Il grande rogo di Fra Dolcino illumina ancora le montagne

Il grande rogo di Fra Dolcino illumina ancora le montagne E* vivo il ricordo dell'eretica bruciato con Ja bella Margherita Il grande rogo di Fra Dolcino illumina ancora le montagne Santo e bandito operò con i suoi seguaci in Valsesia e nel Biellese • Salì sui patibolo a Vercelli BIELLA — Quando il tramonto infuoca le montagne del Biellese e della Valsesia, da queste parti si dice che sono i riflessi del rogo acceso giù a Vercelli dalla Santa Inquisizione per purificare nel martirio Fra Dolcino e la donna coraggiosa che lo accompagnò, nel bene e nel male, fin sul patibolo. Figura controversa di asceta, riformatore, eretico, combattente, bandito, Dolcinò ogni tanto torna quassù nelle evocazioni della gente. Santo e demonio di un Medioevo spiritualmente e moralmente sbandato, con i suoi seguaci qui soffrì freddo, fame, persecuzioni e compì razzie cantando salmi e lodi. Ogni vigilia d'autunno lo commemorano. Quest'anno l'hanno fatto, a Prato Sesia, con una cerimonia religiosa, una tavola rotonda e una camminata fino al cippo di Bocchetta di Margosio. n dibattito si è soprattutto dipanato sulla figura di Margherita, la sua compagna, seguendo il tema «La dònna nei movimenti spirituali del Medioevo», il tutto voluto da un gruppo di donne valdesi, per non dimenticare quel rogo del 1307 sul quale la cruda intolleranza inquisitrice ridusse in cenere un uomo e una donna martoriati da agghiaccianti supplizi fisici e morali. Erano rei di professare una religiosità controversa, ma soprattutto di possedere la forza di non pronunciare mai la parola «abiuro». Erano tempi difficili per chi, sia pure in buonafede, alla religione affiancava proposte di riscatto sociale per un'umanità stracciona e affamata. Anche la Chiesa di Roma subiva le influenze degli intrallazzi per il potere temporale. Nei pochi anni in cui Dolcinò opera, dal 1300 al 1307, si susseguono due pontefici II primo, Bonifacio Vili, cade nella trappola di Filippo, re di Francia, che scatta con la congiura di Anagnl Benedetto Caetani finisce il suo pontificato prigioniero, battendo la testa contro le mura delle sale vaticane. Gli succede nel 1303 Clemente V, 11 francese Bertrando di Gouth che due anni dopo trasloca 11 Trono di Pietro ad Avignone. Lo fa per sfuggire alle pressioni delle litigiose famiglie Annibaldi, Savelli, Colonna, Caetani, Frangipane che dominano su Roma. Dalla sede francese papa Clemente V arma una crocia ta e la manda nel Biellese a dare il colpo di grazia a Fra Dolcino e ai suoi, che stanno rintuzzando gli attacchi delle truppe del vescovi di Novara, Vercelli e del marchese del Monferrato. Sono tempi grami anche per i pontefici, costretti a inculcare la fede con le spade dei crociati, a guardarsi le spalle da antipapi scaltri e da governanti prepotenti In questo quadro s'Inseriscono grandi apostoli del riscatto umano e spirituale, come Francesco d'Assisi, ma altri non ce la fanno e vien loro impresso il marchio dell'eresia. Nella indiscutibile e preziosa marcia della Chiesa di Roma succede, per secoli. Capita ancora ai giorni nostri, contrap¬ ponendo conquiste clamorose nell'elevazione della dignità di popoli a rappresaglie penose verso gruppi operanti sullo stesso fronte, ma da punti strategici diversi, di avanguardia o nelle retrovie. Dolcino, che qualcuno vuole figlio di un prete, nato forse a Romagnano nel Novarese, allevato e istruito da un altro sacerdote a Vercelli, ftigge dopo aver rubato i risparmi al benefattore. Lo si ritrova a Trento dove veste il saio degli Umiliati e segue le teorie di Gherardlno Se garelli, fondatore della congregazione degli apostolici. Quando il maestro finisce sul rogo, Dolcino, trascinatore di folle, prende il suo posto. Ha un aspetto imponente e requisiti spirituali non comuni. La parola ardente, il viso patito e scarno affascinano la gente che accorre alle sue prediche. Lui si scaglia contro il clero ricco e corrotto. Gli Umiliati intanto lo cacciano dal convento «per immoralità», racconta tra altre cose padre Filippo da Rimetta, circa 500 anni dopo, ma gli storici demoliscono altre sue tesi e non credono a que¬ sta: Inventa bene ma con livore. Margherita Trank, la bellissima donna che segue Dolcino, ad esempio, non è una monaca sottratta ai voti come afferma padre Filippo, ma una ragazza che lascia gli agi della famiglia per dividere l'inquie¬ ta sorte dell'uomo che ammira e ama. E lo seguono anche tanti sbandati nel suo ritorno sui monti della Valsesia prima e di Biella poi. E' gente affamata, rotta a ogni espediente per sopravvivere. Qua e là non mancano ruberie. Tutte vengono addossate a Fra Dolcino da chi lo dipinge bandito. Lui continua a predicare la povertà a una schiera raminga sui monti dove si muore tra freddo, disagi e incursioni dei difensori della fede». Poi capeggia agguerrite controffensive nelle valli. La «banda» è annientata dal feroce attacco sferrato il 26 marzo 1307 dall'armata dei crociati di Clemente V. E' una strage. Dolcino e Margherita fatti prigionieri con il seguace Longino Cattaneo scendono in catene a Biella. Portati a Vercelli, il vescovo Rainieri li consegna al potere secolare, sinistro alleato dell'Inquisizione. Si accendono i roghi. Le vittime sfilano su un carro fra un turbine di insulti della plebaglia, e applausi a vescovi e prelati salmodiar.ti che precedono il corteo. I carnefici completano le torture. I ricchi del contado invitano la bella Margherita a rinnegare tutto e a sposarli. Lei sale impassibile sul patibolo mentre a Dolcino, testimonia Benvenuto da Imola, •strappano le carni con tenaglie infuocate, ma lui muta espressione solo quando gli amputano il naso, stringendo un po'le mandibole. Poi, ancora, contrae le nari ed emette un sospiro quando viene evirato-. Sono passati 681 anni. Sulle sue ceneri sparse al vento è cresciuta tanta erba, ma il sole riflette ancora 1 bagliori del suo tremendo supplizio. Vito Brasa L'eretico Fra Dolcino in una immagine del Gilardi