Ballerine, cavalli e guerrieri tra gli angeli

Ballerine, cavalli e guerrieri tra gli angeli A FIRENZE NELL'EX CHIESA DI SAN PANCRAZIO NASCE IL MUSEO MARINO MARINI Ballerine, cavalli e guerrieri tra gli angeli FIRENZE — Nel cuore della vecchia città, tra Santa Maria Novella e Palazzo Strozzi immersa in vie dai nomi famosi, Tomabuoni Del Sole, Belledonne, si affaccia la piazzetta di San Pancrazio. Li c'è una ex chiesa, omonima della piazza, ancora impalcata per 11 recente restauro. Ha una strana facciata: due superbe colonne rinascimentali ed un architrave di Leon Battista Alberti due anonimi leoni imbacuccati da un telo, inseriti in un falso volto neoclassico, opera di un fantasioso architetto dell'Ottocento. Ma, ecco il bello, tutto intorno vetri e strutture metalliche, e se alziamo lo sguardo, dietro al vetri, ben visibile un cavallo. E se, incuriositi facciamo qualche passo e sbirciamo diètro un grande portone, decine di cavalieri, in groppa ai cavalli disarcionati, a terra. E con loro donne floride, nude, strani esseri, forse giocolieri e ballerini ghignanti, sardonici allégri E angeli arcangeli piccoli guerrieri etruschi simili a crocifissi I nuovi abitatori della chiesa, rtpna lunga storia e sconsacrata da anni sono sculture di Marino Marini (Pistoia 1901Viareggio 1080). n 21 ottobre saranno visibili al pubblico con l'inaugurazione della «Fondazione per il museo Marinò Marini a San Pancrazio». Un'operazione durata qualche anno, che presenta insieme 176 opere del grande scul¬ tore-pittore ed il restauro esemplare, unico forse nel suo genere, di una ex chiesa che diventa museo. Un museo modernissimo tutto inventato secondo il percorso delle opere e di giochi di luce. L'idea di un «Museo Marini» a Firenze, risale al 1980, l'ultimo di vita dell'artista, che aveva già allora donato a Firenze, cui era particolarmente legato, 22 sculture, 31 dipinti ed una settantina tra disegni acquetarti e litografie. A questa prima donazione se n'era aggiunta una seconda della vedova Marina di 42 opere a Firenze e di 21 alla Fondazióne. Ma il problema era, come spiega il curatore Cario Pirovano, trovare lo spazio adatto. Dopo lunghe trattative la scelta cade sulla ex chiesa, di proprietà del Demanio, messa a disposizione di Firenze. Una chiesa antichissima, del 1000, che aveva subito decine di trasformazioni Nel '300 era stata tutta ricostruita con un'aula unica, che terminava in un coro ed in un transetto dotato di cappelle. Nel '400 erano realizzate la cripta, nuove cappelle, tra cui quella del Santo Sepolcro, progettata dall'Alberti per Giovanni Rucellai Nel 700 era inserita all'interno ' della struttura trecentesca una nuova chiesa che doveva sostenere una grande volta a botte, tutta dipinta da Sigismondo Betti (decorazioni oggi recuperate). Mutamenti insomma, fino att'800 quando, con la soppressione napoleonica, gli arredi sono messi all'asta e dispersi Da tutto riesce a salvarsi la cappella Rucellai che, resa indipendente, mantiene ancora oggi l'aspetto originario salvo le decorazioni dell'Alberti che vengono inserite nella Cacciata rifatta dall'architetto Bentini Ma non è finito: nel 1865 l'ex chiesa ospita la pretura, poi la Manifattura Tabacchi ed infine nel 1937 diventa deposito dell'annessa caserma militare. Agli architetti Bruno Sacci Lorenzo Papi e alla Soprintendenza si presentava quindi un compito difficile: salvare il salvabile e creare uno spazio che vivesse nella citta ospitando pitture e sculture, spesso gigantesche, del celebre- artista. «La soluzione adottato» spiega Bruno Sacchi allievo e collaboratore da vent'annl di Michelucci «é quella del rispetto delie strutture precedenti, ma anche del grande coraggio di rifare il nuovo, che deve apparire tale». Liberare l'ex chiesa, dunque, da tutte le aggiunte interne per creare un unico ambiente luminosissimo, tutto tagliato da giochi di ponti, scale, davanzali da cui poter guardare le opere in ogni posizione e da ogni punto di vista Materiali naturali caldi: cemento bianco e affresco per i muri, legno per elementi interni e supporti che, bellissimi nascono dall'architettura stessa, ferro, bronzo, pietra, vetro. L'impressione è felice: una gigantesca vetrata ricrea l'abside inesistente, un ingresso nuovo isola il museo dalla facciata «che merita rispetto», un primo soffitto tagliato al lati lascia visibile tutto l'interno, conservando però intatte le travi di ferro della Manifattura, tra i primi esempi di carpenteria metallica bullonata, addolcite da pannelli di vetro luminosi Ma qua e là ecco riaffiorare i pochi avanzi del tempo: pilastri medievali rimasti al loro posto, affreschi settecenteschi muri di mattoni pieni di storia, la cripta originaria. Persino — ed è affascinante — la cassaforte di pietra dei soldati •■che deve ricordare un precedente solaio eliminato per recuperare uva crociera gotica», ed i bocchettoni antin¬ cendio. E poi tutto il gioco psicologico e simbolico dei rimandi tra sacro e profano, cielo e terra, umanesimo e scienza sottolineati da architettura e collocazione delle opere. Anche il percorso è ben studiato. Ci ha lavorato Pirovano, da anni studioso di Marini di cui era amico. «Non un percorso cronologico, la cronologia si ricava dai soggetti che sono quelli di tutta la vita dell'artista, dalle Vergini dipinte su tavola nel 1916 al gesso col Ritratto di Oskar Kokoschka del 76-77. Si tratta di unpercorso tematico che in ognuno dei tre piani ricreati propone pezzi facendoli vedere da angolature inedite ed insospettate. Non è stato facile, il grande monumento dell'Aja, ad esempio, costituiva un vincolo terribile per le dimensioni». L'enorme Composizione equestre (1957-59), una scultura alta sei metri, fusione postuma autorizzata dalla Città dell'Ala, che lo stesso Marini voleva ubicata nel centro della «navata» sullo sfondo di luce dato dalla nuova vetrata absidale, incombe un pochino. Ma dall'alto dei tre solai la si vede piccola piccola. Al piano terra troviamo, dopo i ritratti scolpiti dell'artista e della moglie, opere dei primi anni ed i due temi fondamentali del Cavalieri e delle Pontone. Il cavaliere, che compare la prima volta nel 1936 costituisce dagli Anni Quaranta un soggetto di con¬ tinua ricerca: è l'uomo che combatte tutta la vita per essere alla fine disarcionato e sostituito dal Guerriero. La sensuale Pomona è invece il simbolo della fertilità, madre di quell'uomo lottatore e vinto. n tema è richiamato nei tre piani anche attraverso disegni e acqueforti in bachece e si mescola a quello altrettanto importante dei Giocolieri e dei Danzatori, che danzano e girano su dei supporti, e ad altri (Ritratti, Composizioni Nudi). Tra i pezzi più Importanti l'Arcangelo (1943) di gesso policromo del Museo di Zurigo, delicatissimo, ricomprato dalla signora Marini per 11 Museo, come quello splendido nuotatore (1932) in legno appartenuto alla dispersa collezione Jesi e riacquistato sul mercato. Ma la Fondazione non funzionerà soltanto come Museo. Diretta da un Consiglio di amministrazione formato da sei persone (tre nominate dal Comune di Firenze e tre dalla Fondazione Marini di Pistoia) avrà un direttore a contratto, che lo dovrà gestire anche per altre attività (mostre, conferenze, concerti spettacoli) che si terranno nella splendida cripta (circa 1000 metti quadri). Una struttura originaria restaurata proprio a questi scopi e che l'architetto chiama «La citta» per sottolineare il continuo contatto che si augura riesca ad avere con Firenze. Maurizia Tazartes Marmi: «Piccola Pomona»