L'eredità a teatro non conta di Pierangelo Sapegno

L'eredità a teatro non conta A Parma le vecchie famiglie cedono i loro palchi al Comune L'eredità a teatro non conta La proprietà dei posti era stata acquisita in cambio del finanziamento della costruzione del Regio L'amministrazione adesso è disposta a pagarli dieci milioni, ma i palchettisti chiedono di più DAL NOSTRO INVIATO PARMA—Adesso 1 signori del palco al Regio stanno per cedere il posto. Decideranno oggi, dopo un incontro con il sindaco e l'assessore da una parte e dall'altra una rappresentanza dei melomani più nobili e più antichi, quelli, appunto, che si tramandavano in proprietà dai giorni di Maria Luigia il loro bel palco al Teatro. A Parma potrebbe essere una giornata storica. E non è un modo di dire, nella città di Verdi e del culatello, perché il palco era proprio il tempio di Verdi e del culatello. Da oggi cederanno il loro posto le famiglie Marchi e Salvarani, lo cederanno Giacomo Chiesi, re del Citrosil, e Marianna Bucchich, moglie di Alberto Bevilacqua; e cederà il suo, monumentale, lassù, in quarta fila, pure la corale Verdi che alle sere delle prime, nel retro del palco, esibiva accanto alla gigantografia di «Poppino», come chiamano il Maestro con compiaciuta familiarità, l'affettatrice più bella dell'Emilia e una sfilata di salami, zamponi e prosciutti da innaffiare, ovviamente, con il miglior Lambnisco di queste parti Era una abitudine vecchia come il Regio, faceva parte dell'iconografia locale, que sto rito gastronomico: fra un atto e l'altro, nei retropalchi, i signori invitavano gli amici a bere e mangiare, alla grande. Ma anche al Regio, il tempo passa inesorabile. E quel lo del palco «era diventato ormai un privilegio antico, e forse inutile». Persino Lauro Grossi, sindaco di Parma, che sta vincendo la sua bat taglia più lunga, non fa festa. Anzi. Recita, con aria sommessa, in politichese: «Ho cercato di svincolare questa situazione dall'imperio del l'esproprio, cercando di tra vare un modus vivendi...'. Certo, non sloggeranno così, su due piedi, i palchettisti. C'è da trattare il modo, e sono da trattare i tempi. Spiega Grossi: •Abbiamo fatto innumerevoli riunioni. Adesso siamo arrivati al punto di chiudere. Noi abbiamo due proposte: con una definiamo il prezzo di vendi ta. Non chiamiamolo esproprio, per carità. E con la seconda, la proprietà passa direttamente al Comune con tanto di atto notarile. L'uso però resta agli attuali proprietari per 10-ió anni, tra¬ mite un accordo con l'amministrazione-. Sembra tutto facile, detto cosi. Ma non lo è ancora, in realtà. Le due parti sono divise dal prezzo, ad esempio. Guido Romano, presidente del Consorzio dei palchettisti, ammicca solo a metà: •Non vogliamo più fare battaglie, non vogliamo arrivare a nessun contenzioso giuridico. Però...'. Però 10 milioni per un palco di prima fila sono troppo pochi, protesta a bassa voce, -il valore reale è almeno il doppio, il triplo'. Suo nonno, racconta Roma¬ no, lo comprò nel 1921 da certa Pretendina Marchi per 10 mila lire. E la famiglia Marchi l'aveva comprato a sua volta, ai tempi di Maria Luigia, per tremila lire (1500, invece, costavano quelli di quarta fila). Maria Luigia fu costretta a metterli in vendita. Fece costruire il Regio, ma arrivata a metà, non aveva più i baiocchi per andare avanti. Andò a Vienna, per chiedere aiuto alla famiglia. Niente da fare. Risposta brutale: 'Non ti diamo un ducato, arrangiati». Viaggio di ritorno mesto. A Parma ebbe l'idea: una sor¬ ta di sponsorizzazione, i notabili le avrebbero dato 1 soldi per finire il Teatro e lei avrebbe venduto 1 palchi. Detto fatto. Così nacque il Regio. Per questo, qui il palco appartiene un po' anche al fondatori, per dirla con una certa enfasi. E per questo nell'elenco dei palchettisti mancano i padroni di oggi. Non ci sono Tanzi e Bormioli, non c'è Barilla. Ma una sfilza di avvocati, di notai dal 1600 come Fornari e Micheli, di casati come quelli di Lalatta e dalla Rosa Prati, di associazioni che for- se 11 ebbero in eredità, come le suore missionarie di Maria, 0 l'istituto Nazionale Ciechi. 1 vecchi padroni, le vecchie famiglie. «Noi abbiamo fatto buon uso di quel contratto, abbiamo contribuito alla fama'del teatro, abbiamo inventato costumi e abitudini che si sono tramandati intatti e che sono serviti all'immagine della città», ricorda Romano. Vero? Vero, verissimo, ammette Carlo Quintavalla, assessore al Regio. Verissimo, conferma 11 sindaco. «Ma erano tempi andati, la loro situazione oggi ha creato troppi problemi», insiste Franco Bianchi, ex assessore ai lavori pubblici. E racconta che quando cominciarono 1 lavori di restauro si trovarono davanti alle proprietà del palchettisti. Che fare, pagano anche loro per i restauri? 'Chiedemmo il parere dell'avvocato Cugurra, il legale del Comune. Ci disse: sono come i condomini, e devono partecipare alle spese proprio come in un condominio». Una parola. «In un teatro è mica come in una casa», sospira Lauro Grossi, il sindaco: «é difficile definire quote, riscaldamento, tariffe». Meglio l'esproprio, alla fine. Solo che questa querelle va avanti dal 1969. Un tiramolla interminabile. Prima il parere del Consiglio di Stato: «Se il Comune vuole espropriare può farlo in base al decreto legge 579 del 1937...». Poi il Tar, a metà Anni Settanta, che dava ragione ai palchettisti. E la Corte di Cassazione che dava ragione al Tar, e il ministero che invece riconosceva «la pubblica utilità» dell'esproprio... Avanti così fino ai giorni nostri. Adesso tutto sembra a posto. O quasi. Anche al Regio di Parma, dove persino il '68 era arrivato solo di striscio, sta arrivando la rivoluzione. Vent'anni fa l'unico che pagò la contestazione fu l'ingegner Michele Vitali Mazza che arrivò con la carrozza trainata da due cavalli, e che passò con il cilindro e il frac fra due fila di fischi e il tiro incrociato di pomodori. «Solo coreografia», dicono i melomani. Oggi, invece, è un'altra musica: i loggionisti che ormai non fischiano più, e i signori del palco che se ne vanno, i riti gastronomici nel tempio della musica che si esauriscono. C'era una volta il Regio... Pierangelo Sapegno

Luoghi citati: Emilia, Parma, Roma, Vienna