Una pioggia di critiche sulla sentenza Moro-ter

Una pioggia di critiche sulla sentenza Moro-ter Una pioggia di critiche sulla sentenza Moro-ter Parte da Torino il primo ricorso contro la decisione dei giudici di Roma • L'avvocato Perla: «Severità inusitata» - Il senatore Imposimato: «Auspicabile una maggior clemenza» TORINO — Parte da Torino il primo ricorso contro la sentenza pronunciata giovedì nei confronti dei 173 imputati delle Brigate Rosse del processo «Moro-ter». Lo ha firmato l'avvocato Aldo Perla che difende uomini del nucleo storico come Pier Giovanni Bertolazzi, Arialdo Lintrami, Giorgio Semeria, quelli della «seconda generazione» come Nadia Ponti, Vincenzo Ouagliardo, Nicola d'Amore, Lauro Azzolinl e le leve ancor più giovani come Giuseppe Sciròcco o Lino Vai. Sentenza «pesante» che i grandi numeri — 26 ergastoli e 1800 anni di carcere — rendono ancor più appariscente: sentenza contestata a 360 gradi. «La decisione dei magistrati — dice il legale — è di una severità e di un rigorismo inusitato. Ma è anche fuori luogo perché cade in un momento in cui si parla di pacificazione e di necessità di dialogo. Chi aspettava un segno di clemenza è deluso perché la sentenza è ben oltre la linea dell'emergenza che era stata tracciata e che avevamo conosciuto anni fa. Nelle sedi istituzionali sì parla di possibili soluzioni "politiche" ma poi nelle aule del tribunale dove quelle teorie dovrebbero trovare almeno un tentativo di applicazione viene usato il codice come se fosse una mannaia». Poche concessioni di attenuanti generiche e poco sforzo per «comprendere» alcuni reati marginali. Oli avvocati del collegio di difesa sostengono che sono troppi i dodici anni di carcere Inflitti all'ex senatore socialista Domenico Patella, medico, che avrebbe curato Natalia Li gas ferita dopo l'attentato all'avvocato romano Antonio De Vita. E troppi anche i dieci anni per l'avvocato Anna Lombardi che esercita la professione e che, ormai, ammesso che fosse stata vicina, è lontana mille miglia dalla rivoluzione. Nessuno sconto di pena per i «dissociati» che non rinnegano il passato eppure considerano fallita (e chiusa) l'esperienza del terrore, n minimo indispensabile, applicando il codice, per i «pentiti» che hanno collaborato raccontando episodi e facendo i nomi dei complici. Si trattava di giudicare fatti enormi e per certi versi aberranti. Quindici omicidi avvenuti 7, 8,10 anni fa; quaranta fra tentati omicidi, ferimenti, agguati; 800 pagine di furti, rapine, falsificazioni di documenti, furti di auto, favoreggiamento, porto e detenzione di armi. Sono stati condannati gli autori materiali ma, utilizzando a piene mani il «concorso morale», anche coloro che, facendo parte in qualche modo delle Brigate Rosse, hanno finito per essere considerati ugualmente responsabili. Forse proprio per questo la sentenza fa discutere ed è motivo di polemica. E' critico anche il senatore comunista Ferdinando Imposimato che, quando era in magistratura, si è occupato di inchieste sulle Brigate Rosse e ha lavorato almeno per una parte all'i¬ struttoria del processo «Moro-ter». «Certo — ammette Imposimato — bisogna pur dire che sarebbe stata auspicabile una sentenza un po' meno severa». Lui gli imputati li conosce e conosce gli sforzi ideologici di qualcuno per entrare nel terrorismo (prima) e per cercare di uscirne (poi). Aggiunge: «Adessosiamo fuori dall'emergenza. Lo Stato manifesta volontà di recuperare chi ha preso le distanze dalla lotta armata e chi ha avuto in essa dai moli marginali: Se si chiudono tutti gli spiragli di speranza vanno in fumo anche gli sforzi fatti per tentare di dimostrare che imbracciare le armi era stato un errore. Errore da pagare, ovviamente, ma anche errore in qualche modo recuperabile». 1. d.b. Il sen. Imposimato Aldo Perla

Luoghi citati: Roma, Torino