Vecchia Napoli, senza cuore di Liliana Madeo

Vecchia Napoli, senza cuore UN PROGETTO PER IL CENTRO STORICO DIVIDE LA (Mg Vecchia Napoli, senza cuore Nuove strade, giardini, spazi attrezzati, parcheggi: un piano faraonico prevede la «rigenerazione» dell'antico nucleo cittadino - Ma a molti il prezzo da pagare sembra troppo alto: «Sarà il trionfo delle ruspe» NAPOLI — Gente infurentita e gente rassegnata, un corteo di disoccupati, la sirena di una volante intrappolata nel groviglio del traffico, piccoli borseggiatori al lavoro, montagne di immondizia, le vie di scorrimento in un caos senza limite: sotto il sole di un'estate che sembra interminabile, Napoli appare sprofondata nel disagio che è ormai la sua condizione cronica. Eppure la città è alla vigilia di una svolta che potrebbe essere radicale. Sta per prendere il via un piano faraonico di «rigenerazione» del centro storico e di «riqualificazione» dell'intero territorio, da cui.verrebbe ridisegnato il volto intero della città e il suo futuro. I connotati della «nuova» Napoli si profilano sorprendenti: nuove strade—una parallela a via Roma, una a via Foria — con percorsi sotterranei e di scorrimento, giardini e biblioteche, spazi attrezzati e parcheggi al posto di edifici considerati irrecuperabili, abitazioni dignitose, negozi e laboratori moderni in quelli che erano «bassi» fatiscenti, 9 mila vani in più. Al progetto si sta lavorando da due anni, e finora per metterlo a punto sono stati spesi due miliardi e mezzo. Per realizzarlo è nata una società in cui sono confluiti imprenditori privati, cooperative, il grande capitale di Stato, formando quell'intreccio di pubblico e privato «indispensabile per risolvere problemi complessi» come dice il presidente, Enzo Giustino, già vice presidente del la Confindustria e presiden te della Camera di Commercio di Napoli. Urbanisti, architetti,.ingegneri, economisti, storici dell'arte, giuristi, dopo aver studiato come si può realizzare il piano, harj.no steso una poderósa radiografia 'della realtà napoletana «dalle ma crotendenze tecnologiche della città all'impatto sociale dell'intervento». In 4 volumi, corredati da mappe e grafici, è stato traccialo questo «regno del possibile»; la sua prima uscita in pubblico è avvenuta nel dicembre '86, quando a Napoli ci fu un convegno cui erano presenti —fra gli altri — De Mita, Natta, Formica, Galasso, Zanone. Sono previsti lavori per 15 anni, e una spesa di migliaia di miliardi (lasciando allo Stato il carico delle infrastrutture). L'intervento — riconósce uno degli studiosi chiamati a elaborare il progetto, Roberto Di Stefano — significa «riorganizzazione del tessuto edilizio e trasformazioni dell'ambiente urbano, cambiamento delle destinazioni d'uso del suolo, nuove sistemazioni del traffico, nuovi edifici e attrezzature». Napoli Ieri come oggi: la strada Giustino preferisce sfumare questi aspetti. Dice: «Qui non si sta parlando di urbanistica, ma di evitare che Napoli esca dalla storia. Il problema non è se Santa Chiara viene demolita o no (cosa che ovviamente non viene neanche messa in discussione). Noi parliamo di sviluppo del territorio, di come il centro storico può diventare moltiplicatore di sviluppo per l'intera area urbana a patto che sia vivibile e venga recuperato». Le polemiche e le preoccupazioni sulle prospettive che questa concentrazione di capitali e di potere riserva alla città sono incandescenti. Adesso — dicono alcuni — si gioca una delle più affascinanti scommesse sul futuro dello sviluppo italiano: bisogna che questi non diventino «i progetti di Pulcinella». Si parla anche di «trionfo delle ruspe» perché il progetto prevede che venga abbattuto il 14 per cento delle costruzioni liberando così 103' dei 720 ettari su cui si estende il centro storico di Napoli, uno dei più grandi d'Europa. Si ribatte: questa è l'occasione per uscire dal torpore e dall'immobilismo che hanno caratterizzato la vita politica della città. Ma a molti il prezzo di que¬ di Santa Lucia In un'immagine Ista sfida sembra eccessivo: un vero «sventramento» della città, niente da invidiare al «sacco» compiuto da Lauro o alle imprese urbanistiche di Mussolini. Le voci dei sostenitori del piano e di quanti avanzano condanne, o critiche, o richieste di una ulteriore riflessione, di migliori garanzie a tutela dell'interesse pubblico, si intrecciano come sciabolate. Si sta preparando — viene annunciato — un'espulsione «apocalittica» di migliaia di residenti nel centro storico: degli 87 mila alloggi censiti, 23 mila sarebbero da buttar giù, 24 mila sono stati considerati degni di risanamento conservativo, 13 mila di restauro, 9 mila di totale ristrutturazione; in pratica si spezza il tessuto secolare di quartieri come Chiaia, il rione Stella, San Ferdinando, via dei Tribunali, Montecalvario, tutta la città compresa fra il Museo Nazionale, piazza Cavour, piazza Bellini, piazza Gerolomini: il cuore «antico» di Napoli. Giustino non raccoglie le polemiche. Sostiene: «Bisogna uscire dalla cultura dell'emergenza e avviare quella della progettualità. Basta con gli immobilismi Non c'è nizio secolo. Ora interi quartieri dtempo da perdere: o la parte più avvertita della città si rende conto che è arrivato il tempo di darsi una mossa, o Napoli resta definitivamente emarginata. Noi, comunque, non decidiamo né sventramenti né espulsioni. Diamo proposte, e gratis. Le decisioni, cioè le responsabilità, spettano alle Istituzioni». Il progetto sta camminando. La giunta comunale, a luglio, ha preso due importanti decisioni. Ha detto che si devono apportare varianti al piano regolatore del '72. E, aprendo la strada al megaintervento, ha previsto che un'apposita commissione si metta a discuterne con la società. Sul progetto, complessivamente. Sui sofisticati meccanismi finanziari studiati per gestire l'operazione. Sulla legge stesa dai legali della Società secondo cui — come recita l'articolo 1 — l'amministrazione comunale le affida 'in concessione» la programmazione e la realizzazione delle opere, il coordinamento e la gestione dei programmi, la gestione finanziaria e immobiliare, gli espropri e il contenzioso, la direzione dei lavori, la definizione dei fabbisogni, la realizzazione e gestione delle case-pareheggio, la proget¬ tpnp GIULIO EINAUDI E IL SUO LIBRO A DOGLIANI del centro rischiano di sparire tazione delle infrastrutture primarie... Una delega enorme. Che non piace neanche a chi vede di buon occhio — come l'occasione per uscire dal pantano dell'immobilismo e del sottogoverno — l'ingresso sulla scena napoletana di nuove energie finanziarie e progettuali. In quell'articolo viene letta una totale abdi cazione, l'ammissione-, dell'impotenza dei pubblici amministratori, la rinuncia a fare il proprio lavoro, a esercitare i controlli che gli spettano, a fare piani. Giustino è drastico nel sostenere le sue ragioni- -Noi diamo un contributo. Creiamo una strut tura di servizio. Apriamo un grande mercato per le imprese, i lavoratori. Ci autofinanziamo. Ci assumiamo i rischi dei tempi e dei costi entro cui muoverci. D vantaggio che dobbiamo avere è quello di essere slegati dalle vicende deU'amministrazione locale, da vincoli che ci costringe rebbero ad accettare condi zionamenti». Contro il -regno del possi bile» si è formato uno schie ràmento consistente: uomini del mondo accademico e della cultura, Italia Nostra, il prestigioso Istituto di Studi Filosofici di Gerardo Marot la, una schiera di intellettuali mobilitati dall'on. Antonio Cederna. La Fondazione Napoli Novantanove ha proposto che la questione venga studiata meglio da una commissione apposita, cosi come — «con la più viva preoccupazione» — aveva chiesto il comitato scientifico di cui fanno parte, fra gli altri, Maurice Aymard, Percy Alluni, André Chastel, Denis Mack Smith, Sergio Romano, Luigi Firpo, Salvatore Seltis. Anche il cardinale di Napoli, Michele Giordano, ha fatto sentire la sua voce severa. «Ho la sensazione che il Palazzo stia decidendo sulla testa della gente — ha detto, parlando della mancanza di abitazioni nella città, dei progetti di ristrutturazione di interi quartieri. — Certo, c'è bisogno che gli abitanti di questi quartieri siano sollevati dal degrado ma non si può adottare la politica dello sradicamento». Giustino minimizza questo autorevole intervento: «Il cardinale non ha criticato il progetto. Si è preoccupato di affermare che la gente non deve essere espulsa dalla sua abitazione». Questo non avverrà, assicura: «I bassi sono 40 mila, di cui 11 mila usati come abitazione da 70-80 mila persone. A queste daremo un'edilizia più umana. I trasferimenti saranno provvisori, magari negli stessi quartieri occupando case sfitte o utilizzate in marnerà impropria. Anche la chiesa d'altronde è gran proprietaria di immobili. A restauri fatti, gli inquilini potranno avere le case a equo canone. Se non hanno 1 soldi per pagarlo, gli si procureranno edifici a canone sociale». Tutto viene esibito come facile e indolore, anche per quanto riguarda i proprietari che sono in prevalenza la chiesa, il demanio, il Comune, privati «in, grado di affrontare le spese del risanamento». Per tutti, per affrontare le spese del risanamento, ci saranno mutui, tassi agevolati, prestiti a fondo perduto. In certi casi, certo, per chi non partecipa alle spese, c'è l'esproprio (a vantaggio della società). Oppure la possibilità di vendere l'immobile, sempre alla società. E poi magari di ricomprarlo (al prezzo di casa ristrutturala, naturalmente). O di prendere, in cambio, un appartamento più piccolo. «Abbiamo studiato un'infinità di casi — spiega il presidente. — I vantaggi sono enormi, per i proprietari. Ci sarà la coda, glielo dico io, per rientrare nel meccanismo. Noi, certo, avremo un sacco di grane. Ma è l'amore per questa città che ci spinge. Anche se, è chiaro, non siamo missionari». Liliana Madeo