, e perché inquietarvi? Non sarebbe bello per me sapere che non vi ho dato preoccupazione alcuna? Ma anche se vi illudessi? Tutto sarebbe di nuovo vano e inutile: e come potrebbe allora tarmi bene sapervi tranquilla? Non c'è niente da fare: bisogna potere) confessare tutto, Jutta la miseria dell'esistenza e del mondo per poter godere dell'unico bene che c'innalza al di sopra di questa miseria. Tale è la mia filosofia, e riguarda anche coloro che cercano di rendersi sopportabile la vita non volendo vedere le sue brutture o volendo nasconderle. Ciò che poi dannò a intendere di godere è e resta soltanto l'autocompiacimento della loro illusione: chi invece pensa diversamente sa che cosa può renderlo felice, e cioè il superamento del dolore, la sola cosa che dà forza, fierezza e—piacere. R.W. p p

Persone citate: Tristano