SPADOLINI: IN LIBRO I BLOC-NOTES

SPADOLINI: IN LIBRO I BLOC-NOTES SPADOLINI: IN LIBRO I BLOC-NOTES Giovanni Spadolini '■ è un uomo politico che non ha mai dimenticato il suo mestiere di storico, ed è uno storico che non ha mai dimenticato di essere stato giornalista. Da questa complessità di esperienze che riesce a intrecciare e mantenere vive grazie a una curiosità onnivora e a una prodigiosa capacità di lavoro", nascono i fortunati taccuini giunti ora al secondo volume W mondo in bloc-notes, 198688, Longanesi editore). Sono Rapitoli usciti originariamente sulla Stampa e sulla Nuova Antologia d'autore li ha in parte rivisti. In essi compaiono profili di personaggi incontrati nei viaggi di Stato: da Mitterrand a Kissinger, da Jaruzelski a Cuomo, da Peres al sindaco di Betlemme Freji; evocazioni di maestri e amici animati da una comune passione cavile, dal vagheggiamento di una certa Italia: Bauer e Bobbio, Calamandrei, Romeo e Pannunzio; insieme a note di costume e di cultura, ad alcuri'i inattesi «frammenti dell;età favolosa», dell'infanzia trascorsa a Pian dei Giullari e a Firenze. Pagine che si possono ascrivere a una ideale antologia della memorialistica toscana. Il quadro generale in cui si calano questi taccuini di Spadolini è offerto dai grandi avvenimenti del mondo, tutti in qualche modo tributari del primo accordo nucleare tra gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica. Ma più conta il rifrangersi della storia in particolari di vivida quotidianità, la sprezzatura da gran cronista che basta a fissare il tratto di un carattere, il senso di un comportamento. Mario Cuomo, ad esempio, il governatore di New York, si presenta con il biglietto da visita delle sue letture, i suoi scrittori preferiti sono Tommaso Moro e Teilhard de Chardin che «ha riletto cento volte». Questo figlio di un pizzicagnolo napoletano, che possiede .sopra ogni altro il culto della famiglia e prova qualche imbarazzo a discorrere di mafia, porta sul volto un riverbero di luttuosa malinconia. E' il peso che il successo non riesce a mascherare, di una difficile eredità di italo-americano magari di cattolico. Ed ecco che la cultura acquisita sul versante filosofico-scientifico cTona slancio e utopica prospettiva all'originaria cultura della rassegnazione, legittimandolo come cittadino e governante del nuovo mondo. Più sofferta e problematica la figura di Jaruzelski, il generale presidente della Polonia comunista nel quale rivivono «i tic della nobiltà polacca». «Ci è mancato un re assoluto», afferma con accoratezza, risvegliando il fantasma di una Dieta litigiosa e paralizzante per i destini della nazione. E' uno dei tanti paradossi di questo paese che nel 1791, primo dopo l'America, anticipando la Rivoluzione francese, seppe darsi una costituzione moderna rimasta di fatto inoperante. In un contesto così atipico Jaruzelski non appare troppo distante dagli operai che montano la guardia alla tomba di padre Popicluszko con «l'orgoglio dell'antica cavalleria polacca». A lato, s'intravede la silhouette «per molti aspetti settecentesca» del cardinale Gasatoli che, tessendo i complicati rapporti tra Chiesa e Polonia, manifesta «un senso maestoso del tempo» tipico della diplomazia vaticana. Mi sembra tuttavia che il dato unificante del libro sia un altro, che la lettura non diventi esauriente se non riesce a cogliere, in filigrana, la forma mentis del collezionista che è Spadolini. Non penso tanto ai cimeli garibaldini, alla ben nota passione di una vita che qui trova modo di esercitarsi, con eleganza, sull'armamentario del chirurgo che operò Garibaldi ferito in Aspromonte. Penso ad acquisti più occasionali e perfino insignificanti che rivelano la tendenza a materializzare e muscificare la memoria. Non per fossilizzarla, ma per conoborarla affidandola a libri e oggetti che lascino sprigionare la loro forza evocativa, suscitando, fin dal primo momento, una rete di felici associazioni. Kissinger sta parlando di Gorbaciov nella sua bella casa sulI'East River: «E' il primo uomo normale dell'Unione Sovietica. Ma non possiamo pagare un prezzo eccessivo per questo». Il giudizio dell'ex professore di Harvard, dell'ex segretario di Stato di Nixon nasce dal suo chiodo fisso sull'equilibrio dei poteri. Ma sembra discendere direttamente dalla rara edizione delle memorie di Mettermeli (Spadolini ne possiede una identica) che tiene il posto d'onore nella libreria dello statista. In Israele regalano a Spadolini una copia di Roma e Gerusalemme di Moshe Hess, l'allievo di Mazzini, e il dono viene a sigillare le considerazioni sul destino di Israele: la ne¬ cessità di affermare una autonomia nazionale rispetto a un universalismo religioso che (a differenza di quanto accadeva nella «terza Italia» costretta a misurarsi con il solo cattolicesimo) è ebraico ma anche musulmano. In una libreria di Varsavia (torno • inevitabilmente sulle pagine polacche perché, sono tra le più fervide ricche di intuizioni) scopre una copia dei Manoscritti sulla questione polacca di Marx che sono stati espunti dall'opera omnia ufficiale. E legge all'università, in un silenzio di pietra, il brano in cui si invita l'Europa a restaurare l'integrità della Polonia, in modo da porre tra se stessa e la barbarie asiatica «venti milioni di eroi». «Marx — conclude Spadolini — parlava come Mickiewicz». Ma il campione più significativo di questo atteggiamento, che tende a farsi cifra stilistica, lo abbiamo nella missione a Mogadiscio. Non trovando di meglio, l'incorreggibile Spadolini compra in una bottega due quaderni scolastici dal tenuissimo profumo esotico. Sembrano visualizzare, nella semplicità della vita quotidiana, uno dei problemi centrali della Somalia, lo sforzo del governo per una alfabetizzazione che deve recuperare tra l'altro una lingua sommersa (il somalo, fino a pochi anni fa, aveva soltanto una tradizione orale). L'acquisto rinvia però ad altri quaderni, che nell'infanzia dell'autore esibivano in copertina una Mogadiscio di maniera, bianchi minareti sul mare azzurrissimo. Il ponte delia memoria aiuta a delineare, nel confronto con l'umile realtà circostante, un colonialismo di strapaese, destituito di ogni grandezza. Il passato si impone ancora, con prepotenza, nella visita a una fattoria dell'oltre Juba dove si è trapiantato un ramo della vecchia Firenze. Non- è,.spio la gente, ma il paesaggio che evoca le pinete di Maremma, i lecci di Castiglionccllo. In pagine a prima vista aliene ecco farsi avanti, allora, il gusto, e vorrei dire la pratica, di una toscanità che accompagna l'autore nei suoi spostamenti, affiora dal tepore delle memorie più profonde. Come un batticuore: quello che assaliva Spadolini ragazzo, appostato nel capanno di Pian dei Giullari, augurandosi che i tordi sfuggissero alle fucilate dello zio cacciatore- Lorenzo Mondo