Quando Voltaire lavorava per il re di Prussia

Quando Voltaire lavorava per il re di Prussia I ricordi del filosofo alla corte di Federico II e una biografia del sovrano scritta da Venhor Quando Voltaire lavorava per il re di Prussia SONO davvero divertenti le memorie di Voltaire sul rapporto fra lui stesso e il grande re di Prussia, ripubblicate dalle Edizioni Studio Tesi con il titolo Vita di Federico II. Uno di quegli aurei libretti, che vale leggere la sera ad alta voce con gli amici, un po' per ridere delle arguzie e delle malignità e un po' per rifletterci se-' riamente sopra. Voltaire scrisse per prendersi un vendetta, dopo che le relazioni con Federico si erano voltate male. Si tratta, dunque, di tutt'altro che di uno studio accademico, bensì di uno straordinario documento dello spirito di Voltaire, ora caustico, ora lievemente maligno, ora pesantemente calunniatore, sempre intellettualmente superiore: così superiore che finisce per restituire al re con una mano quella grandezza che con l'altra vorrebbe togliergli. Questa Vita è la storia di una relazione cominciata su note sublimi e finita nelle male parole e nei mali atti. Poche righe per chiarire. Voltaire nel luglio del 1750 va in Prussia, accolto da Federico, re dal multiforme ingegno, nel modo più entusiastico. Riceve parecchi soldi e onori, che gli piacciono moltissimo. Il principe delle lettere trionfa a Berlino e a Potsdam. E si fa maestro di scrittura del già letteratissimo Federico. Poi si impegola in equivoche speculazioni finanziarie con l'usuraio ebreo Hirsch e subisce un processo. Federico si oscura e lo rimprovera. Tutto viene però cancellato, perdonato. Fino a che Voltaire non prende senza pietà per i fondelli Maupertuis, presidente dell'Accademia delle Scienze di Berlino. Federico in privato ride con Voltaire sino alle lacrime. Ma quando questi fece pubblicare in maniera ano- nima la sua satira feroce, il re non volle tollerare un pubblico scandalo dannoso all'immagine dello Stato, e fece bruciare il libro in piazza. Fu la rottura, consumata bruttamente da tutte e due le parti. E allorché Voltaire cercò di battersela, portando con sé, tra l'altro, anche una raccolta di poesie inedite del re, Federico lo fece rintracciare e a Francoforte mettere agli arresti, lasciandolo dopo la restituzione del mal tolto (di cui Voltaire avrebbe con ogni probabilità fatto un uso indiscreto). Lasciata la Prussia nel marzo del 1753, Voltaire prese a diffondere le sue memorie sul re, che un giorno aveva chiamato nuovo «Salomone» e ora ricopriva di pettegolezzi di vario calibro. Ma, come dicevo, non vi era solo questo nelle memorie su Federico. Cominciamo dalle frecciate. Sono molte, disseminate ovunque. Alcuni esempi. Anzitutto le accuse a Federico, sovrano illuminato, colto, poeta, musicista, ecc. ecc. di avere una debolezza di cattivo gusto per persone del suo sesso; anche se, aggiunge il principe delle lettere, era da escludere che il re arrivasse «alle estreme conseguenze». Voltaire non smette di sfruttare questo motivo. E inoltre l'accusa di doppiezza politica e intellettuale: il re ha teorizzato rantimachlavellismo, ma in realtà è il più cinico fra i re machiavellici. Era d'altronde «nel suo carattere far sempre il contrario di quanto dicesse o seri- vesse». Si potrebbe continuare. Ma, lo si vede anche sotto gli strali più velenosi, Voltaire non ha il minimo dubbio sulla statura del re, al pari di lui monumento della sua epoca. Che Voltaire si fosse trovatodawero bene in tanti momenti, intellettuali e materiali, con questo sovrano di cui ammirava sinceramente e grandemente l'ingegno (e, infatti, non. continuarono poi i due a corrispondere fino alla morte del francese?), lo si vede ad ogd pie sospinto. Il filosofo e il principe si erano divertiti insieme moltissimo. Le cene «filosofiche» Voltaire le ricorda col maggior gusto. Si mangiava, si beveva, si discuteva; e lo spirito volterrianofederìciano si dispiegava liberamente: «In nessun luogo al mondo'si parlò mai delle superstizioni umane con altrettanta libertà, mai esse furono trattate con maggior ironia e disprezzo». n filosofo e il re, l'intellettuale e il potente. Un tema, lo ricorda assai bene Lionello Sozzi in alcune pagine introduttive, al centro della riflessione illuministica (D'Alembert, Condorcet, ecc.), e rimasto sempre vivo, fino ai Benda e oltre. Qui Voltaire dice parole ben chiare e assai serie sui pericoli che corrono gli intellettuali alla corte del potere. Per parte sua, egli ripete più volte di avere costruito la sua vita cosi da evitare di restare nella posizione deU'«incudine». Ha ben capito l'importanza anche nel presupposti materiali della indipendenza dell'intellettuale. E i soldi non faranno la felicità, ma è tanto meglio averli che non averli. Consentono di non restare un cane alla catena. Certo, bisogna vedere il prezzo che hanno. Federico, una delle grandi personalità della storia divenute miti. Mito positivo o negativo? Uno storico tedesco contemporaneo, Wolfg- Venhor, di cui Garzanti pubblica un Federico il Grande re di Prussia, dà, dopo tante altre, la sua risposta. Egli ricorda come Federico sia stato, nelle varie congiunture della storia e a seconda delle diverse prospettive di parte, messo sul piedestallo o gettato nella polvere Quanto a lui, è decisamente fra coloro che sono convinti dell'importanza per la coscienza tedesca contemporanea di tener ferma la più positiva eredità di Federico: il senso del dovere come fondamente della co¬ munità (nulla però in comune con la novecentesca e totalitaria sottomissione dell'individuo al potere arbitrario e personale). Federico ebbe molte facce, ma non smise mai, e questa fu la sua grande coerenza, di sentirsi davvero il primo servitore del proprio Stato. Lo fu nella maniera più intransigente, ma con una ineguagliata ricchezza e libertà di spirito, che corrispondeva alla natura multiforme della sua personalità, priva di rigidità mentali. Venhor, che segue passo passo la vita del sovrano, ha pagine particolarmente interessanti là dove interpreta la figura di Federico come «ultima incarnazione del prototipo del cavaliere (...) e più precisamente del prototipo del cavaliere francese». Ciò per dire che accompagnava la serietà della sua opera di monarca con la consapevolezza delle incertezze della vita e della relatività dei va-; lori. Tutto egli era meno che un fanatico. In questo era all'opposto di coloro che dopo di lui — da Robespierre a Hitler, Stalin e Roosevelt — tutto hanno subordinato ad una idea opprimente della propria missione storica, in ogni caso non hanno mai avuto il senso di una liberatrice autoironia. Federico si sentì sempre uomo fra gli uomini, anche se principe, e non l'incarnazione della Storia. Insomma, possiamo dire noi, Federico era per tanti fondamentali aspetti, veramente uno spirito dell'età di Voltaire, con in più, e qui sta il problema, la spada di un re. Massimo L. Salvador! Voltaire, «Vitadi Federico II», Edizioni Studio Tesi, XLIH-87 pagine, 16.500 lire. Wolfgang Venhor, «Federico 11. Grande re di Prussia», Garzanti, 409 pagine, 34.000 lire. pFederico II i seziona l'esercito a Potsdam u. «777 Federico II i seziona sercito a Potsdam u «777