Pescante: «Ciechi sul doping»

Pescante: «Ciechi sul doping» Grave ammissione dei segretario del Goni sul problema che insidia lo sport Pescante: «Ciechi sul doping» «Il fenomeno è esploso nella ignoranza dei dirìgenti sportivi: e l'ignoranza è colpa» - «Però in Italia la base è sana» aggiunge con ottimismo di GIORGIO VIGLINO ROMA In questo capitolo doping i massimi dirigenti del nostro sport sembrano essere capitati tutti per caso, reduci da un limbo di ignoranza assoluta. Gattai distingue le due ere, prima e dopo il proprio avvento al Coni, dimenticando che la precedente vicepresìdenza avrebbe presupposto un minimo di conoscenza. I presidenti di federazione si chiamano individualmente fuori, ammiccando però furbescamente al collega che a sua volta ricomincia il giro. Da tutti soltanto parole, e a volte affermazioni molto avventate. Finora era rimasto in silenzio soltanto Mario Pescante, da sedici anni segretario generale del Coni, elemento di continuità da Onesti a Gattai, attraverso Carraro, buon tecnico di parecchi sport oltre che dirigente amministrativo al massimo livello. •Il contraccolpo che lo sport intero subisce da un caso Johnson è enorme. Certo la serietà di chi sì autopunisce, tutto quello che volete, ma altri tre, quattro casi del genere e con lo sport abbiamo chiuso. Può rimanere lo spettacolo, ma con quelle regole, non con le tensioni ideali che comunque anche in tempi di professionismo percorrono il nostro sport europeo. L'America è un'altra cosa, l'America delle leagues, ben funzionanti, asettiche, gonfie di dollari e di droga. Quando eravamo a Los Angeles mi domandavo cosa avessimo in comune culturalmente io, dirigente del Coni, e Peter Uberroth, manager dei Giochi. Per loro un Johnson positivo vuol dire soltanto Lewis primo, per noi significa delusione, disamoramento di una base che è totalmente dilettantistica. Quando ero ragazzino facevo atletica e tenevo in camera la foto di Ro¬ ger Bannister, e nessuno me lo ha mai cancellato con un'accusa infamante. Quanti sono i ragazzi di oggi con la foto di mister muscolo Johnson?». — Torniamo al doping italiano. C'è stato nel passato.è venuto dal nulla o da qualcuno, a che punto è? «Quello che deve preoccupare non è tanto l'infittirsi dei casi dì vertice, quanto la diffusione di una cultura del doping. Questa non si è certo sviluppata in sei mesi, ma in decenni. La mia personale idea è questa, la nostra base non è malata, non usa anabolizzanti come caramelle per il semplice fatto che non ha assimilato quel tipo di cultura, vuoi per ristrettezze finanziarie, vuoi per il tradizionalismo, addirittura il conservatorismo dei nostri dirigenti. Sono le attività nuove, quelle non codificate, non nostre, come il bodybuilding e certe attività da battaglia in palestra, che hanno puntato su anabolizzanti e alchimie diverse. Per osmosi, per uso delle stesse palestre, forse qualche nucleo dei nostri sollevatori o lottatori ad esempio, può essere stato toccato». — Nessuno prende nulla in Italia, nemmeno i campioni? Non le sembra irreale? 'Un momento. Fino ad ora ho parlato di base, il vertice è un'altra cosa. La medicina dello sport era nata correttamente, basti pensare ai progressi fatti con la biomeccanica. In un tempo successivo è stata avvicinata dalla farmacologìa ed è iniziata la contaminazione. Oli uomini con le valigette hanno percorso trasversalmente tutto lo sport italiano, il guaio è che abbiamo continuato, continuiamo, a chiamarli stregoni e non delinquenti. Qiscutevo a Seul di questo imbarbarimento con Roger Bambuck, ex velocista di fa- maeora ministro dello Sport in Francia, e abbiamo convenuto che tutto il fenomeno è esploso nella ignoranza (e l'ignoranza è colpa) di noi dirìgenti sportivi. Il doping erauna mosca fastidiosa che fingevamo di credere appartenesse a poche discipline professionistiche. Il fatto è che il professionismo andava avanti, ha coinvolto tutti, e il doping altrettanto». — Il doping lo avevamo in casa, lo abbiamo sottovalutato, adesso cosa vogliamo fare? 'Dividiamo il discorso tra mondo intero e mondo piccolo, cioè l'Italia. Per risolvere i problemi internazionali ci vogliono tre condizioni non facili ad ottenere. 1) Pari condizioni per tutti i Paesi; 2) Allargamento delle indagini fuori dalle gare altrimenti renderemmo soltanto più sofisticata la tecnica di doping e copertura; 3) Spiegare, spiegare a tutti quanto faccia male il doping». 'Per quel che concerne l'Italia la nostra organizzazione sportiva si è mossa, il discorso è maturato nelle Federazioni e non credo che più nessun tecnico o dirigente farebbe ora finta di non vedere, com'è successo nel passato anche da parte di chi ora è accusatore implacàbile. Per il fenomeno in generale abbiamo bisogno di leggi, buone e rapide, quindi ben venga l'intervento del Parlamento. In. Francia, Qran Bretagna e Svezia la situazione è opposta: lo Stato è subito corso ai ripari mentre l'autorità sportiva latita». — Lo sport nel suo complesso quali rischi corre? •Semplicemente quello di sparire come nell'antichità. E' vero, i Giochi d'Olimpia furono sospesi perché i santi di adesso e vescovi di allora, non volevano vedere corpi ignudi. C'erano però tutti i segni attuali di degrado».