«Rapire un ricco non è peccato in Calabria» di Angelo Conti
«Rapire un ricco non è peccato in Calabria» In una scuola dell'Aspromonte gli studenti giustificano l'Anonima sequestri: meglio la mafia della fame «Rapire un ricco non è peccato in Calabria» DAL NOSTRO INVIATO BOVALINO — 'La 'ndrangheta sequestra la gente per prendere il denaro ai ricchi, costruire case e far lavorare i poveri». «A 30 anni, dopo aver tentato i concorsi statali, ci si trova a un bivio: mafia o povertà. Non tutti hanno la forza di restare onesti». «Carabinieri, esercito e pesanti condanne non servono: qui aspettiamo lavoro». Sono riflessioni di alcuni fra 1 300 ragazzi dell'Aspromonte che hanno svolto un tema assegnato all'Istituto Tecnico Commerciale «Corrado Alvaro» di Bovallno. Cosa pensano i giovani che vivono nel Comuni a più alta «densità mafiosa»? Come giudicano le cosche che gestiscono racket e sequestri? Quale futuro si attendono? E come valutano U lungo rapimento del piccolo Marco Flora? «Questi ragazzi — spiega Antonio Delfino, preside della scuola ma anche giornalista e scrittore — provengono per V80 per cento dai piccoli centri dell'Aspromonte orientale: Piatì, San Luca, Cimino, Natile, Africo Nuovo. Sono tutti figli di pastori o contadini». Ai ragazzi è stato chiesto di «riflettere sulla vicenda di Marco Fiora e sul fenomeno dei sequestri che ha pósto la Calabria all'attenzione dell'opinione pubblica». Prima della stesura del tema c'è stato un po' di sconcerto. «Qualcuno ha faticato ad affrontare l'argomento — spiega Delfino — e qualche altro ha anche rinunciato; quindici temi sono stati consegnati in bianco». L'omertà trasferita sul banco di scuola? «Solo in minima parte. Piuttosto va considerata la paura, verso un argomento che nessuno affronta apertamente, o l'apatia che spinge a disinteressarsi dei fatti scomodi». Sui fogli protocollo emergono considerazioni crude, talvolta disperate. Paola, una ragazza di San Luca: «Adesso la Calabria è considerata un covo di sequestratori e di assassini La gente onesta è sconcertata: Ma c'è anche chi considera i rapimenti una componente della società calabrese e quasi li giustifica. Salvatore, di Natile, prima scrive: «I malavitosi non hanno ragione a rapire la gente, ma non hanno nemmeno torto». Poi spiega: «Quando finiamo la scuola tentiamo i concorsi del pubblico impiego, ma è un'illusione. Poi, a 30 anni, ci si accorge di non avere più speranze esièaun bivio: mafia o povertà. Non tutti hanno la forza di restare onesti». Poi aggrava la dose: «£' inaccettabile solo il sequestro di un bambino o di una ragazza Se si tratta di un adulto è tutto diverso: quelli dette cosche fanno bene se pigliano denaro ai ricchi e poi fanno costruire case dando lavoro a tanti. Chi sta bene i soldi li tiene nascosti, li mette in banca ma non vuole rischiare: qui nessuno finanzia le poche cooperative che riusciamo a costituire». Domenico, di Africo, racconta un'esperienza agghiacciante: «Mia soretta ha 25 anni ed è laureata in matematica Lavora, come professoressa a tempo pieno, in una scuola privata: prende ZIO mila lire lorde, 165 mila lire nette. Lei dice che è soddisfatta, che ha nuove prospettive. Invece è un sintomo della povertà di questa terra». Giuseppina, di Bovaiino, confida: «Come farei a comperare i libri senza la nonna, che mi passa qualche soldo detta sua pensione?: L'emi¬ grazione non è più un'alternativa: «Non siamo sufficientemente preparati. Non riusciremmo ad inserirci al Nord, dove ci rifiutano anche per la nostra origine. Così non parte più nessuno». Giuseppe Ruffo, Domenico D'Agostino e Elvira A vigliano sono 1 professori che hanno raccolto i temi. « Nei giudizi sui sequestri emerge lo scollamento fra questa realtà e lo Stato, n fenomeno è accettato, tollerato, anche giustificato, solo perché i ragazzi si sentono dimenticati. Lo Stato non li aiuta: non hanno libri, biblioteche, centri di aggregazione. Si devono persino pagare il pullman per scendere dall'Aspromonte». La gerarchia sociale si forma esclusivamente «sotto il controllo detta classe politica La meritocrazia non esiste: domina l'astuto che, quando accresce la sua atti-' vita, si ritrova subito legato alla 'ndrangheta». Angelo Conti
Persone citate: Antonio Delfino, Cimino, Corrado Alvaro, Domenico D'agostino, Giuseppe Ruffo, Marco Fiora
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