Filosofo nel mistero del male di Sergio Quinzio

Filosofo nel mistero del male CON PAREYSON, PRIMA DELL'ULTIMA LEZIONE Filosofo nel mistero del male Entrato a 17 anni all'Università di Torino, ne esce domani a 70 • Alla sua scuola di estetica si sono formati Vattimo, Eco e Ceronetti • Lontano da mode e compromessi, afferma la necessità d'immergersi «con tragica consapevolezza nella dolorosa problematica del male» • E cerca una via, tra filosofia, religione e arte, che coinvolga «tutti, credenti e non credenti» TORINO — Dell'incontro con Luigi Pareyson, circa tre anni fa, nella sua casa di Rapallo, ricordo anzitutto una confidenza, o confessione. Disse press'a poco cosi: ho speso le mie forze per liberarmi dalla corazza dei luoghi comuni idealistici e spiritualistici, e sono giunto troppo tardi nella mia vita alla scoperta del «male radicale: Ma gli anni non verdi e la salute precaria non impediscono all'«ultimo Pareyson» di portare avanti la sua riflessione con grande passione e vigore intellettuale, e i temi che propone oggi sono i più inquietamente ricchi e provocatori. Entrato a diciassette anni nell'Università di Torino, Pareyson ne esce domani a settanta, tenendo la sua ultima lezione. Vi ha insegnato estetica dal 1945 al 1964, e poi filosofia teoretica, dal 1964 a oggi. Oltre che dalle opere — dalle prime, agli inizi degli Armi 40, sull'esistenzialismo, fino a Verità e interpretazione (1971), in cui sviluppa compiutamente la sua filosofia ermeneutica — il valore e la risonanza della sua aperta ricerca sono testimoniati anche dal ruolo che nella cultura non soltanto filosofica, e non soltanto italiana, svolgono oggi, per ricordare soltanto tre nomi, Guido Ceronetti, Umberto Eco, Gianni Vatti mo, che si sono formati alla sua scuola. Mentre Pareyson lavora al l'Ontologia della libertà, l'opera che rappresenta l'attuale tappa della sua riflessione esce in edizione tascabile Bompiani un suo libro del 1954, Estetica: teoria della formatività. Segni evidenti delia vitalità e dell'incidenza del suo pensiero. Uomo appartato e schivo Pareyson ha accettato tutta via di rispondere ad alcune mie domande. La verità — La sua concezione dell'ermeneutica si distingue da quelle forme di ermeneutica che intendono fare a meno della verità. Per lei la verità si offre solo all'interno delle interpretazioni che se ne danno; ma l'interpretazione attesta una solidarietà originaria fra l'uomo e la verità. A me pare che le diverse Warpretazioni possano essere sentite come svelamento della ricchezza della verità, ma anche come un terribile segno di lacerazione. 'Segno di lacerazione non è la molteplicità delle interpretazioni, la quale è la vita storica della verità e ne svolge l'inesauribile ricchezza, ma la possibilità dell'errore. Non sì accede alla verità se non attraverso la libertà, che può essere consenso e accettazione oppure rifiuto, tradimento, negazione. Le interpretazioni degne del nome per diverse che siano sono tutte vere; ma nell'enorme quantità di discorsi che invadono il mondo esse sono un'esigua minoranza. Camuffati da interpretazione circolano innumerevoli discorsi che non si curano per nulla della verità, anzi non fanno se non tradirla, violarla, ripudiarla, negarla. Essi sono l'errore. •Che l'uomo possa errare è certo segno della sua libertà, ma è frutto d'una libertà negativa, che itisinua nell'uomo la menzogna e la mistificazione. Anche l'interpretazione, come qualsiasi altra attività umana, è esposta al rischio del fallimento, dell'errore, della menzogna; e questo è segno della situazione tragica dell'uomo, il quale con la sua libertà può realizzarsi ma anche perdersi». - In che senso un pensiero tragico come pensiero legato al rischio della libertà e alla contraddizione del negativo, del male, è ancora un pensiero filosofico? «La filosofia oggi si trova a un punto crìtico. Da un lato non può evitare di affrontare il problema del male nel suo duplice aspetto della colpa e della sofferenza. Il ?iostro secolo ha purtroppo fatto la triste esperienza degli abissi del male in cui può precipitare l'umanità, sia per aver avuto come governanti personaggi assolutamente diabolici, sia per le sofferenze inflitte dall'uomo all'uomo con persecuzioni, massacri, genocidi e col terribile Olocausto. Dall'altro lato il pensiero filosofico si è dimostrato nel corso dei secoli del tutto incapace di affrontare il problema del male, perché la ragione filosofica tende a mettere da parte ciò di cui non riesce a render conto e a occultare ciò che la disturba per la sua inspiegabilità. -Il problema del male si trova affrontato in tutta la sua incandescenza nell'arte e nella religione, dalla tragedia greca al romanzo dell'Otto e Novecento, e dalla coscienza religiosa soprattutto cristiana. Dobbiamo lasciare che questi problemi capitali per la filosofia restino affidati esclusivamente all'arte e alla religione? Con ciò la filosofìa mancherebbe al suo compito di ricerca critica e radicale. La via da seguire mi sembra quella di un'ermeneutica filosofica dell'esperienza religiosa, che ne chiarisca il significato ampiamente umano e ne universalizzi i termini in modo da coinvolgere o almeno interessare tutti gli uomini, cre¬ denti e non credenti-. — Ma che cosa resta, allora, dell'antica alleanza tra la religione, che trovava nella metafisica un'ulteriore garanzia della propria verità, e la filosofia? -La concezione tradiziona,le della filosofìa come metafìsica conclusa, oggettivante e dimostrativa resta con ciò abbandonata in favore di un discorso ermeneutico che non rinuncia ad esser filosofico mentre va a cercare i problemi dell'uomo dove effettivamente si trovano. In tal senso questa ermeneutica della coscienza religiosa prende la forma d'un ripensamento filosofico del cristianesimo. Certo un'esperienza religiosa pienamente consapevole dell'assillante urgenza del problema del male e della sofferenza non può indulgere agli aspetti consolatori di una fede che si affidi solo alla dolcezza dell'abitudine e alla sicurezza della tradizione. Sotto questo riguardo la religione d'oggi è consentanea con lo spirito del secolo, che conosce il dubbio e l'angoscia, il male di esistere e la disperazione, la tentazione dell'assurdo e del nulla. •Certo è più che legittima l'aspirazione dell'uomo alla pace e alla consolazione, ed è giusto che la religione prometta sia l'una sia l'altra. Ma è sconvolgente che l'uomo non possa fare il bene se non con lo stesso atto con cui può fare at,chc il male, e che una stessa energia, quella della libertà, animi sia il male sia il bene. Ed e molto scoyicertante che alla consolazione genuina l'uomo non possa giungere se non attraverso il deserto della disperazione, e che la gioia autentica non possa essere se non il termine d'un cammino di sofferenze. Il cristianesimo al quale mi rifaccio non e quello delle anime belle e non ha niente di tenero e sentimentale, ma è duro, aspro, difficile, impegnativo-. Il perdono — Il nostro tempo sembra aver bisogno di un'etica. Quale possibilità e quale spazio ha l'etico nell'orizzonte del pensiero tragico? -E'la religione, non l'etica, il campo proprio del problema del male, perché solo la religione è in grado di indicare la radice comune della colpa e della sofferenza, e di affrontare il male in tutta la sua complessità di male originario. C'è un male preesistente alle colpe personali e proprio di tutta l'umanità; c è una responsabilità collettiva anteriore a quella individuale; c'è una solidarietà di tutti gli uomini nella colpa e nella sofferenza; come appare non solo dalla concezione biblica del peccato originale ma anche dalla concezione greca della colpa tragi- ca. E' in questa colpevolezza universale che si ritaglia il campo più ristretto delle colpe personali proprio della coscienza etica. Un 'etica autonoma è dominata dal rigore inesorabile della legge morale, che ignora sia il pentimento sia l'espiazione; l'etica religiosa conosce il valore redentivo della sofferenza ed e sostenuta dalla prospettiva del perdono-. Il destino — I suoi interessi si sono spostati dall'estetica e dall'ermeneutica verso la problematica religiosa e il pensiero tragico. Si tratta di una vera e propria cesura? Oppure non c'è il rischio che, come oggi affiora da più parti, proprio il tragico si congiunga all'estetico? «Non è una cesura ma piuttosto un ritorno, anzi una continuità mai interrotta. I miei primi studi vertevano su una problematica religiosa: la filosofia dell'esistenza. Kierkegaard. Karl Barth. Una "estetizzazìone" del tragico può essere pregiudizievole per la tragicità solo se si lascia ispirare da una forma di estetismo, no?; se ricorre all'arte vera. Come ermeneutica del mito la filosofia oggi non può fare a meno dell'arte e del pensiero ongìnario che Vi risiede. -Non è meraviglia che la coscienza contemporanea tenda a prestare sempre maggior attenzione ai vincoli di verità che collegano fra loro in modo indissolubile arte, letteratura, poesia, filo- sofìa: vi hanno contribuito gli studi dei romantici sul mito, l'opera dei grandi demitizzatoti quali Marx, Freud, Nietzsche, la stessa ambivalenza di sommi pensatori che non si sa se siano più artisti o filosofi, come Kierkegaard, Dostoevskij, lo stesso Nietzsche. -Sempre più ci si è resi conto che la verità va cercata non solo attraverso la filosofìa ma anche nelle forme dell'arte. Ne è risultalo un mutamento non solo nel modo di leggere gli scrittori e i poeti, rendendo il loro linguaggio trasparente a grandi verità decisive per l'uomo, ma anche nel modo di leggere i filosofi, cercandovi verità nascoste, più profonde di quelle consegnate al linguaggio concettuale e dimostrativo, e considerando questo stesso linguaggio come simbolico e cifrato; e persino nel modo di far filosofia, nel senso di sostituire alla metafisica oggettiva l'ermeneutica di quei miti che soli sono abilitati a dire l'inoggetlivabile. -Io considero come decisiva per il mio lavoro filosofico non solo la continua lettura e rilettura di quelli che ho scelto come miei autori nel campo della filosofìa: Plotino e Schelling, Pascal e Kierkegaard; ma anche l'incessante frequentazione dei poeti e degli scrittori che mi sono scelto come miei autori nel campo artistico. Manzoni e Leopardi, John Donne e Alfred de Vigny, Melville e Dostoevskij-. — Penso che al suo pensiero, aperto verso il futuro, s'imponga la via di un approfondimento teologico dei temi ultimi della rivelazione biblica: che cosa pensa dell'escatologia? •Io penso che l'escatologia sia il campo più interessante e più fecondo per la riflessione filosofica, perche pone con includibile perentorietà i problemi fondamentali: il destino dell'uomo, il setiso della vita, le speranze umane, l'esito della tragedia che coinvolge in una sola immensa vicenda Dio, l'uomo, il cosmo. D'altra parte è sconcertante osservare che proprio ciò che dovrebbe rappresentare la conciliazione dell'estremo traguardo e il compimento della rivelazione ai nostri occhi di itineranti appare come il luogo delle contraddizioni più stridenti, che non solo si pongono al di là di ogni pensiero possibile, ma trascendono persino la sfera dell'immaginabile. Ma ciò non deve arrestare, bensì pungolare la ricerca, per quanto ardua e tormentosa essa sia-. Ih una cultura abituata al compromesso e alle mode, Luigi Pareyson osa cosi affermare la necessità di immergersi «C07i tragica consapevolezza nella dolorosa problematica del male-, fino a portare il dissidio tra bene e male — come ha scritto — nelì'-ambiguità originaria-. nel!'-ambiguità divina-, nella «straziante agonia-, nelV-autodistruzione misteriosa e terribile- di Dio sulla croce. Sergio Quinzio Torino. Il filosofo Luigi Pareyson durante un dibattito (Foto «La Stampa» - Alessandro Bosio)

Luoghi citati: Rapallo, Torino