Dobbiamo fare film «sociali» di Cesare Zavattini
Dobbiamo fare film «sociali» Dobbiamo fare film «sociali» Per gentile concessione dell'editore Bompiani, pubblichiamo alcuni passi da «Una, cento, mille lettere» di Cesare Zavattini A René Clair Roma, 30 maggio 1956 Caro Clair, venni a Cannes per ventiquattro ore e speravo di incontrarla. Per ringraziarLa a voce dell'autoritrattino che Maria mi consegnò. 2' un magnifico regalo, e ora sta qui sulle pareti di casa mia tra i quadretti che faccio vedere con maggiore orgoglio. Mi diverto a domandare agli amici chi è questo pittore? Ma vedo che La riconoscono subito — infatti la somiglianza è perfetta — anche se esitano a fare il suo nome, essendo lontani dal supporre guest 'altra sua così abile arte. Ebbi occasione, proprio al Congresso di Parigi di parlare de Le grandi manovre. Svolsi la tesi che in questo momento che considero di emergenza, dovevamo tutti unirci per fare dei films di carattere sociale, a ogni costo di carattere sociale. Uniamoci, dissi, per un anno, impegniamoci quasi contrattualmente a fare dei films che meritino, in senso stretto, la qualifica di films utili all'uomo di oggi. E spiegai che cosa intendevo per utilità in senso stretto e non in senso lato. Chiamai questo anno speciale, cui invitavo i cineasti di tutto il mondo, •l'anno del grande esperimento'. E proposi pertanto un bollettino che avesse la urgenza e la frequenza dei bollettini di guerra, perché oggi la battaglia contro la censura si può fare solamente cercando di aumentare il numero non dei film belli, ma dei films utili — i quali non sono a priori brutti su un piano estetico. Perché mi comprendiate subito—continuai — vi parlerò di un capolavoro che ho visto recentemente, e l'ho visto due volte sempre con uguale ammirazione: Le grandi manovre di René Ciair, nelle quali questo uomo che ho sempre considerato un maestro si rivela ancora un maestro e sempre un maestro. Sembra di entrare in un giardino guardando il film Ma questo capolavoro non lo vedrei nel tabellone dei films utili in senso stretto. So benissimo che ogni cosa espressa con sincerità e con stile è bella e utile e che oltre il mio punto di vista si apre l'infinito. Ma la mia odierna interpretazione politica del cinema (non esito a chiamarla politica) si muove tutta nel finito, nell'immediato. /.../ A Giuseppe Maratta Roma, 10 maggio 1946 Caro Maretta, le solite due righe dettate al volo. Molto bello il tuo pezzo, mi piace in ogni riga e conferma il grado eccellente che hai raggiunto con una perfetta fusione tra forma e. contenuto. [...] Circa Sciuscià lo so che è piaciuto a Milano. Purtroppo non appare nel titolo che il soggetto è mio, solamente mio. Con leggerezza permisi che si facesse di ogni erba un fascio, avendo io lavorato poco nella sceneggiatura. Ma ora non sole non lo si può più dire se non in privato, ma si ha il dovere di non dirlo e di accettare il fatto compiuto. Scrissi quel soggetto in condizioni non comuni, esattamente in quattro ore dietro compenso di 30.000 lire. Alle diciassette mi misi al tavolo. Erano giorni nei quali ero impegnato per altre imprese e siccome De Sica stava per ritirarsi dal film per il quale Viola aveva scritto una brutta trama, io dissi a De Sica e al suo produttore: posso dedicarvi solo quattro ore oggi nel pomeriggio. Se mi viene l'idea mi pagate, altrimenti no. Telefonami alle diciassette e ti dirò se mi è venuta l'idea. Fui fortunato, . in quattro pre scrissi le diciannove pagine del soggetto di Sciuscià con l'intenzione morale che fa da spiedo a tutto il film della solitudine dei ragazzi e con la storia del cavallo come matrice sino dal primo fotogramma di tutti gli avvenimenti sentimentali ecc. Ma ripeto, tutto ciò deve restare, almeno per ora, nel segreto del mio cuore; so che un giorno o l'altro, De Sica o altri ristabiliranno la verità Ma vale la pena? Ecco la domanda òhe mi pongo tutte le volte che sto per incominciare delle polemiche con qualche cinematografante, come avvenne con il mefitico De Benedetti, asso n. 1 della mediocrità spirituale che ha sempre cullato il nostro cinema. Basta, è giusto che il cinema mi dia solo dispiaceri, comesi conviene per chi ha li-adito la vera madre. Ecco perché io ti invidio, caro Maratta e credo t ì addolori ingiustamente. Tu hai continuato a scrivere e ne raccogli i frutti. Ti prometto che appena possibile ti manderò qualcosa per il tuo Film d'oggi, che mi sembra sempre piùben fatto. Quel Risi che- mi segnalasti è senza dubbio un ragazzoin gamba. Cesare Zavattini
Persone citate: Cesare Zavattini, De Benedetti, De Sica, Giuseppe Maratta, Maratta, René Ciair, René Clair
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