False le foto degli ostaggi Usa

False le foto degli ostaggi Usa Semplici riproduzioni le immagini trovate nella valigia della libanese False le foto degli ostaggi Usa MILANO — Adesso è certo: le foto degli ostaggi americani trovate nella valigia della libanese fermata a Linate non sono state scattate dal vivo. Sono riproduzioni di altre foto che chiunque poteva fare, dato che sono state pubblicate a più riprese su vari organi di stampa. Il test eseguito dalla polizia non lascia spazio a dubbi. Il «giallo» assume sempre più 1 contorni di una truffa. E' infatti assai improbabile che i rapitori, durante una trattativa, non facciano avere foto originali. Secondo Achille Serra, capo della Digos, è ancora presto però per trarre conclusioni definitive. Manca infatti la «prova del nove», cioè il confronto tra il messaggio che portava con sé Aline Ibrahim Rizkallah e uno scritto con firma autografa di Alan Steen. Questo confronto finora è stato impossibile e non per negligenza del periti italiani ma perché dall'America non è ancora arrivato uno scritto originale del professore rapito. Nell'ufficio della Digos i corrispondenti delle agenzie di stampa internazionali e delle reti televisive americane, presenti alla conferenza stampa, si dimostrano stupiti di questa inefficenza. Più maliziosi gli italiani: -Manca forse la collaborazione?-. 'No—dice il capo della Digos — la collaborazione c'è. Ritengo che il ritardo sia dovuto a disguidi tecnici». H ritardo c'è anche nell'identificazione della terza foto. Si suppone sia un ostaggio ma non c'è ancora la certezza. La Digos ha deciso di rendere pubblica l'immagine sperando che qualcuno sappia dire chi è. Anche in questo caso c'è un ritardo degli americani. La polizia italiana aveva infatti chiesto le foto di tutti gli ostaggi prigionieri in Libano (quelli degli Usa sono dieci), ma finora non sono arrivate. Anche l'immagine dello sconosciuto, comunque, è la riproduzione (più esattamente l'ingrandimento) di un'altra fotografia. Assodato che le foto non sono state prese dal vivo, in attesa della perizia sul messaggio firmato Steen, alla polizia restano gli altri filoni d'indagine. Ieri c'è stato un incontro in procura presenti il sostituto Ferdinando Pomarici, che segue le indagini. Serra, due funzionari e il magistrato di Massa Augusto Lama. Perché lui? Perché questo giudice aveva indagato sul traffico d'armi della «Boustany one» e quindi conosce bene il personaggio Anghessa (che — lo ha dichiarato ieri il portavoce del dipartimento di Stato americano Redman — circa un anno fa entrò in contatto con uh consolato Usa e cercò di vendere 'informazioni riguardanti gli ostaggi»). E perché a Massa era indirizzata la lettera in codice che aveva con sé la donna libanese. Più esattamente doveva essere recapitata ad un detenuto in quella città. Si sa che è un italiano, arrestato per reati comuni: nulla a che fare, apparentemente, con il terrorismo medio-orientale. Il suo nome (tenuto segreto) si ricollega all'emissario di Beirut di Aline Rizkallah, quello che ha consegnato alla donna il materiale. E' un libanese che era già stato in Italia «ospite» a quanto sembra delle nostre prigioni per traffico di droga. Durante la sua permanenza carceraria avrebbe conosciuto il detenuto di Massa. E' possibile che questo libanese avesse tentato di impiantare in Italia un traffico di droga e banconote false. ssa.

Persone citate: Achille Serra, Alan Steen, Aline Ibrahim Rizkallah, Anghessa, Augusto Lama, Ferdinando Pomarici, Redman, Steen

Luoghi citati: America, Beirut, Italia, Libano, Milano, Usa