Donne dell'antica Grecia regine, ma in casa di Sabatino Moscati

Donne dell'antica Grecia regine, ma in casa La vita quotidiana e la condizione femminile in due libri Donne dell'antica Grecia regine, ma in casa QUASI tremila anni or sono, all'alba della civiltà greca (e dunque detta nostra stessa civiltà), due testimoni eccezionali ci illuminano sulla condizione delle donne: Omero ed Esiodo. Oli eroi di Omero, sia greci sia troiani, sono anzitutto monogami' a parte le concubine e le schiave, s'intende, ma quelle non hanno i diritti delle mogli. La funzione femminile è principalmente di accudire ai lavori domestici, anzi di dirigerli, come dice Ettore ad Andromaca: «Ritorna a casa, occupati del tuoi lavori, del telaio, della conocchia, e ordina alle tue serve di provvedere ai lavori domestici». Il lettore sarà incuriosito nell'apprendere che dall'arte di gestire la casa e il patrimonio ad essa congiunto (in greco olkos) deriva una dette nostre parole più diffuse, 'economia». Ma per tornare a Omero, la condizione ■dette donne sembra ben protetta se perfino Elena, causa della tremenda guerra di Troia, se ne torna poi tranquillamente a Sparta con il marito abbandonato, Menelao, e lì riceve con la dignità di una regina il giovane Telemaco, venuto a chiedere notizie del padre Ulisse. Il quadro fornito da Esiodo è, a prima vista, ben diverso. Oli uomini, attraverso Prometeo, hanno rubato il fuoco a Zeus; e Zeus, preso dalla furia, si vendica così: «Io, al posto del fuoco, farò loro dono di un male che tutti, dal fondo del cuore, si compiaceranno per loro disgrazia di circondare d'amore». Queste sono le parole di Esiodo, evidentemente nemico giurato dell'altro sesso, che non esita a qualificare «la genia maledetta delle donne, terribile flagello insediato in mezzo agli uomini mortali». ■ n , Ma pòi,, d. guardar bene, sono davvero così inconciliabili i pareri di Omero e di Esiodo? Per trovare una risposta possiamo oggi leggere due libri singolarmente complementari, «La vita quotidiana della donna nella Grecia antica» di Claude Mosse e «Ifigenia in Tauride Ifigenia in Aulide» di Euripi- de nella traduzione commentata di Franco Ferrari. I due libri sono apparsi contemporaneamente, forse non a caso, nella Bur (Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, rispettivamente pp. 108 e lire SOOO.pp. 321 e lire 9500). La complementarità consiste nel fatto che, mentre il libro sulla vita quotidiana offre un panorama ragionato detta condizione femminile lungo l'arco della civiltà greca daWVIII al IV secolo a.C, i due testi di Euripide danno la documentazione diretta di un grande autore del V secolo che, sulla condizione suddetta, ci ha lasciato ampie testimoniarne. Ma occorre aggiungere che anche l'opera del Mosse dà ampio spazio alle citazioni dei testi antichi, e dunque, finalmente, la cornice non soverchia il quadro. Tornando a Omero ed Esiodo,'la diversità dei loro giudizi'dipende in ampia parte da quella delle loro opere e dei loro interessi- se il primo pone in evidenza la nobile immagine'di alcune donne, e il secondo i perversi istinti di altre, resta il fatto comune di una condizione femminile subordinata a quella dell'uomo, circoscrit¬ ta sostanzialmente alla vita familiare. La polis, cioè la città greca, è stata ben definita un •club di uomini». Ma torniamo alla voce degli antichi autori, tanto più efficace di quanto possano esserlo le nostre ricostruzioni. Emerge su tutti il già ricordato Euripide, per il senso drammatico della condizione femminile che emerge dalle sue tragedie: «Di tutte le creature dotate di anima e di mente, nessuna è più sventurata di noi donne. Prima di tutto, dobbiamo comperarci a caro prezzo uno sposo, che diventerà il padrone del nostro corpo, e questo tra i mali è il peggiore. Cosi corriamo un gravissimo pericolo: il marito sarà buono o cattivo?... L'uomo, quando ne ha abbastanza di starsene in casa, non ha che da uscirne, per dar sollievo alla sua noia in compagnia di amici e coetanei ma noi siamo costrette a fissare lo sguardo su una sola persona...». Sono parole di Medea, esemplari tra molte. E la conclusione è che meglio sarebbe correre i rischi della vita fuori di casa.foss'anche sui campi di battaglia, piuttosto che affrontare un simi¬ le destino. Certo, con personaggi e discorsi del genere, Euripide si pone contro la morale corrente: il che non significa il ripudio di essa, ma piuttosto la coscienza dette sue implicazioni Del resto, il tragediografo ha pure accenti singolarmente antifemminili: «O Zeus, perché mai hai messo tra noi questi esseri corrotti, le donne, male che offende la luce?». Torna lo stesso discorso fatto per Omero ed Esiodo: non si tratta tanto di contraddizioni, quanto della realtà osservata da punti di vista diversi. Negli autori comici, è naturale che la tragedia sia volta in farsa. E così in una celebre commedia di Aristofane, sul finire del V secolo a.C, Lisistrata organizza le donne a negare l'amore finché gli uomini non pongano fine alla guerra. C'è qui la coscienza delle arti femminili, del loro potere: «Esattamente da queste cose mi aspetto la salvezza: le tunichette gialle, i profumi, le scarpine, il rossetto e i vestiti trasparenti». Ma Aristofane sa bene, e lo spettatore con lui, che non si tratta di sovvertire l'ordine costituito, se non temporaneamente e strumentalmente: alla fine tutto tornerà come prima. Occorre, a questo punto, considerare una parentesinetta città utopistica immaginata da Platone, cosa accade alle donne? à discorso ha un suo interesse preciso, perché suggerisce una tendenza del desiderio, detta fantasia. Ebbene, nella repubblica ideale le donne dovrebbero avere prerogative e diritti analoghi a quelli degli uomini- come non si tengono chiuse in casa, scrive Platone, le femmine dei cani da caccia, «quasi fossero reputate capaci soltanto di generare e allevare i cuccioli», cosi non v'è motivo di limitare le donne atte sole attivita domestiche. Certo, l'uomo e la donna sono di natura fisiologicamente diversa. Ma ciò non esclude che esistano donne dotate per la medicina, altre per la musica, altre ancora per l'atletica e la guerra; evi sono perfino donne filosofe. Perché non vi sarebbero, quindi, anche donne atte a 'custodire la città», le quali potrebbero condividere l'educazione e i privilegi dei •custodi» maschi? V'è della nebulosità in questa costruzione utopica, e bisogna realisticamente ammettere che essa dipende in larga parte dalla teoria comunitaria generale. Ma intanto, mentre Platone scrive ad Atene, più di un aspetto dell'emancipazione femminile si può vedere a Sparta. In ogni caso, l'utopia riflette per contrasto la stessa società che abbiamo visto emergere, con sostanziale coerenza, dalle testimonianze più varie. All'alca della nostra civiltà, la condizione femminile è nettamente subordinata a quella dell'uomo, vero e unica protagonista delia storia, dalla politica alla guerra. Non mancano, certo, figure di donne di 'alta levatura, di grande dignità; ma lo sono per i loro meriti personali, non per i .diritti assicurati dalla legge. E' questo, dunque, uno dei casi in cui più cospicuo, più significativo, più determinante è stato il nostro progresso. Sabatino Moscati In un antico vaso greco: donne che lavorano e un uomo con la borsa del denaro

Persone citate: Claude Mosse, Franco Ferrari, Platone

Luoghi citati: Andromaca, Atene, Bur, Grecia, Medea, Milano, Zeus