I Serbi di Enzo Bettiza

I Serbi I Serbi Una sola e nuova Costituzione. Come dire: assorbimento giuridico della Vojvodina e del Kosovo in una Grande Serbia, limitazione del separatismo rampante nelle Repubbliche più evolute. Ma il monito forse più minaccioso è quello che reclama *un solo esercito». Come dire: bando agli scherzi: un Jaruzelski, magari serbo, magari alleato di Milosevic, può emergere anche dal caos jugoslavo. Se i primi Anni 70 erano stati segnati dal nazionalismo croato dei Tripalo e delle Dapcevic, poi stroncato quasi manu militari da Tito, gli ultimi Anni 80 vedono esplodere in primo piano il nazionalismo serbo dei Milosevic. Con molte differenze, però, nello sfondo, a cominciare dall'assenza di una grande autorità personale come quella di Tito. Anzi, la contestazione nazionale a suo modo positiva di Milosevic, incentrata sull'idea e la strategia di una Serbia più unita e più forte quale premessa di una rifondazione della Jugoslavia nel suo insieme, si basa su una evidente allusione dinastica. I seguaci del capo del partito serbo lo dicono già: è il nostro Milosevic l'uomo destinato finalmente, per il bene non solo della Serbia ma della Federazione intera, a riempire il vuoto lasciato da Tito. Il prossimo appuntamento, in questa scalata serba ai vertici del potere federale, dovrà scattare il 17 ottobre, con l'imminente plenum del Comitato centrale della Lega dei comunisti jugoslavi che vedrà probabilmente ridursi della metà il proprio organico di vertice. Dietro le vibrazioni sismiche del terremoto politico in atto, col Kosovo che freme di violenze palesi e sopite e la Slovenia che ritira indignata i propri rappresentanti federali da Belgrado, l'economia intanto rotola a pezzi. L'inflazione, che cresce vertiginosamente d'ora in ora, correndo alla velocità del 18 per cento al mese, non è più argentina: è weimariana. Certi pagamenti e acquisti, come nella Germania Anni 20, si effettuano da mesi con valigie ricolme di banconote svilite. La disoccupazione incalza, gli scioperi non si contano più, mentre la mitica classe operaia, che in questo momento solo Milosevic riesce ad affrontare e a domare, 'protesta contro se stessa» occupando a ripetizione il Parlamento federale di Belgrado. Tutto, insomma, nel comu nismo jugoslavo allo sbando appare stravolto, con la crisi interetnica che rende esponenziale quella economica e il vuoto d'identità statale che porta a livelli astronomici il di¬ sordine c la mancanza di intesa fra le Repubbliche e Belgrado. Manca una vera e unificata opposizione democratica, come Solidarnosc in Polonia. Ci sono, in sua vece, otto opposizioni, tante quanti sono i partiti nelle sei Repubbliche e due regioni autonome, spesso in conflitto le une con le altre. E' in tale disfacimento generale che i serbi e la Serbia, dopo lunghe frustrazioni, hanno rialzato la cresta proponendosi come i salvatori della patria prima ancora che del socialismo. La Jugoslavia, laboratorio sperimentale del revisionismo comunista, dopo anni di incertezze e sbandamenti fra autogestione e mercato, autoritarismo e separatismo, unitarismo e federalismo, è arrivata alla massa critica di tutte le proprie inestricabili contraddizioni. In questa fase delicata e combustibile, fra la liberalizzazione integrale patrocinata dagli sloveni e l'autoritarismo populistico appena attuato in Vojvodina dai serbi, il pendolo sembra oscillare, sia pure confusamente e pericolosamente, verso Belgrado piuttosto che verso Lubiana. Enzo Bettiza

Persone citate: Dapcevic, Jaruzelski, Milosevic