Dal ring agli affari sbagliali l'ultimo «ko» per Benvenuti di Gian Paolo Ormezzano

Dal ring agli affari sbagliali l'ultimo «ko» per Benvenuti À Trieste i creditori chiedono al tribunale di pignorare Villa Macrì Dal ring agli affari sbagliali l'ultimo «ko» per Benvenuti Il popolare ex pugile ha cinquantanni: vende libri e commercia salmoni TRIESTE — n vecchio campione è alle corde. Difficolta economiche, la fila dei creditori che s'allunga. E il tribunale che decide di mettere all'asta Villa Macrì, la sua residenza triestina: prezzo 107 milioni. E' la storia recente di Nino Benvenuti. Dopo la gloria del ring, Nino ha avuto vita difficile: travagli sentimentali, affari balordi, una precaria attività di pubbliche relazioni. Intanto, a Trieste, i guai si moltiplicavano, come 1 debiti. Al tribunale, ora, l'elenco dei creditori che hanno chiesto il pignoramento della Villa è lungo. La tentazione di parlare del pugile Giovanni Benvenuti detto Nino come di un'altra vittima della boxe distruttiva che rovina cuori e cervelli e condanna ad una vita ingrata, è forte, ma in questo caso è assurda, è colpevole. Nino Benvenuti sta a posto, di fisico e di mente, porta con classe lo smoking alle feste e parla inglese, tiene conferenze contro la droga, conosce l'italiano così bene che Rai 3 gli ha rinnovato il contratto come commentatore. Ha sbagliato alcune cose negli affari. Uno dei metodi per non sbagliare nulla consiste nel non fare nulla. Non è il caso di Benvenuti. Ha tentato molte cose per uscire dal cliché del pugile-che-vive-di-rendita. Diciamo che non si bastava, pugile e soltanto pugile, ex campione subito troppo ex per i suoi gusti. Ha percorso un po' di carriera radiotelevisiva, ha venduto inchiostri e ora vende libri (edizioni di pregio) e salmoni. Di questo pesce prezioso ha una rappresentanza per l'Italia. Ha moglie e cinque figli: la quinta è un'asiatica adottata. Ha avuto una grande carriera di pugile e un'intensa vita. Lo hanno sfiorato scandali grossi e piccoli, inventati e no. Ha patito l'amorazzo in più, come da copione, con tanto di figlia attribuitagli. E'stato chiamato negli Usa per deporre sulle magagne del mondo pugilistico, qualcuno lo ha voluto anche vedere imputato. Già, gli Usa. Sono passati tanti dollari sopra, sotto, di fianco, accanto, anche dentro a Benvenuti («ho rifiutato un'offerta da mezzo miliardo per reclamizzare una catena di ristoranti Usa» ci ha detto «perché non ritenevo quella pubblicità adatta eticamente a un campione»,). Tre incontri con Griffith, il pugile effeminato e feroce delle Isole Vergini, due vittorie e una sconfitta, grosse borse. Benvenuti non ha saputo tesorizzare il denaro. E' una colpa, ma è una colpa di uomo, e di tanti uomini. Non c'entra il pugile suonato. Non c'entra neppure il sordido-mondodella-boxe. Benvenuti ha chiuso, l'S maggio 1971, con¬ tro Monzon d'Argentina, con soldi in banca e fisico integro. Quella volta — era la seconda sfida con l'indio terribile, ora in carcere accusato di avere uccisa la moglie —, qualcuno pensò che il manager di Nino, Amaduzzi, avesse peccalo di precipitazione nel gettare la spugna. In realtà il pugile era finito, dopo una carriera quasi da favola, con dentro il titolo olimpico dei welter a Roma 1960 e il titolo mondiale professionistico dei medi, prima volta per un italiano, conquistato proprio su Griffith, il 17 aprile 1967 a New York: per Nino, quella notte, a seguire la radiocronaca restò sveglia l'Italia, fu il primo caso di notte in bianco per un evento sportivo, nella già allora ricca storia della nostra passione sportiva. Da dilettante una sola sconfitta, e misteriosa, in Turchia. Da professionista 82 successi (40 prima del limite), un pari, 7 sconfìtte (3 prima del limite). Il titolo mondiale dei medi juniors, su Mazzinghi, prima di quello dei medi. Corone italiane ed europee. Tanta fama, tante attenzioni al bel ragazzo biondo, che a 23 anni aveva sposato Giuliana, maestrina di Trieste, la donna che ancora ieri l'ha difeso dagli assalti delia curiosità, quando sono diventate di dominio pubblico le brutte notizie sulla sua situazione finanziaria. Nino Benvenuti ha voluto, ripetiamo, liberarsi dal cliché dell'ex campione, ha fatto tanto per questo ed ha commesso tanti errori. Probabilmente quella voglia abbastanza matta di bizzarrie, di libertà, di invenzioni che riusciva a sfogare sul ring, anzi a sfruttare, canalizzandola bene, gli ha nuociuto nella vita diciamo degli affari. La moglie ci ha detto: «Cercate di ricordare quanto Nino ha dato allo sport italiano, e quanto poco ha avuto». In effetti le grandi cifre sono cominciate dopo gli anni di Benvenuti. Il resto sarà cronaca di questi giorni. Benvenuti ripiomba nella cronaca cosi, senza rete. A noi preme ricordare l'ex pugile in grado di raccontare e raccontarsi con perfetta lucidità, l'uomo d'affari impegnalo (a commettere errori, anche, ma non per colpa dei colpi di Monzon). La vicenda di Benvenuti è triste, ma neanche il più grande nemico del pugilato può sistemarla fra le pratiche disperate, strazianti. Un esempio, proprio con 'materiale» italiano: ben altro peso quanto a squallore ha la vicenda del Benvenuti (triestino anche lui) del primo dopoguerra, Tiberio Mitri, al centro di storie di botte fuori ring, di droghe, e con il figlio morto per overdose imposta dal brutto mondo di cui il padre aveva finito per fare parte. Gian Paolo Ormezzano Trieste. Per Nino Benvenuti una vita piena di creditori (Ansa)