Lode della tolleranza

Lode della tolleranza H dibattito sulla cultura laica Lode della tolleranza Nell'articolo di Galli della Loggia, che ha già suscitato tante discussioni, affiora ancora una volta il vecchio, vecchissimo, sospetto che vi sia uno stretto rapporto fra tolleranza e indifferentismo morale. Dall'accusa che il tollerante muove all'intollerante di essere un fanatico, l'intollerante si difende accusandolo a sua volta di essere uno scettico, o per lo meno un indifferente, che non ha forti convinzioni e ritiene non vi sia alcuna verità per cui valga la pena di battersi. Non so se ci si sia ricordati di una nota controversia che si accese al principio del secolo tra Luigi Luzzatti, autore di un libro in cui si esaltava la tolleranza (La libertà di coscienza e di scienza, 1909) come principio ispiratore dello Stato liberale, di quel «liberalismo» di cui Galli della Loggia deplora la decadenza, e Benedetto Croce, il quale, avendo abbassato la tolleranza a «formula pratica e contingente», concluse che non sempre fra i tolleranti «furono gli spiriti più nobili ed eroici*, giacché spesso vi furono «i retori e gl'indifferenti», mentre «gli spiriti vigorosi ammazzavano e si facevano ammazza re». Alla rinnovata accusa contro il tollerante ha già risposto molto bene Sergio Quinzio mettendo in rilievo le buone ragioni per cui si è giunti «a società fondate sulla tolleranza» anziché sulla proclamata assolutezza di una verità, buone ragioni che nessuno oggi può pensare seriamente di rimettere in discussione. Vi sono poi altrettanto buone ragioni, che sono state oggetto di secolari controversie (oh, quanto monotona la storia delle idee!), per mostrare che si può essere tolleranti senza essere indifferenti. Prima di tutto, la tolleranza non comporta affatto la rinuncia alle proprie ferme convinzioni, ma nasce dall'idea che la verità abbia tutto da guadagnare a sopportare l'errore altrui, perché la persecuzione, come l'esperienza storica ha spesso dimostrato, invece di stroncarlo, lo rafforza. All'indifferente non importa quale fede sia destinata a trionfare. Il tollerante vuole il trionfo della propria verità ma ritiene che la tolleranza meglio dell'intolleranza permetta di conseguire lo scopo. In secondo luogo, la tolleranza rappresenta la scelta del metodo della persuasione rispetto a quello della forza o della coazione. Nel tollerante non c'è sopportazione passiva e rassegnata dell'errore, ma fiducia nella ragione o nella ragionevolezza dell'altro e il rifiuto consapevole della violenza per ottenere il successo delle proprie idee. Nell'isola di Utopia si pratica la tolleranza religiosa e Utopo ne spiega le ragioni così: 'Sarebbe temerario e stolto pretendere con violenza e minacce che ciò che tu credi vero appaia tale per tutti». Il principe dei filosofi della tolleranza, John Locke, ripete: «Ben poco aiuto ha conferito il potere dei grandi alla verità. La quale non ha bisogno della violenza per trovare ascolto presso lo spirito degli uomini, e non la si può insegnare per bocca della leggo. Non sarà inopportuno far rilevare che su questo precetto così bene illustrato da Tommaso Moro e da Locke riposa il principio costitutivo della democrazia come regime contrapposto a ogni forma di dispotismo. La democrazia infatti può essere definita come quel sistema di convivenza in cui le tecniche dell'argomentazione e della persuasione vengono sosti- tuitc alle tecniche della coazione per la soluzione dei conflitti sociali. Si deve infine giustificare la tolleranza non solo con ragioni pratiche ma con una ragione di principio: il rispetto della persona altrui. Anche in questo caso la tolleranza non ha niente a che vedere con la rinuncia alle proprie convinzioni o con l'indifferentismo morale. Come il metodo della discussione e della persuasione è essenziale alla forma di governo democratico, così il riconoscimento del diritto che ha ogni uomo di credere e di manifestare la propria fede è l'essenza dello Stato liberale. Storicamente è stato ormai ampiamente accertato che Stato democratico e Stato liberale formano un'unità indissolubile, tanto è vero che là dove esistono stanno o cadono insieme. Sotto quest'ultimo aspetto la tolleranza non è più soltanto un male minore, non è soltanto l'adozione di un metodo di convivenza, ma diventa l'unica possibile difesa della libertà di coscienza e di opinione contro tutti i tentativi fatti dalle Chiese e dagli Stati di limitarla o sopprimerla. Su questo punto non ho nulla da aggiungere a quello che ha scritto Alessandro Galante Garrone sulla regola della libertà che non conosce tramonto. L'unica alternativa alla tolleranza è la persecuzione. Non mi nascondo che anche in questo dibattito alcuni fraintendimenti possano nascere dall'ambiguità della parola. La tolleranza di cui sto parlando è quella che si contrappone all'intolleranza e sulle cui conseguenze nefaste ritengo che nessuna persona civile possa ancora sollevare dei dubbi. Ma si può anche intendere per tolleranza il contrario non dell'intolleranza ma del rigore morale, della fermezza nel sostenere le proprie idee, della giusta severità di giudizio. Solo in questo senso la tolleranza diventa sinonimo d'indifferenza, d'insensibilità, d'incapacità o meglio di non volontà di distinguere il bene dal male. Se le società dispotiche soffrono di mancanza di tolleranza nel senso positivo del termine, le società democratiche soffrono, e sotto questo aspetto giusta è la deplorazione di Galli della Loggia, di eccesso di tolleranza in senso negativo. Che in una società democratica la libertà corra il pericolo di trasformarsi in licenza è un tema ricorrente del pensiero politico che risale addirittura a Platone. Ciò che distingue chi aderisce a una confessione religiosa e ne segue i precetti dal laico (che può essere, pur restando laico, uno spirito religioso) non e la maggiore o minore consapevolezza del male, ma il rimedio. Concordo pienamente con Luigi Firpo, per il quale «iproblemi del mondo, in & un parte suscitati dall'uomo, debbono dall'uomo venire risolti». Quando Galli della Loggia parla di crisi degli ideali liberali, sembra dimenticare che in questi ultimi anni vi è stato un rifiorire di studi e di appassionati dibattiti di etica razionale, che hanno affrontato problemi ultimi, o «questioni mortali», per usare il titolo di un'opera apparsa recentemente anche in Italia, che vanno dalle questioni di bioetica alla difesa della nonviolenza, dal riconoscimento dei diritti dell'uomo astratto a quello dei diritti dell'uomo concreto, nelle sue specifiche condizioni d'infante, di vecchio, di infermo, di malato di mente ecc. Oggi più che mai il discorso mora!': ha abbandonato le comode vie segnate dalle autorità costituite per seguire quelle dell'analisi e della ricerca «nei limiti della sola ragione». Norberto Bobbio «La tolleranza non comporta affatto la rinuncia alle proprie ferme convinzioni, ma nasce dall'idea che la verità abbia tutto da guadagnare a sopportare l'errore altrui, perché la persecuzione, come l'esperienza storica ha spesso dimostrato, invece di stroncarlo, lo rafforza»

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