Calabria, i signori delle Usl di Giuseppe Zaccaria

Calabria, i signori delle Usl DOSSIER: NEL SISTEMA DELLTLLEGALITA' TOLLERATA Calabria, i signori delle Usl Sono 31, con 30 mila dipendenti per poco più di due milioni di abitanti - Costituiscono il maggior centro di potere calabrese • Il bilancio, 1750 miliardi, inghiotte ogni anno più di un terzo delle risorse regionali ■ Molte unità sanitarie sono sotto accusa - Quella di Tauriànova (1059 addetti, donne delle pulizie pagate come primari) dimostra, meglio delle altre, quanto labile possa diventare il confine tra clientelismo e illegalità eletta a sistema DAL NOSTRO INVIATO CATANZARO — «E ricordati che a tuo genero, come regalo di nozze, ho dato un posto alla Usi...». Sotto il palco tutti puntarono gli occhi su un maturo signore che cominciava ad arrossire. L'oratore ce l'aveva proprio con lui, lo chiamava «traditore», gli rimproverava di avere abbandonato la de per costituire senza un briciolo di gratitudine una lista autonoma e antagonista. Dagli altoparlanti le accuse incalzavano, si facevano sempre più personali: non solo un posto alla Usi, insisteva il candidato, ma un posto sotto condizione. Col giovanotto i patti erano stati chiari: «Tu sposi la figlia del mio amicò e io ti sistemo». Non doveva essere proprio una Venere, la ragazza: in piazza si udì qualche risaia, sempre più imbarazzato l'uomo cominciò a defilarsi, alla fine se ne andò inseguito dall'applauso che chiudeva il comizio. Don Ciccio ce l'aveva fatta ancora: il suo avversario si ritirava, umiliato. Lui, sul palco, a ricevere ovazioni e pacche sulle spalle.' Tutto questo avveniva pochi mesi fa, alla vigilia delle elezioni, nella piazza di Tauriànova. «Di quel comizio esistono resoconti sui giornali, c'è perfino una registrazione. Tutti documenti trasmessi al magistrato. E non è accaduto nulla». Rocco Trento, socialista, assessore alla Sanità della Regione, riporta l'episodio quasi senza accorgersi di aprire nel «caso Calabria» un altro sorprendente scorcio. Racconta con toni e colori da Anni 50 un comizio che si è svolto pochi mesi fa. Descrive la mentalità del barone come avrebbe potuto fare Corrado Alvaro e invece riprende le cronache di questi giorni. Disegna un atteggiamento che potrebbe apparire perfino pittoresco se non fosse a suo modo tremendamente attuale. Un tempo da queste parti c'era il politico che distribuiva promesse, sussidi, pacchidono e scarpe spaiate (la sinistra subito, la destra dopo il voto). Oggi c'è l'amministratore che ha la spudoratezza di rivendicare in pubblico la propria disonestà. Quell'oratore era il dottor Francesco Macrì, presidente del comitato di gestione della Usi 27. Proprio lui, il famoso 'Ciccio Mazzetta', l'uomo che ha resistito anche a Cossiga. Tre anni fa, unica in Italia, la sua Usi era stata sciotta su decreto presidenziale per «gravi motivi di ordine pubblico», ma un ricorso al Tar aveva annullato tutto. Adesso se la giunta regionale gli si costituisce contro in giudizio lui reagisce querelando tutti. I governi passano, le inchieste della magistratura anche, ma Francesco Macrì è sempre là, fermo come una roccia. In questi giorni anche la Corte dei conti ha. trovato qualcosa da ridire sul suo operato. Un rapporto atto tre dita lo accusa di amministrare la Usi 27 (bilancio annuo, 32 miliardi) come un feudo personale. Contratti di fornitura firmati direttamente, spesso con ditte neppure iscritte alla Camera di Commercio. Donne delle pulizie pagate come primari (2.900.000 lire al mese solo per chi deve tenere lustra la cucina dell'ospedale di Oppido). Soprattutto, una catena di assunzioni -personali» che in tre anni ha trasformato il gruppo dei fedelissimi in un piccolo esercito: l'unità sanitaria di Tauriànova oggi conta 1059 dipendenti. Eppure, nonostante la valanga di accuse, in favore di 'Ciccio Mazzetta» è giunto il momento di spezzare una lancia. Quando denuncia «il tentativo persecutorio della maggioranza socialcomuni sta», quando definisce «falsi, speciosi e malevoli» i rilievi mossi alla sua gestione o querela chi riporta l'antipatico soprannome, Francesco Macrì ha ragione. Perché dovrebbe toccare solo a lui? Anche i presidenti di altre Usi, allora, potrebbero essere indicati come 'Pasquale Tangente», 'Domenico Pizzo» o 'Tonino Ventipercento». Tutti parlano di Tauriànova mentre l'assessore alla Sanità ha appena proposto il commissariamento della Usi 26, di Gioia Tauro, lo scioglimento della Usi n. 1, di Praia a Mare, della n. 9 (Cosenza), della 13 (San Giovanni in Fiore). Già commissariata è la 28 (Locri) mentre la 29 (Villa San Giovanni) riemerge appena dall'incriminazione dell'intero comitato di gestione. A Reggio Calabria (Usi 31) l'eco degli scandali dell'ospedale psichiatrico — 40 miliardi per trasferire gli ammalati in case private — e di quello civile — 150 milioni spesi in un anno solo per la fornitura di aglio — non è ancora spenta. Non ha ragione, Macrì, a sentirsi capro espiatorio? «Certamente ha ragione su un punto: nel panorama delle Usi calabresi il suo è tutt'altro che un caso isolato», dice l'assessore Trento. Però dimostra meglio di altri quanto sbiadito, in questa regione, possa diventare il confine fra clientelismo e illegalità eretta a sistema, quanto diffìcile sia stabilire dove si ferma l'arroganza del politico e dove comincia l'infiltrazione mafiosa l giudici di Locri, aprendo il 'caso Calabria», l'avevano detto: «Parlare di pecore nere, nel senso di persone corrotte dalla moralità discutibile, di venta perfino fuorviante perché la ricerca del corrotto di turno fa passare in secondo piano situazioni molto più generalizzate, molto più com plesse...», ha detto Ezio Arca di, sostituto procuratore, a un dibattito avvenuto a Reggio qualche mese fa. Adesso tocca all'assessore Trento scoprire quanto 'generalizzata» e 'complessa» sia la situazione del maggior centro di potere che la Calabria di questi anni abbia prodotto. Superazienda Trentuno unità sanitarie per poco più di due milioni di abitanti, 30 mila dipendenti, un bilancio che da solo (1750 miliardi) inghiotte ogni anno più di un terzo di tutte le risorse regionali. Con 147 miliardi l'anno, la Usi di Reggio Calabria è dì gran lunga la più grossa azienda della regione. Esistono unità sanitarie (Acri, San Marco, Amantea, Ragliano) che assistono dalle 20 alle 40 mila persone con strutture che si giustificherebbero solo se la popolazione fosse dieci volte più numerosa. «Qualche settimana fa continua l'assessore, per spiegare la situazione calabrese all'Alto Commissario per la lotta alla mafia ho mostrato queste cifre». Sica ha scosso la testa. I dati, in assoluto, non sarebbero strabilianti' lo diventano se raffrontati al quadro regionale, all'assenza di ogni altra fonte di reddito. Spiegano da soli perché l'interesse dei politici e delle cosche abbiano finito per convergere sullo stesso terreno e per confondersi. All'inizio dell'anno l'assessore Trento ha portato in giunta un piano che prevede una riduzione drastica- in luogo di 31 Usi 11 distretti, ciascuno con almeno 200 mila abitanti. Quel che sta accadendo da allora dimostra da solo la delicatezza del problema. Una certa Calabria continua a reagire come sé l'avessero toccata su un nervo scoperto. Per qualche mese l'assessore ha dovuto essere scortato: Avevo cominciato da Reggio Calabria, dal problemi dell'ospedale psichiatrico. Sono arrivate le prime minàcce: per un paio di mesi ho avuto la polizia anche di notte, davanti casa». Poi si è iniziata la serie delle lungaggini, delle obiezioni. E mentre si discuteva, ogni giorno si scoprivano elementi nuovi, dati sempre più sorprendenti. Posti-letto / posti-letto, per esempio. Trentuno Usi, il triplo di quante ne occorrono, e una ricettività ospedaliera che al contrario è appena un terzo di quella che sarebbe necessaria. E nonostante questo—ecco un altro elemento strati liante — gli ospedali della regione restano vuoti per il 75 per cento, mentre ogni arno 28 mila calabresi vanno a farsi curare fuori. Un diagramma apparentemente folle, almeno finché a spiegarlo non è un addetto ai lavori. Gerardo Pagano, 49 anni, de, ha presieduto la Usi 20, quella di Soverato: «Nel mio territorio ci sono 48 mila abitanti e quattro ospedali, a non più di 10 chilometri l'uno dall'altro. Soverato, Chiaravalle, Serra San Bruno, Soriano: tutti identici, tutti coi loro bravi reparti di medicina, ginecologia, pediatrìa, ostetricia e tutti privi di qualsiasi altra struttura specialistica» Come a dire: se stai per avere un figlio puoi scegliere fra quattro reparti vuoti, ma se ti colpisce una crisi cardiaca va a farti curare altrove, «n sistema sanitario, insiste Nicola Caponio, consigliere alla stessa unità sanitaria, in Calabria ha finito col riprodurre gli stessi modelli all'infinito, mentre l'apparato burocratico continuava a gonfiarsi. E il paradosso continua: adesso, in vista della riduzione delle Usi, già si pone il problema di come riqualificare gran parte del personale. I dipendenti sono 30 mila, eppure mancano gli infermieri o gli autisti delle ambulanze...». Di recente l'assessore alla Sanità ha calcolato che se certe forniture corrispondono alla realtà in alcuni ospedali calabresi ogni giorno ciascun ammalato dovrebbe ingoiare due chili di carne, quattro mozzarelle e una quantità imprecisata di frutta e verdure. Adesso ha deciso di organizzare una specie di stanza di compensazione: «Non posso sindacare l'operato delle singole Usi, ma confrontare le spese dell'una a quelle dell'altra, questo sì». Lo scontro, insomma, è appena all'inizio. E a dimostrare con quanti interessi si scontri, quali equilibri comincia a mettere a repentaglio forse è sufficiente un altro frammento del Macri-pensiero. Pochi giorni fa Don Ciccio si è rivolto ai giornali per proclamare alla Calabria intera la propria tranquilla coscienza. Lui vive «la serenità di chi non ha, in alcun modo, leso gli interessi di chicchessia». Quelli dello Stato non contano. Giuseppe Zaccaria (Fine. I precedenti articoli, il 16 e il 29 settembre)