Io, ex terrorista che cosa cercavo dove ho sbagliato di Paolo MieliDiego Novelli

Io, ex terrorista che cosa cercavo dove ho sbagliato In «Vite sospese» di Novelli e Tranfaglia diciotto testimonianze raccolte in carcere Io, ex terrorista che cosa cercavo dove ho sbagliato PER due anni e mezzo, dall'agosto del 1985 al dicembre del 1987, diciotto ex terroristi rinchiusi nelle Carceri Nuove di Torino hanno partecipato ad un seminario con l'ex sindaco comunista della città Diego Novelli e lo storico Nicola Tranfaglia, nel corso del quale hanno accettato di raccontare in dettaglio la loro vita. Ora le loro esperienze sono state raccolte e sintetizzate in un libro, Vite sospese, che si segnala come strumento indispensabile per capire gli ani;: della lotta armata. H libro è composto da due saggi introduttivi, più analitico quello di Tranfaglia, più di ricordi personali quello di Novelli, e quattro capitoli in cui a parlare sono pressoché per intero gli ex terroristi: «L'ambiente familiare»; "La socializzazione e le prime esperienze politiche»; «Dalla violenza alla lotta armata»; «Il carcere e la dissociazione». Nelle.ultime pagine c'è poi un'appendice a cura di Alberto Orègnanini che offre le biografie dei diciotto intervistati. Va detto subito che i diciotto appartengono tutti alla categoria dei dissociati, cioè di coloro che hanno ammesso i loro crimini e hanno fatto anche i nomi dei loro compagni, evitando soltanto di chiamare in causa quelli che non erano ancora finiti all'attenzione degli apparati dello Stato. E va detto anche che a parlare in questo libro per la maggior parte sono ex di Lotta Continua (ma ce n'è qualcuno anche ex di Potere Operaio e dell'Unione dei Marxisti-Leninisti) finiti in Prima Linea attorno alla metà degli Anni Settanta. Quello su cui si sono collocati Novelli e Tranfaglia è dunque un punto d'osservazione molto particolare e non consente di trarre conclusioni generali sull'intero fenomeno del terrorismo cosi come s'è manifestato nello scorso decennio. Per avere questo quadro completo bisognerà attendere la pubblicazione integrale dell'eccezionale inchiesta coordinata per l'Istituto Cattaneo di Bologna dal professor Raimondo Catanzaro, per la quale sono state intervistate decine di ex terroristi d'ogni tipo, rossi e neri. Ma, come s'è detto, questo non toglie interesse al lavoro di Novelli e Tranfaglia che è anzi un ottimo avvio alla conoscenza del problema, n sag. gio introduttivo di Tranfaglia mette bene in evidenza come, per tutti i pivi adulti tra gli intervistati (Roberto Rosso, Paolo Zambianchi, Sergio Segio e Susanna Ronconi) non ci sia stata soluzione di continuità tra la milizia sessantottina e l'ingresso nelle — o la fondazione delle—formazioni terroristiche. Nel '68, afferma Tranfaglia, i militanti interiorizzano una sorta di «ottimismo rivoluzionario» che li induce a pensare che «se le battaglie si possono perdere, non si può perdere la guerra che sarà sicuramente vittoriosa». E' questo il vero cordone ombelicale che lega 11 Sessantotto al terrorismo. Non già, come mette bene in evidenza uno degli intervistati, Claudio Waccher, un coattivo passaggio dagli slogan all'azione («Non ho mai pensato che un omicidio politico fosse per cosi dire legittimato dal fatto che in qualcghe corteo si urlassero a squarciagola parole d'ordine truculente», afferma Waccher). Con grande onestà intellettuale, Novelli, che nella stagione iniziale del terrorismo non era ancora sindaco e lavorava come cronista all'Unità, spiega come fu possibile per lui e tanti altri come lui commettere l'errore di scambiare per neri i terroristi rossi. I timori di golpe e la ripresa antifascista dei primi Anni Settanta provocarono più d'un abbagliò. E alcuni ex terroristi ammettono con altrettanta onestà che, almeno in parte, approfittarono di quell'abbaglio per camuffare da «antifascismo militante» il loro esordio nell'illegalità. «La pratica dell'antifascismo continuava più che altro perché il gruppo, avendo caratteristiche di insofferenza e quindi di forme di violenza, doveva avere un nemico da reprimere. Giocavano a questo riguardo due fattori: la continuità storica e l'emozione per le stragi fasciste di quegli anni. All'interno del nostro liceo si verificavano inoltre sporadicamente aggressioni da parte difascistelli, molti dei quali più che all'attivismo politico si dedicavano allo spaccio della droga» (Adriano Roccazzella). A leggere i racconti autobiografici di questi ex guerriglieri metropolitani, sembra che, perlomeno in alcune città, il servizio d'ordine di Lotta Continua sia stato incubatrice di singoli terroristi e anche di nuclei che poi sarebbero trasmigrati nella lotta armata. Ma il fenomeno si sarebbe verificato non già nel biennio '71-'72, cioè all'epoca dell'uccisione di Calabresi, bensì a cavallo dello scioglimento di Lotta Continua (1976), cioè tra 11 '75 e il '78. La spinta a questa trasmigrazione deriverebbe.stando sempre alle interviste, in un primo tempo dalla spinta ad insistere sulla strada della lotta dura, già battuta e ora abbandonata dal gruppo extraparlamentare d'origine. Poi dalla volontà di reagire all'estinzione del movimento del '77. In qualche caso è stato determinante il fascino del sequestro Moro: «Evocò per molti come me un'immagine di forza, di efficacia, di novità... Lo scacco agli apparati di polizia,, la concitazione dei giornalisti e della televisione, il panico tra gli esponenti del Parlamento» (Daniele Gatto). Nessuno degli intervistati riesce a spiegare in cosa sarebbe consistita la vittoria finale? tra le pieghe del loro " rdfcciferiti si intuisce che quasi sempre'al di là "delle motivazioni politiche è stato un rapporto sentimentale o un vincolo di amicizia che li ha fatti entrare nel terrorismo. Sono rarissime le occasioni in cui qualcuno di loro si mostra adesso a caccia di attenuanti o giustificazioni per quel che è stato. Paolo Mieli Diego Novelli, Nicola Tranfaglia, «Vite sospese — Le generazioni del terrorismo», Garzanti, 400 pagine, 26.000 lire.

Luoghi citati: Bologna, Torino