Aria d'Europa nella Pop Art di Jim Dine

Aria d'Europa nella Pop Art di Jim Dine IL PRIMO GRANDE RITORNO A VENEZIA DOPO LA RIVOLUZIONARIA BIENNALE DEL '64 Aria d'Europa nella Pop Art di Jim Dine , VENEZIA — Sono passati più di trent'anni dagli esordi della Popular Art, nell'Inghilterra dei Beatles e dei Rolling Stones e dei primi film neorealisti laboristi, e del New Dada di Rauschenberg e di Johns, negli Stati Uniti della «letteratura, di strada», del cool Jazz e della prima protesta negra neU'ftard bop. Nel . '58, a 23 anni, Jim Dine, famiglia d'immigrati dall'Europa orientale, nipote di un carpentiere, cresciuto in Ohio nel negozio di ferramenta dei genitori, arriva a New York, dove Rauschenberg e Johns stavano risvoltando anarchicamente in direzione neooggettlva, fra dimensione pittorica e assemblaggio, la tradizione americana-immigrata dell'espressionismo astratto. . Da allora, in sei anni, questo esplosivo magma europeoamericano di denuncia drammatica o beffarda degli idoli e dei riti della cultura di massa è di consumo dell'American Dream viene trasformato, dalla Biennale di Venezia ai grandi musei d'arte contemporanea da Stoccolma a Vienna, nella più straordinaria e vincente operazione di colonizzazione culturale degli Usa sull'Europa, sotto l'etichetta della Pop Art. In quel 1964, Dine è già un protagonista, uno dei punti di forza dell'operazione sul versante hard —- quello più intriso di espressione, pittura, nostalgia europea di Dada —, rispetto al cooU al gelo industriale dei I ichtenstein e del WarhoL E' già approdato da due anni alla galleria dell'Ariete di Milano e approderà un anno dopò a Torino nella galleria Sperone. Nella ricca antologica che gli dedica Attilio Codognato, fino al 6 novembre, a Ca' Pesaro, con una cinquantina fra dipinti e stupendi grandi disegni classico-espressionisti, 16 fra installazioni e fusioni e assemblaggi tridimensionali, una trentina di fogli della drammatica, non meccanizzata opera grafica, rappresentano questo primo momento quattro grandi opere del 1962 fra pittura e oggetto, compresa la notissima Morsa. il ferro nudo, asettico ma «romanticamente» paleoindustriale della morsa; il legno nudo, lucidato in bianco, del tavolino d'appoggio; la sbarra serrata nella morsa: sonò gli oggetti della realtà materiale povera da cui scatta, con una «filosofia» tutta europèa, la doppia metafora dell'arte-pittura e dell'erotismo surrealista. La sbarra p e net ra-viol en ta la base inferiore di una grande luminosa tela monocroma lattea (tal quale quelle che in quegli anni nascevano dalle mani di un Manzoni o di un Klein), facendone scaturire un grumo di densa materia pittorica grigio-argentea-bruna. Un'opera come questa dimostrava, già quasi in partenza, quanto stesse stretta a Dine la formula globaUzzante dell'American Pop come lucido feticcio imperiale all'assalto della vecchia cultura europea. In mostra è cronologicamente preceduta da altre bellissime opere in cui la meditata divaricazione da quel feticcio fra 1958 e '61 è ancora più evidente. L'illusionismo del Fazzoletto di seta rosso è in realtà un puro inno a Matisse. UAutoritratto a carbon- cino del '58, gran cranio nudo e baffi slavi, l'esatto opposto dello standard American White, una via di mezzo fra Lenin e Yul Brynner, cammina tutto sulla lunga strada fra Munch e Bacon. E il Vestito verde del 1959, uno del primi prodotti del sodalizio con l'oggettualità surreale, da incubo, di Claes Oldenburg: una vera giacca da barbone, sontuosamente sporca di colori e di gessi, su una sagoma gialla di cartone intrisa di rosso sangue, da cui pende il cadavere straziato, bruno e sangue, dei calzoni ridotti a strisce. David Shapiro, in uno degli ottimi saggi nel catalogo Mazzetta, osserva giustamente che l'opera -più che un "cadavere squisito" del surrealismo, appare ai nostri occhi come un sosia torturato'-, e nel saggio introduttivo, Codognato ricorda che Oldenburg rivelò a Dine Dubuffet, Celine, 'oscuri viaggi al termine della notte». E in effetti inquietanti, perfetti incontri fra l'illusionismo «pop» e gli oggetti surrealisti degli Anni 30 sono le lunghissime forme-personaggio in alluminio del 1935, gli argentei Stivali, la rossa Ascia In sostanza, la partecipazione all'esplosivo trionfo «pop» è già tutta intessuta di contestazione esistenziale, di sete «poetica» ed espressiva di Europa, di cultura e pittura europea Oli anni di Londra dal 1967 al 1971 non sono dunque una fuga, ma una sorta di ritomo: sono anche di crisi (poesia, musica, disegno), ma soprattutto di nutrimento e scoperta. Ne risulta innanzitutto un progressivo abbandono di un'ortodossia «pop» già alquanto dubbia in partenza. Qui risiede l'interesse fondamentale della mostra, contrata soprattutto sugli Anni 70 e 80, tanto più se messo in rapporto col primo premio e il tipo di presentazione di Johns alla Biennale: lo sviluppo delle forme e delle idee di due maestri, comunque basilari della Pop Art statunitense originaria, in sempre più stretta connessione con le ulteriori vicende di espressione figurativa europea degli ultimi due decenni. Nel caso di Dine, il «ritomo» all'Europa, nello stesso tempo ancestrale e attualissimo, significa inizialmente, fra la fine degli Anni 60 e l'inizio dei 70, l'esaltazione del simbolo (il cuore, l'accappatoio come «doppio» dell'artista) e della memoria: il soggettivismo, calato fino in fondo all'essere, e la quotidianità affettuosa della vita e della natura come antitesi agli idoli della massa e della tecnologia. Tutto ciò è espresso da un lato attraverso la scoperta e creazione delle strutture concettuali-poveristlche di materiali elementari della natura e dall'altro attraverso un raffinato amor di pittura, di squisitezze e vibrazioni cromatiche, che può scaturire solo da una lunga e lontana tradizione d'Europa. Ecco allora, sul primo versante, il grande, affascinante Cuore di paglia e il gioco affettuoso e ironico di Sto dipingendo con i miei animali, una grande tela libera sul telalo, Invasa da una pirotecnia di colori da action painting, su cui si appoggiano — dive¬ nendo metafore «naturali» della mano e del gesto del pittore — rami veri, che l'autore dichiara provenire da una tana di animali. E' ovvio che non ha nessuna importanza se ciò sia vero o meno, in quanto è comunque vero e reale nel concetto dell'artista. Sul secondo versante, grandi superaci di delicatissima stesura monocroma o con lievi, sognanti trapassi tonali ospitano alternativamente gli strumenti elementari del pittore e plasticatore, o quelli della memoria familiare, morsetto, tronchetto, trivella a mano, e la loro forma evocata a pennellino e lievi ombre colorate, n processo culmina verso la fine degli Anni 70 con l'assoluta, pensosa raffinatezza pittorica delle Nature morte (fra cui l'impressionante II mio studio 2, di quasi sei metri di base), liriche e «romantiche», e talmente europee da significare un omaggio a Morandi per esplicita dichiarazione dell'autore. Dopo queste oasi fra memoria e natura, l'ormai ben ricca e salda cultura europea (Sutherland, Oiacometti, Bacon) fa da supporto negli Anni 80 a un soprassalto di quella drammaticità esistenziale, hard, da cui Dine era partito. I simboli già sperimentati, il cuore, la vestaglia, l'albero, cui si aggiungono il teschio, la mano aperta in segno d'amore e di pace, sono espressi in forme cromatiche cupe, luttuose, o densamente cromatiche sul rosso o sul bruno, strettamente parallele, ma con ben maggiore dignità e qualità, al -neoespressionismo selvaggio» di tedeschi e italiani. Marco Rosei Jlm Dine: «Grande cuore sulla roccia» (1984, esposto a Venezia)