Eden e la resa italiana senza condizioni

Eden e la resa italiana senza condizioni UNO STUDIOSO INGLESE RIVELA RETROSCENA DELL'«ARMISTIZIO LUNGO» Eden e la resa italiana senza condizioni Il 29 settembre 1943 il maresciallo Badoglio sottoscrisse a Malta con gli anglo-americani il cosiddetto armistizio ••lungo», per distinguerlo da quello «corto» (detto anche breve), firmato a Cassibile, per incarico delio stesso Badoglio, dal generale Castellano, il 3 settembre precedente. Quasi mezzo secolo è trascorso e nonostante una imponente documentazione (citeremo, tra gli altri, il libro della Vanna Vailati, 1943-1944 La storia nascosta, Torino 1986), quegli avvenimenti non sono ancora del tutto chiariti e neppure indiscussi. Ed è un vero peccato, perché ebbero un. peso determinante o quanto meno importante nella condotta dei primi governi postfascisti. Infatti, la differenza tra l'armistizio «corto» e quello ••lungo» non sta nel numero degli articoli (dodici contro quarantaquattro) quanto nella loro sostanza. Il primo, nòto anche come «armistizio militare», non contempla la •resa incondizionata- da parte dell'Italia. Solo l'ultimo articolo, il dodicesimo, dice che l'Italia avrebbe dovuto impegnarsi ad eseguire -altre condizioni di carattere politico, economico e finanziario-. E' noto che il gen. Castellano era incerto se accettare o nò", sia perché le sue istruzioni non arrivavano a tanto, sia perché egli intendeva concordare un «rovesciamento» delle alleanze. Se sì decise a farlo, non fu per la «sceneggiata» del gen. Alexander (che presentatosi a lui in alta uniforme minacciò di consi¬ derarlo un traditore), ma perché il generale americano Be dell Smith lo informò della decisione presa a Quebec poco prima da Churchill e da Roosevelt, secondo cui le condizioni fatte all'Italia sarebbero state modificate sulla base dell'apporto di essa alla causa alleata. Come suole avvenire in questi casi, era ragionevole pensare che la riserva dell'art. 12 sarebbe caduta una volta venutosi a stabilire un rapporto diretto con gli alleati sul piano politico-militare. Tant'è vero, che era intervenuto il 23 settembre un accordo tra il comandante in capo delle forze alleate del Mediterraneo ed il ministro italiano della Marina, De Courten, in base al quale la fiotta italiana, sia militare che mercantile, avrebbe collaborato con gli alleati, sotto bandiera italiana e con equipaggi italiani. Il tono dell'armistizio di Malta è tutto diverso. Si tratta di una vera e propria «resa incondizionata-, specificata e dettagliata al massimo, che sottopose l'Italia spesso in modo umiliante a un'onnipotente Commissione alleata di controllo. Sappiamo ora dalle ricerche di Richard Lamb, uno studioso inglese che combatté in Italia con i partigiani (77ie Ghosts of Peace: 1935-1945, London 1987), che a volere la -resa incondizionata- dell'Italia era stato il ministro degli Esteri britannico Eden, contro il parere dello stesso Churchill e soprattutto del gen. Eisenhower. E questo fatto, commenta Lamb, «ebbe perniciose conseguenze per gli allea- ti-. Ed anche per l'Italia. Occorre dire che, contemporaneamente alla firma dell'armistizio, il gen. Eisenhower indirizzò a Badoglio una lettera, in cui ammetteva che le condizioni erano in parte superate dagli avvenimenti e che molte clausole erano decadute. Il 9 novembre successivo l'armistizio di Malta venne modificato formalmente nel senso che furono tolte alla resa delle forze armate italiane (art. 1) le parole -senza condizioni-. Che gli alleati avessero la coscienza di aver giocato all'Italia un dirty trick, lo dimostra il fatto che essi si opposero a rendere pubblici i termini dell'armistizio lungo. Ora, se un impegno in questo senso era contenuto nell'armistizio di Cassibile, non c'è traccia di esso in quello di Malta. Evidentemente gli alleati si preoccupavano, non a torto, dell'impatto che la conoscenza delle clausole dure ed umilianti dell'armistizio avrebbe avuto sull'opinione pubblica italiana. Quando, nel giugno del 1944, il mar. Badoglio dovette cedere il governo a Ivanoe Bonomi, a ciò designato dal Comitato di Liberazione Nazionale, nel comunicargli il testo dell'-armistizo lungo», 10 avverti anche che gli alleati non intendevano renderlo pubblico. Non fu la sola spiacevole sorpresa per Bonomi: questi dovette subire l'ingiunzione da parte dell'ufficiale britannico della Commissione di controllo, di «sospensionedei suo governo sino a quando non avesse ottenuto il •gradimento- alleato! A Bonomi non rimase che protestare energicamente, anche a nome del Cnl, contro un'imposizione cosi avvilente. Si sa che la pretesa era dovuta alla preferenza di Churchill per un nuovo governo Badoglio. E' in un tale quadro che il problema della pubblicazione dell'armistizio «lungo» assume un valore emblematico. Uno o più deputati italoamericani, non convinti della giustezza dell'operato del loro governo, pretesero di conoscere il testo dell'armistizio. L'ammiraglio Stone, che presiedeva la Commissione di controllo, chiese a Bonomi 11 suo parere in proposito. L'ambasciatore Fenoaltea, che era presente in qualità di sottosegretario all'Interno, mi ha raccontato che sia il sottosegretario agli Esteri Visconti Venosta, sia il segretario generale di quest'ultimo ministero. Renato Prunas, facevano energici gesti di diniego. Fenoaltea, che aveva intuito che l'amm. Sto¬ ne cercava di addossare la responsabilità del rifiuto a Bonomi, convinse quest'ultimo ad accettare. Naturalmente nonostante questa e nonostante le successive richieste di Bonomi, l'armistizio lungo venne reso pubblico solo a guerra finita, sotto il governo Pani. Cioè quando gli alleati non avevano più da temere la previdibilmente giusta reazione degli italiani. Non pertanto esso rimase in vigore sino al trattato di pace. Questo spiega perché siano risultati inutili gli appelli di Bonomi, e poi di Parri e di De Gasperi, perché si concedesse all'Italia il tanto promesso status di -associata», o quanto meno si sostituisse l'armistizio con una pace separata. Anzi il presidente Bonomi e l'on. De Gasperi (ministro degli Esteri nel dicembre 1944) dovettero affrontare un'altra dura prova a proposito dell'armistizio. Questa volta fu il gen. De Gaulle che, rancoroso per non essere stato ammesso a sottoscriverlo, decise che la Francia era ancora in guerra con l'Italia. Perciò inviò un corpo di spedizione a occupare la Val d'Aosta e una parte del Piemonte. Solo un ultimatum del presidente Truman, in seguito ai pressanti appelli di Bonomi, riuscì a far ritirare le truppe golliste. Ecco perché, a quasi cinquantanni di distanza, l'armistizio «lungo» ci appare non soltanto un documento •vergognoso- e •inutile-, come lo defini l'ex premier britannico Macmillan, ma anche uno strumento iniquo. Enrico Serra II maresciallo Badoglio nel '43