Povero diavolo senza zolfo

Povero diavolo senza zolfo METAMORFOSI DEL DEMONIACO NELLA LINGUA E NEI DIALETT Povero diavolo senza zolfo Come antidoto alla paura, le tradizioni popolari italiane hanno alterato il suo nome (il vecchio Nick, Garibaldi) e addomesticato il suo aspetto - Corna e coda, ma non ali da pipistrello, né artigli, né getti di fuoco - Due modi di chiamarlo nel Centro-Sud, Lucifero e Cifariello, significano simpaticamente «monello» e sono cognomi diffusi - Suggestioni diaboliche in botanica e in cucina Dal convegno di Torino, pubblichiamo brani della relazione del linguista Gian Luigi Beccarla U diavolo non lo si è sempre voluto nominare. Lìngua e dialetti hanno spesso alterate il suo nome, come antidoto alla paura che generava (diamine! diancine!;. Per allontanarne l'influenza magica e maligna hanno avuto larga diffusione nei dialetti eufemismi apotropaici: brutta bestia, mala bestia, anticristo, la tentazione, 11 nemico, l'avversario, il brutto, quello delle coma (nella tradizione inglese n vecchio deDe corna, Dick il forte, the Good Fellow, cioè il buon diavolo, il vecchio Nick; e in Piemonte, chièl-là, cui autr, quindes da taroch, e, come ci ricordava Qasca Queirazza in una recente occasione, braie bleu, Garibaldi, per via del colore del camiciotto e dei calzoni ora in blu ora in rosso con i quali veniva solitamente rivestito il diavolo nelle carte dei tarocchi più vulgate. Ma gli uomini l'hanno regolarmente nominato per via diretta Stupirà forse che il diavolo abbia lasciato atta lingua e ai dialetti non tanto locuzioni, proverbi, paragoni che rappresentano il genio del male. Ci viene spesso incontro un diavolo domestico, talvolta un buon diavolo, un povero diavolo. Del volto tragico, della bestialità terrificante conserva in lingua meno di quanto ci si aspetterebbe; dell'animalità soltanto quelle caratteristiche fisiche che sono state definite nel Basso Medioevo, e che erano proprie di animali domestici, coma, coda, piedi posteriori da capro o equini, citati in innumerevoli proverbi, talvolta il mantello. Nessun'ala di pipistrello, artiglio, getto di fuoco e zolfo, particolari terrificanti. C'è una dicotomia tra il diavola da vedere \ (i cicli pittorici* ma questi avevano chiari intenti didattici, dovevano incutere paura) e il diavolo parlato, una netta opposizione tra orrido e domestico. Il nome del diavolo ha finito per essere usato per designare comportamenti quasi simpatici, umanissimi Penso al nome Lucifero in vari dialetti centrali e meridionali nel significato di «monellotanche i cognomi Lucifero, Cifariello sono nati come soprannomi, per designare un 'discolo»). Monelli anche in letteratura I diavolacci di Dante sono tuttaltro che antipatici. R canto XXI deW Inferno si chiude con una loro compiaciuta monellata, consueta tra i diavoli europei del nostro Medioevo, nel canto successivo i diavoli si lasciano (secondo tradizione) ingannare con facilità, poi si azzuffano come animali rissosi da cortile, piombano poi comicamente nella pegola. Hanno, più che nomi, buffi, soprannomiMalacoda, Barbariccia, Draghignazzo, Oraffiacane, Farfarello, Alichino (che ha la stessa radice della maschera di Arlecchino), nomi dal carattere grottesco, come i bravi manzoniani- Tiradritto, Orignapoco, Squinternotto. • La credenza del diavolo, come osservava Huizinga nell'Autunno del Medioevo, affondava le radici in una grande e profonda angoscia, tuttavia l'immaginazione popolare ha rivestito le figure diaboliche di colori vivaci e le ha rese familiari a tutti, al punto da far loro perdere il carattere pauroso. Il diavolo, nelle espressioni della lingua corrente, non è tanto lo spirito del male che causa disordine morale e fisico, ma un'entità molesta, una sorta di calamità naturale, come la grandine, o la guerra, con la quale tocca convivere. II diavolo folclorico prende come elementi distintivi aspetti anche buffoneschi- si pensi al diavolo credulone, briccone degradato a livello di misero truffatore regolarmente turlupinato, il diavolo gabbato nette leggende e nelle fiabe, non solo da Gesù e dai Santi, ma dal villano, e soprattutto dotte donne che la sanno più lunga del diavolo, ne sanno una più del diavolo. Cu lu viddanu mancu lu diavulu ci potti dice un proverbio siciliano, ma rilevante nella tradizione fiabistica è soprattutto (anche per l'inclinazione maschilista dei racconti) il confronto diavolodonna, una guerra tra simili tra astuti o tra posseduti dai vizi. Ci sono tre cose che il diavolo non può capire, recita un proverbio valdostano: la sete dei fabbri, la fame dei calderai (la fan ài magnete) e la malizia delle donne. B c'è il ciclo fiabistico ' del 'diavolo che prende moglie', con diavolo regolarmente costretto a piantare la donna per via dei vizi di lei il maggiore dei quali è di solito il lusso. Un diavolo dunque a misura duomo. La minaccia del diavolo è stata spesso trasferita ad animali non proprio minacciosi almeno oggi così ci appaiono (un tempo credenze varie ne giustificavano il nome diabolico). Nei nostri dialetti il diavolo ha battezzato il fuco, l'ape maschio assolutamente innocuo e il calabrone, il cervo volante, l'allocco o barbagianni, animale notturno dall'aspetto spiritato, e il gufo reale anche per i ciuffi auricolari similcoma In Sicilia il nome di diavuBcchiu è stato riserbato al formicaleone, detto anche diavulicchiu di li furmiculi o diavuli di li furmiculi, non allo stadio di angelica libellula, ma riferito alla larva dalle mandibole potenti che vive in terreni sabbiosi e come un Lucifero dantesco si pone al fondo di una cavità a imbuto dove fa precipitare la malcapitata formica o altro insetto in transito sui bordi. Il nome del diavolo ha avuto larghissima fortuna poi tra pesci dalle carni dal cattivo sapore, o dall'aspetto poco piacevole, o per il colore detta livrea A terra, i termini botanici che richiamano il diavolo sono numerosi Tante le erbe del diavolo, per la credenza dei frutti o foglie o radici ritenuti velenosi o magari da usare come antidoto. I contadini usavano un tempo il sugo dell'elioscopio per impedire il gonfiore in seguito a puntura d'ape o di vespa: il nome popolare era appunto erba diavola Erbe del diavolo lo stramonio e la piombaggine; capiddl du diavulu in Sicilia l'erba cali, così comune nei luoghi arenosi presso il mare, con le sue bette foglie carnose, ma che terminano malignamente con punta spinosa Il diavolo può essere allontanato con erbe, piante maleodoranti (aglio, assafetida), o urticanti. Forse per questo motivo a Novi Ligure chiamano erba du diavu l'erba vetriolo? E non so perché una varietà di frumento abbia preso in Sicilia (Agrigento) il nome di frumento diavu- lidda e una varietà di pere (Caltanisetta, Agrigento) l'abbiano battezzata pini diavuli Chiara invece la motivazione del nome dì nocca o pie' del diavolo (erba diaulina in Sicilia) dato all'elleboro nero, dai rizomi velenosi. In Toscana occhio del diavolo era detto dai contadini il ranun¬ colo del grano. In questi casi, oltre al veleno, a suggerire il diavolo c'è il colore, il giallo, in altre occasioni il rosso. (...) Il veleno, il colore acceso (fulvo o rosso), ma anche il gusto. Più che al puzzo (fa eccezione la già ricordata asso fetida, gommoresina, puzzolente di odore agliaceo, ted Teufelsdreck «sterco di dia- I volo», sic. mmerda rù diavulu;, il diavolo sì associa al bruciore del pizzicante oltre misura: diavolicchio il peperoncino, c'è il pollo alla diavola, la salsa diavola, e ho cari amici nelle Langhe che sanno preparare una eccezionale bagna 'd l'infera In alcuni dialetti settentrionali l'erba diavolona o semplicemente diavolonaé la mentapiperita, o il mentastro. (...) Il 'principe di questo mondo», l'avversario, il tentatore ha smesso il suo volto tragico e inquietante. Si è avvicinato all'uomo nelle comparazioni non solo (nero, brutto, forte come il diavolo;, ma soprattutto nette locuzioni in cui mostra di possedere non uomini dannati e malvagi, ma uomini irrequieti, presi da mille occupazioni terrene: essere come il diavolo affannato, avere il diavolo in corpo, avere un diavolo per capello; e connota l'agitarsi, il movimento sfrenato (fare il diavolo, fare il diavolo a quattro;. Quest'ultime ci riportano alle sacre rappresentazioni medievali Ce n'erano di quelle che potevano permettersi quattro diavoli sette diavoli, e anche più, le grandi diavolerie, di meno le piccole, fatte in economia, con pochi diavoli I diavoli imperversavano, e non solo il pubblico li aspettava sulla scena con le loro rustiche mascherature, pelli di montone, corna di bue ecc., ma destavano più impressione di riso che di paura i loro intermezzi comici, il frastuono infernale, divertiva il gran trambusto che facevano correndo di qua e di là sul tavolato, saltando, strillando, imprecando, insultando con gesti osceni, spari continui di botti, un diavolo meridionale in fondo, una babele, un diavoleto. Questo tipo di diavolo si è fissato nelle espressioni piucorrenti: è un piccolo diavolo dico di un bambino scatenato; e di una,donnaviv& ce, dinamica, energica: è una diavola quella donna!. Sermoni e vite di santi, tutta la letteratura omiletica e agiografica del Medioevo ci ha presentato un diavolo scorrazzante e vagabondo sulla terra, che ansima e sbuffa dietro ogni porta, un diavolo insonne, mai stanco, che perennemente opera e imperversa E la lingua lo richiama in tutta una famiglia di locuzioni e di paragoni come richiama il diavolo per designare movimento, confusione, moltitudine. La parola entra in combinazioni varie che segnalano eccesso (a-ddiavuluni è locuzione avverbiale che in Sicilia vuol dire «a iosa, a bizzeffe», acqua a la diavuiina la pioggia torrenziale,. santiari a la dia violina bestemmiare a più non posso, curriri a la diavulina, correre all'impazzata). ■Diavolo è segno di estremizzazione. Abitare a casa del diavolo ìndica un posto in capo al mondo, scomodissimo da raggiungere. La locuzione avverbiale al diavolo indica grande lontananza, o una difficoltà di accesso (lontano al diavolo;, e la locuzione aggettivale del diavolo difficoltà estrema, un'avversità, una contrarietà: una strada, una paura, una fame, una sete, una fretta del diavolo. Designazioni peggiorative sì, comunque mai terrificanti dicevo. L'usura della parola ha portato il povero diavolo a designare anche l'assenza, un segno vuoto (non c'era un diavolo, come dire un gatto, un cane, nessuno). E' un segno marcato che, rimasticato da generazioni di uomini, ha finito col diventare un pleonasmo, una zeppa, come tutte le parole troppo marcate, come le parolacce. Oggi difatti si preferisce la parolaccia, ma anch'essa priva ormai per l'usura, della sua carica oscena, come diavolo affermazione forte nei tipi se ci andrò? diavolo! o nette funzioni interiettive in appoggio a quel che si dice (diavolo! non si può proprio stare tranquilli!;, particella di funzione rafforzativa in frasi interrogative (che diavolo ti prende?;. Infine, le esclamazioni di dispetto, stizza, meraviglia, stupore, ammirazione: per tutti i diavoli! che diavolo, ti pare questo un elzeviro!, e le ' innocue minacce va al diavolo, che il diavolo ti porti! Una minaccia quest'ottima diventata metafora talmente morta e sepolta che la si può accompagnare anche con grandi manate sulle spalle, in segno di simpatia E' davvero l'ambiguità del diavolo. In realtà, come sempre, l'ambiguità della parola di tutte le parole. Gian Luigi Beccaria (Altri servizi in Cronaca) "" vi';:;,' Il diavolo, quindicesima carta dei Tarocchi piemontesi: in dialetto, «quindes da taroch»

Persone citate: Cifariello, Corna, Gesù, Gian Luigi, Gian Luigi Beccaria, Huizinga, Monelli, Queirazza