ETICA: RITORNO A ARISTOTELE? La società morale di Gianni Vattimo

La società morale ETICA: RITORNO A ARISTOTELE? La società morale . Un bel libro — un saggio, uh trattato filosofico, ma ariche un romanzo, come sembra mostrare l'esempio recentissimo dèi Pendolo ili Foucault —- è quello che ci dice cose che, sostanzialmente, sapevamo già. 11 riconoscimento ' un ingrediente essenziale di ogni i tipo di intreccio, come ha insegnato Aristotele. Bisogna.però che esso si verifichi come esito di una serie di vicende e di peripezie'; è la loro articolazióne che costituisce l'interesse della narrazione, o della teoria. ' Tutto questo spiega, almeno in parte, il fascino di un libro come Dopo la virtù. Saggio. di teoria-morale di Alisdair. Macintyre, uscito nel 1981 e ora1 pubblicato in italiano (l'ottima traduzione di Paola Capriolo,, ed. Feltrinelli), che si inserisce in modo stimolante entro l'attuale rinnovato interesse per la riflessione sull'etica. Il libro, alla fine, si rivela come una grande e appassionante variazione sul tema della contrapposizione tra comunità e società (quest'ultima fondata su legami contrattuali, meccanici; quella, invece, tenuta insieme da legami organici, di appartenenza profonda, come una famiglia, un gruppo di amici, forse la polis greca nell'idealizzazione fattane dai romantici). Macintyre intende appunto opporre un ideale morale di comunità a quello della società contrattuale, burocratizzata, individualistica che si è imposto nella teoria e nella pratica della modernità. * * Se questo è ciò che «sapevamo già», il libro ce lo fa però scoprire attraverso una serie di passaggi che ne costituiscono il vero e proprio fascino anche per chi non condivida le sue tesi. Macintyre parla dall'interno della tradizione filosofica anglosassone ma con una profonda conoscenza e simpatia per la filosofia europeo-continentale. Questo, significa, anzitutto, che il suo libro ha uni trasparenza stilistica e una chiarezza argomentativa oggi molto rare'in autori di formazione europea, per esempio tedesca o francese; la densa ricostruzione della storia della riflessione morale che esso presenta, perciò, sarà una lettura appassionante anche per chi non abbia una specifica familiarità con la letteratura filosofica. I! ; "nto di partenza è la si tuazione di disagio in cui si trova oggi sia l'etica filosofica, sia la morale concreta della nostra società. Tra le situazio ni di disagio ha un nóme: emotivismò; cioè una teoria che accomuna gran parte dei pensatori morali-dell'ultimo secolo, da Nietzsche a Sartre, da Max Weber a G. E. Moor re. Tutti costoro sono persuasi che non abbiamo argomenti per fondare razionalmente le nostre convinzioni su ciò che è buono e giusto. Come ha insegnato Weber, la razionalità si dimostra solo come adeguatezza di un mezzo o un fine, ma dei fini come tali; e così dei valori ultimi, non c'è dimostrazione possibile.' Nietzsche aveva formulato questa tesi'in modo più brutale: i sistemi di valori non sono che maschere della volontà di potenza, scelte del tutto arbitrarie di questo o quell'individuo, di questo o quel gruppo. Lo Stato liberale moderno, del resto, non fa che sancire questa irrimediabile pluralità di scelta di valore: dichiara la propria neutralità, si presenta come puro apparato burocratico, e si sforza solo di mediare e attenuare i conflitti, mai di risolverli. Non ci sono principi morali condivisi, e perciò nella società moderna non abbiamo una vera esperienza di comunità con gli altri, ma solo il senso di un insieme di rapporti esteriori, inautentici, alienanti. A questa situazione, pensa Macintyre, siamo giunti con la rottura di una tradizione che si riconosceva soprattutto in Aristotele e nella sua dottrina delle virtù. Proprio il concetto di virtù diventa sintomaticamente impensabile nella morale moderna. Questa infatti pensa che il bene e il giusto debbano definirsi in base all'evidenza di un principio razionale che ogni singolo uomo può riconoscere dentro di sé: l'imperativo categorico di Kant, la legge di natura, ecc. Questa pretesa è solo la premessa dell emotivismò novecentesco, nel quale ognuno definisce il bene in base a una sua intuizione insindacabile. L'aristotelismo pensa invece che il buono e il giusto sono nozioni correlate al concetto di-virtù; una. virtù.è una disposizione acquisita a fare ciò che è'richiesto in ;vista di -un fine; al di sopra dei fini propri di singole attività (come costruire case o giocare a scac chi) sta per l'uomo il fine di condurre una vita buona; questa si definisce come tale non perché risponda a un'astratta regola razionale, ma perché riesce a costruirsi come una continuità intelligibile, come un racconto sensato: è la capacità di cogliere e costruire il senso di questo rac conto che ci fa «responsabili» cioè anche capaci di rispondere delle nostre azioni. Il senso di una singola vita, però, si dà solo nel quadro di una narra¬ zione più àrhpiaf quello di uria tradizione entrò cui il singolo si inserisce, che reinterpreta e arricchisce con la propria esperienza. Ciò che è venuto meno, nella società burocratizzata, è proprio la capacità di vedere l'individuo inserito in queste continuità, quella della sua vita e quella della tradizione in cui le virtù avevano un senso. Ognuno è invece un soggetto astratto, che potrebbe agire razionalmente solo in base all'evidenza di un principio universale; ma questo principio alla fine si identifica solo con la sua scelta arbitraria o con la sua volontà di potenza. Macintyre propone anche delle conclusioni pratiche del suo discorso: possiamo pensare la nostra situazione come analoga a quella di chi viveva alla fine dell'Impero romano, quando si era «pezzata la forza di coesione dèlie antiche cittàStato, e il singolo si sentiva — come oggi — solo di fronte a una ragione astratta. Allora la vita morale si salvò ad opera di piccoli gruppi che, disinteressandosi della sorte dell'Impero, decisero di ricostruire condizioni di vita comunitaria (le comunità cristiane con l'ideale della carità e della vita virtuosa). Qualcosa del genere è possibile pensare anche nella situazione attuale, sebbene il libro non dia su ciò indicazioni più precise. * * Si può forse concordare con alcune di queste conclusioni. La teoria generale di Macintyre, invece, dovrebbe fare i conti con una serie di problemi, che si legano tutti alla sua preferenza per il modello del la «comunità» opposto ; quello moderno di società, e al suo concetto di tradizione. Perché dovremmo preferire un ideale di vita comunitaria (e quindi sentire la società moderna- come una perdita è una violazione)? e ancora: perche identificare la tradizione con l'antichità e iL Medioèvo? L'intelligibilità: della nor. stra vita non potrebbe essere garantita dalla tradizione moderna} Questa non è solo negazione di una tradizione più antica; ne è anche prosecuzione, sviluppo, trasformazione creativa. Macintyre «ferma: invece la tradizione prima della modernità; è una scelta rispettabile, ma paradossai mente è proprio in contrasto con la fedeltà che dobbiamo a quella che è la nostra tradì zio ne più propria, e che costituisce l'orizzonte di intelligibilità della nostra vita. Gianni Vattimo