Goya nel vento dell'Illuminismo

Goya nel vento dell'Illuminismo Al PRADO180 OPERE, CHE POI ANDRANNO A BOSTON E NEW YORK Goya nel vento dell'Illuminismo La mostra racconta i contrasti di un'epoca - li popolo ignorante. l'Inquisizione conservatrice e spietata, i nobili colti, la monarchia riformista - Prima affascinato da guappi e toreri, il pittore scopre i banchieri, le donne chic, i filosofi illuministi - Da quel momento dipinge non il mondo delle apparenze, ma delle idee: sociali, umanitarie, satiriche MADRID—Lo scrittore satirico José BartoUmé Goliardo definiva Goya «pittore-filosofo». Aveva individuato la radice profonda dell'arte del grande artista aragonese (1746-1828), quella che appare in Goya y el e spiri tu de la Ilustración (Goya e lo spirito dell'Illuminismo), una grande mostra appena inaugurata: Villahermosa, Museo del Prado.fino al 18 dicembre. La più completa dopo quella lontana del '32, la rassegna, che passerà il 18 gennaio al Museum offine Aris di Boston e poi al Metropolitan di New York, è organizsata dai tre musei e curata da E. Perez Sànchez, direttore del Proda e da Eleanor Saure, conservatrice dei disegni e delle stampe del Museo di Boston. Cinque anni di lavoro, una scelta di 180 pezzi tra dipinti, disegni e'incisioni, da collezioni private e pubbliche, spagnole e straniere, un massiccio catalogo di 500 pagine (35.000 pesetas) illustrano gli stretti legami di Goya con l'Illuminismo spagnolo e lo inseriscono tra i filosofi del tempo. Una filosofia, la sua, espressa in un linguaggio artistico colto e anticonformista ed in una tematica perfettamente aderente a quella trattata dagli amici illuministi. Viene fuori il quadro di un'epoca, il quadro vero e grande dipinto da Goya. Quello della Spagna confusa e lacerata di Carlo li di Borbone (1699-1788), il sovrano spagnolo più illuminato, di cui il Paese celebra quest'anno il bicentenario della morte, di Carlo IV, debole e indolente, salito al trono nel 1788, dell'inquieto e sfuggente figlio Fernando VII, che vediamo ritratti in splendide tele. Un Paese che oscilla tra il desiderio di un'immagine moderna, europea e la tradizione cofaérvairicé e bigotta, che è quella del popolò e dell'Inquisizione. Una popolazione di 8 milióni di abitanti a metà Settecento, di 12 ai primi del secolo seguente, sparsa nella campagna o concentrata in centri periferici come Valencia, Siviglia, Barcellona economicamente più vivaci della capitale. Un commercio in via di sviluppo, ma strozzato dalle grandi potenze marittime e dalla flotta inglese. Una capitale tagliata fuori, di professionisti, militari e burocrati, «artificiale», come la definisce A Williams in un bel libro del 1976: Goya and the impossible revolu tioa Una società composita: il popolo superstizioso e ignorante, la monarchia riformi sta, i nobili colti, come gli Jovellanos, gli Osuna, i Medina- celi, gli Altamira, gli Marte e altri. Sono loro, i nobili, a costituire il nerbo di quel rinnovamento che altrove è borghese, spronati dalla monarchia, attivi, attenti a mobilitare l'opinione pubblica intorno a programmi sociali. Li vediamo, tutti li in una grande sala dipinti da Goya. Sembrano uscire dalle cornici con le loro grandi parrucche vaporose, le scarpe dalle fibbie lucide e i loro libri di economia e diritto. E le dame eleganti, infiocchettate, ma con lo sguardo acuto e intelligente aperto ai tempi nuovi. Tra merletti e marsine il popolano Francisco Goya riesce a introdursi come per magia. Nato a Fuentotodos, in Aragona da una famiglia povera — il padre è maestro doratore, la madre, Grada Lucientes, di origine piccolo-aristocratica — all'inizio sembra affascinato dai guappi, dalla caccia, dalle donne, dagli spettacoli, dalla corrida più che dalla pittura. Studia alle scuole degli Scolopi di Saragoza, a 14 anni è allievo del pittore José Luzan. Concorre due volte, nel 1763-'64 e nel 1766 a una borsa di studio indetta dall'Accademia di San Fernando di Madrid, ma viene bocciato. Nel 1770 è probabilmente a Roma, da dove partecipa a un concorso all'Accademia di Parma riportando sei voti e una menzione speciale («Vi si è osservato con piacere un facile maneggio dì pennello... un carattere grandioso»). Torna a Madrid e nel 1774, grazie al compaesano Francisco Bayeu (di cui sposerà la sorella) è chiamato dal Mengs a occuparsi dell'araz zeria reale. Proprio con due quadri di quest'artista neoclassico, che allora faceva furore, invitato nella capitale da Carlo II nel 1761, si apre la mostra: uri Ri' tratto di Carlo ni dal volto arguto, un po'secco e quello della Regina Maria Amalia, anziana matrona in rosso velata di nero. Al Mengs si ispirano i primi ritratti di Goya, che comincia cosi un'intensa carriera: 1786 «pittore reale» di Carlo III, 1789 «pittore di Camera» di Carlo IV, 1799 «primo pittore di Camera» e, nel 1795, direttore dell'accademia di San Fernando (ironia della sorte) Il mondo che lo circonda di nobili e banchieri benestanti, di giovani donne chic, di amici intellettuali, è descritto in una carrellata parlante. Ecco subito la Famiglia dell'Infante don Louis (1784), fratello di Carlo III, raccolta intomo un tavolo da gioco in piena luce, sotto gli occhi di un di sinvolto pittore (Goya), che dipinge in un angolo. La scena si svolge 'probàbilmente nella residenza dell'Arena di San Fedro presso Avila, dove Goya era ospite. E' una tela bellissima, proveniente dalla collezione Magnani-Rocca di Parma, una novità per gli spagnoli. Poi la Famiglia dei duchi di Osuna (1788), un dipinto noto del Prado, in cui l'influenza del Mengs va sfumandosi per rivelare la stoffa del grande artista: il raffinato nobiluomo vestito di nero e la moglie, che si tiene intorno i quattro piccoli ed elegantissimi bambini, saranno tra i maggiori e più spregiudicati committenti. Altri personaggi: l'imponente e sofisticato Conte di Floridablanca, rango e cultura del quale sono sottolineati da abito, scritte, libri, mappe, un pendolo d'oro. In ombra ancora il pittore che presenta il bozzetto e dall'altra parte l'architetto Sabatini. In un'altra tela l'imbambolata, un po' fredda Marchesa dì Pontejos, cognata di Floridablanca, con un abito di trine, fiori e un cagnolino. Di nuovo la Conlessa di Osuna che sappiamo colta lettrice e una delle prime donne ammesse nella Società economica madrileno. Federico di Cabarrùs, uno dei più perspicaci finanzieri, famoso per la sua creazione del Banco di San Carlo (oggi Banco di Spagna): tutto in verde col volto pienotto è il •borghese' spagnolo. Ma ecco il compassato Sebaslian Martinez, commerciante e collezionista, un amico di Saragozza. Il filosofo Melendez Vcldes, dallo sguardo intenso e inquieto. Il bellissimo Gaspar Merchor de JoI vellanos, grande giurista. ispiratore e amico del pittore, come sottolinea quella lettera in mano: «JoveUanosiior Goya». E ancora Carlo IV in uno dei tanti ritratti ufficiali (del Prado) e la moglie Maria Luisa, che sotto la mantilla nera non riesce a nascondere le preoccupazioni del regno. E laggiù, la tenera, affascinante Contessa di Chinchón, timida e rassegnata moglie di Godoy, amante della regina. Per tutti lavora Goya. Soggetti religiosi come quella delicata Annunciazione (1785) per il duce di Medinoceli o il bozzetto con la Morte di San Giuseppe forse per Carlo III, o quei due grandi Padri della Chiesa appartenenti a una serie di quattro d'incerta cronologia, ricollegabili forse al secondo soggiorno in Andalusia, per le vicinanze col Murino. Ma soprattutto bozzetti e cartoni per residenze reali e aristocratiche come i Temi campestri o Le stregonerie per l'Alameda degli Osuna 0 quelli per gli arazzi reali. Mainiamo al 1792-'93, dopo una malattia, una grossa svolta: non più stile compatto alla Mengs, ma visioni rotte, moderne, quasi espressioniste che ricordano i fiamminghi (Bosch, Bruegel) óil grottesco di Michelangelo. E motivi diversi, sociali, umanitari, satirici: dal Muratore ferito, bozzetto per la Sala del Pardo, alle Sabbe, ai voli di stregoni, alle lampade diaboliche per gli Osuna. «Per occupare la mente mortificata nelle riflessioni sui miei mali», scrive nei primi giorni del 1794 a Yriarte, viceprotettore dell'Accademia di San Fernando: «E, per compensare almeno in parte le gravi spese che esse mi hanno causato, mi sono messo a dipingere un gruppo di quadri da gabinetto, nei quali sono riuscito a compiere osservazioni che dì solito non trovano posto nelle opere di commissione, dove il capriccio e l'invenzione non possono avere libero corso...-. Capricci, invenzioni, ecco la prima conseguenza dei contatti con gli illuministi. Da quel momento Goya dipinge non il mondo delle apparenze, ma delle idee. Nascono i Caprìchos e centinaia di stampe e disegni (in lutto circa 1400pezzi), di cui la mostra espone grandi serie (dai Caprìchos pubblicati nel 1799 alle Disparates, follie, del 1816-'17). I Capricci, come spiegava un grosso annuncio sul Diario di Madrid del 6 febbraio 1799 che ne metteva in vendila un'ottantina, sono una «raccolta di stampe su temi capricciosi, inventate e incise all'acquaforte da Goya» per bollare errori e vizi umani anche con la pittura: Ed ecco la ridda di immaginifanlastiche, ma lucide e razionali, che con le loro didascalie colpiscono l'intera società spagnola: monaci e frati corrotti CU Goya, cane è il titolo di una. dove due monaci con una grossa siringa si lanciano contro un uomo rannicchiato), la stregoneria, la superstizione, l'Inquisizione. Le professioni sono satireggiate da asini e somari. Non mancano attacchi mordenti contro l'aristocrazìa ereditaria, il cortejo, cioè il cavalier servente della dama dell'alta società, contro le mezzane e la prostituzione. Bellissime, intelligenti, da vedere: sono la filosofìa di Goya tradotta in immagini. Maurizia Tazartes