Bibbia e bastone nell'urna d'Israele di Guido Rampoldi

Bibbia e bastone nell'urna d'Israele Dietro l'inquietante propaganda dell'estrema destra antichi e nuovi fantasmi dello Stato ebraico Bibbia e bastone nell'urna d'Israele il rabbino ultra Kahane è stato escluso dalle liste, ma non la sua idea che sionismo e democrazia sono incompatibili - E Likud e laboristi devono adeguarsi - Negli spot per la prima volta compare l'arabo, anche se come pericolo o intruso DAL NOSTRO INVIATO GERUSALEMME — Su la testa, in piedi, affinché il re della gloria possa entrare, cantano con impeto i ragazzi radunati nel cortile mentre i vessilliferi con le bandiere israeliane e le giovanissime guardie del corpo annunciano l'arrivo del rabbino Meir Kahane, il profeta venuto da Brooklin per insegnare agii arabi che un non ebreo intenzionato a vivere in questo Paese deve accettare uno status servile. Non sono io a dirlo, è scritto nella Bibbia, va urlando Kahane in spiritati raduni come questo, ed il trasporto è tale da sospendere i tic che di solito gli scuotono le braccia, il viso, come intermittenti scosse elettriche. Quando non cita Isaia, quando non saccheggia le Scritture, 11 guru del proletariato giovanile scalda 1 suoi miliziani con uno slogan elementare: «OH arabi sono un cancro da estirpare'. •A morte gli arabi!-, rispondono i ragazzi con la maglietta gialla e il pugno stampato davanti. Secondo i sondaggi di settembre il 5-6% degli elettori si preparava a votare Kach, il partito di questo vecchio inagrissimo e barbuto che le foto delle prime pagine mostrano mentre fende folle eccitate sulle spalle di un suo adepto; e l'idea-guida di Kahane — il trasferimento, ovvero l'espulsione di 1 milione 750 mila abitanti arabi della West Bank e di Gaza — riadattata in versioni più eufemistiche è diventata un grande tema elettorale. Kahane non potrà raccogliere 1 frutti di ciò che ha seminato perché l'Alta Corte di giustizia ha definitivamente estromesso il Kach dalle elezioni, in quanto partito razzista; ma non è stato estromesso il dubbio che in pochi anni questo rappresentante del vero spirito del giudaismo — secondo lo sbalorditivo attestato del rabbino capo sefardita, Mordechai EUahu — ha conficcato nei cervelli delle ultimissime generazioni: chiunque pensi che il sionismo e la democrazia occidentale siano compatibili o è uno scemo o un furfante. Compatibili, i due elementi del sistema israelia no lo sono stati per 40 anni, e anzi all'inizio la forza Ideale del vecchio sionismo aveva costruito un incastro quasi perfetto; ma adesso proprio il fatto che un Kahane trovi ascolto e credito fa sospettare che 11 modello democratico e 10 Stato etnico sionista tendano a scollarsi rovinosamente. E poi basta accendere ogni sera 11 televisore tra 11 telegiornale e Dynasty, quando vanno in onda quaranta minuti di spot elettorali, per capire che Kahane non è un soltanto un prodotto d'importazione. Appare il generale Rahamim Ze'evi, del partito di destra Moledct, e dice che l'unica soluzione è il trasferimento volontario degli arabi: tutti all'incirca turbolenti e criptoterroristi, suggeriscono le immagini di scontri e violenze. Al partito trasversale del trasferimento sono iscritti anche 11 generale Eitan, capo di un'altra formazione di destra, Zomet, e, seppure più defilati, diversi esponenti del Likud, il partito del primo ministro Shamir. Quest'ultimo, che in queste elezioni veste 1 panni del moderato, dallo schermo fa sapere che se nei territori occupati gli arabi inizieranno una rivolta armata non ne resterà vivo nessuno. Alla stampa estera Shamir ha spiegato che si riferiva solo a quelli che avessero imbracciato le armi: ma questa precisazione è stata omessa all'elettorato. L'altro grande partito, il Labour, presenta all'utenza un'orda di bambini arabi e informa che il Likud ha promesso (ma non è vero) pieni diritti civili ai palestinesi una volta annessi ad Israele la West Bank e Gaza; un Parlamento inondato dalle kefiah, il copricapo che è anche un simbolo dell'Olp, spiega per immagini il rischio conseguente. Che marci al rallentatore in masse compatte o punti la fionda verso la quiete dome- stica del telespettatore israeliano, che armeggi Intorno ad un katiuscia o abbia la faccia dell'arciassassino Arafat (e mai quello impiastricciato di sangue di Dia Muhammad, 5 anni, ucciso da una pallottola nel territori occupati) l'arabo è 11 protagonista negativo di tre quarti della propaganda elettorale, lo spettro che bussa alle emozioni più profonde di un popolo perseguitato. Cosi ogni sera i 700 mila israeliani di etnia araba si vedono raccontati all'incirca come un inquietante intruso, fratello del Golem palestinese che imperversa nei territori occupati. Sbarcando poi anche nella West Bank e a Gaza quelle immagini sembrano fatte apposta per rinforzare il gioco di specchi che alimenta le simmetriche xenofobie araba e israeliana. Ma allo stesso tempo è come se due popoli, uno al di qua e l'altro al di là dello schermo, per la prima volta si guardassero negli occhi. Nella campagna elettorale dell'84 l'arabo era del tutto assente, completamente invisibile. Adesso ha conquistato il palcoscenico elettorale, si è accampato nelle case israeliane e non lascia alibi: pretende una scelta. Solo la Terra, il grande simbolo su cui fa leva la propaganda del cosiddetto campo nazionalista, ha la forza emotiva per sfrattare l'arabo dalla scena elettorale. Eretz Yisrael. Terra d'Israele, la nazione ebraica promessa dalla Bibbia, il Regno di David, la patria persa nella notte dei tempi e solo in parte riconquistata nel 1948, si stende dal Giordano al mare. Non com¬ prende il Sinai, restituito all'Egitto con l'accordo di Camp David. Comprende invece i territori occupati: che negli spot del campo nazionalista hanno i nomi biblici di Giudea e Samaria, e appaiono come un paesaggio mosso da colline amene, luoghi idilliaci e opportunamente deserti; neppure l'ombra di un residente arabo. Af sha'al, non (lasceremo) un solo centimetro di terra, è stato lo slogan opposto dal Likud alla formula «territori in cambio di una pace stabile» proposta dal La¬ bour. Af sha'al ha molto più a che spartire con la storia biblica che con il problema della sicurezza, cruciale per Israele: e infatti perfino il piano di difesa preparato da un super-falco come il generale Ariel Sharon prevedeva il ritiro dell'esercito da vaste aree prive di importanza strategica. Si legge adesso nella propaganda del Likud: «Proponiamo di rinnovare il sogno profetico di ristabilirci nella Terra dei Padri, per diventare un grande popolo e una luce per le nazioni» (Isaia 49,6). La propaganda della destra è immersa In questi sìmboli potenti e anticlii, che azzerano il tempo e la prospettiva storica, e sposandosi allo stereotipo dell'arabo fanno soffiare su queste elezioni uno strano poujadismo in salsa zelota. Nel campo avverso ricorre al passato anche l'unico dei sei partiti religiosi vicino ai laboristi: attraverso la sequenza scolpita sull'arco di Tito, gli ebrei aggiogati al carro imperiale, il Meimad avverte Israele che i sogni di gloria e di grandezza possono condurre al disastro. Dal Labour al Likud tutti dicono che queste sono le elezioni più importanti dal 1948: ma Gadi Wolfsfeld, teorico di comunicazioni di massa alla Hebrew University, vede prevalere l'emotività e linsulto sulla chiarezza e sulla razionalità. In tv si assiste a polemiche a puntate, ad un serial dell'affronto. I commentatori politici non si entusiasmano. Dove sono i Ben Gurion, i Dayan, dov'è Golda?, si chiedono tracciando un parallelo con il flebile carisma degli attuali contendenti. Leaders senza faccia, li definisce il politologo Alan Shapiro sul Jerusalem Post. Shapiro lamenta una scarsa trasparenza. Per esempio Shamir. Nel passato ha sostenuto che l'assassinio politico, distinto da atti mdiscrirninati di terrorismo, può influenzare il corso della storia; ed è stato più volte chiamato in causa in relazione a delitti politici, dal conte Bernadotte in poi. Fare luce sul profilo ideologico di questo riservato ex capo delVlrgun aiuterebbe la scelta degli elettori, scrive Shapiro. Solo queste solitarie curiosità affrontano il dilemma tralasciato dalla campagna elettorale e a suo modo affacciato da Kahane: quali devono essere i principi di diritto cui Israele deve attenere la sua condotta, e quali i rapporti con la legalità intemazionale? Anche su questo si vota il primo novembre, dato che si tratta di scegliere tra uno statu quo garantito dai fucili e un negoziato per stabilire lo status giuridico dei territori occupati e riconoscere i diritti politici agli abitanti arabi. Guido Rampoldi Gerusalemme. Il premier Yitzhak Shamir taglia la torta del suo 73° compleanno (Telcfoto Ap)