Città incorsa verso l'ignoto

Città incorsa verso l'ignoto MILANO, LA 17a TRIENNALE SI INTERROGA SULLA CIVILTÀ' URBANA Città incorsa verso l'ignoto Tre scenari sul loro destino presentati al visitatore - In Europa scarsa fede nella pianificazione, con qualche sortita astratta e fantasie visionarie - Giapponesi e americani disegnano profili di grandi capitali transnazionali: Tokyo come New York - Ma incombe su tutte il rischio di Città del Messico, gigantesca conurbazione di poveri MILANO—/ visitatori salgono su una pedana, all'ingresso di una grande cabina dalie pareti avvolgenti su cui scorrono le immagini della città attraversata in automobile e in treno: la vertigine del traffico, l'incubo delle periferie, il magma confuso di case e stabilimenti, le maree di automezzi e di persone, mentre sfrecciano insegne luminose e passano semafori. Il viaggio diventa metafora della corsa della metropoli verso un destino ignoto. E' questo il tema di fondo dell'esposizione aperta alla 17* Triennale fino al 18 dicevi» bre: «Le città del mondo e 11 futuro delle metropoli». Tre sono gli scenari distinguibili. Quello della città europea che si interroga sul disordine e sulla pianificazio¬ ne, reale o cartacea. Quello delle città statunitensi e giapponesi candidate al ruolo di capitali di concentrazioni transnazionali. Quello delle conurbazioni caotiche di povera gente. Massimo esempio Città del Messico, oggi 19 milioni di abitanti, 25 previsti nel Duemila. La mostra si limita a registrare diversi aspetti dell'evoluzione della città e diversi modi di vederla o non vederla affatto. Coinè annota Luigi Mazza nell'introduzione, «il problema urbano non è più al centro del dibattito politico e culturale». Agli anni dell'utopia e della lotta sono seguiti quelli della rassegnazione. Quartieri, sottocittà periferiche, agglomerati industriali, non hanno più, identità comune. Oli edifici-sim¬ bolo che consentivano l'identificazione di organismi urbani consolidati nei secoli (la Torre Eiffel a Parigi, il Duomo a Milano) diventano frammenti di un paesaggio dilatato e caotico, in qualche caso razionalizzato e 'abbellito» seguendo le strategie e le tendenze del potere economico, nonpiù fondate sull'industria che generò le città dell'Ottocento, ma su sistemi complessi che portano a repentine cadute o ascese di città. Dagli Stati Uniti arriva una conferma' lo spostamento del capitale provoca crisi urbane a Houston e Denver che erano in pieno boom negli Anni Settanta, provoca il boom a New York e Baltimora che erano in crisi negli stessi anni. In Italia la trasformazione i a i n e e e , , a e ni o i ti o i è disordinata e priva di emergenze o episodi paragonabili a quelli nordamericani. La sezione italiana ne prende atto, scegliendo come esempio la città lineare estesa nella Valle Padana lungo l'asse Torino-Milano-Venezia. Unasalarettangolare, in penombra, ha per pavimento una serie di fotografie aeree. Si cammina su un territorio disordinatamente urbanizzato: macchie colorate di tetti, solchi neri di strade e ferrovie, geometrie di campi coltivati, residue macchie verdi. Ai due lati le immagini verticali di palazzoni e palazzine, villette, capannoni, supermercati. Per contrasto, al centro della sezione Italia è collocata una serie di teatrini in cui sono riprodotti in scala i paesaggi del passato, ben riconoscibili e in armonia con l'ambiente naturale, fortemente caratterizzati dagli edifici religiosi e civili (la cupola della basilica, il castello, le torri) oppure i paesaggi interamente artificiali ma con impronte fortissime, come Manhattan e t suoi grattacieli. L'idea, realizzata da Marco Romano con la consulenza di Cesare Macchi Cassia e Giorgio Piccinato, è suggestiva. Manca di un commento adeguato che aiuti il visitatore a capire. Ma questo è un difetto tecnico cui si può rimediare. Rimane invece il dubbio sulle finalità: fredda denuncia di impotenza della pianificazione oppure proposta di arricchire la megalopoli padana con qualche 'segno forte», magari in forma di grattacielo o di colossale centro commerciale con luna park, stadi e arene, torri televisive, nuovi simboli di una civiltà che digerisce il kitsch e le trovate dell'eclettismo, non sapendo più immaginare gli equivalenti di una cattedrale o di un Palazzo della Signoria? Maggior fiducia nella pianificazione e nell'urbanistica concreta spira nelle mostre dei Paesi modello, Olanda, Svezia, Finlandia. L'Olanda ripresenta la »Randstad», metropoli a forma di anello costituita da Amsterdam, l'Aja, Rotterdam, tre centri ben distinti per funzioni, storia, architetture, unificati seguendo un piano che risale al 19SS, con queste direttive: efficiente sistema di trasporti, tutela dei centri storici, fasce verdi tra gli agglomerati, ordinata urbanizzazione delle periferie. La mostra olandese avrebbe meritato un contributo critico tale da consentire la valutazione dei risultati positivi e di quelli negativi, soprattutto dal punto di vista degli abitanti, chiamati in qualche caso a sopportare speri mentazioni non proprio feli ci. All'Aja un piano di edilizia abitativa è nelle mani di Bofill, e si pensa con sgomen to alle sue bizzarrie nei dintorni di Parigi, vedi Marne La Vallèe e Cergy Pontoise. Resta a favore dell'Olanda una radicata cultura urbanistica, con un alto grado di efficienza tecnica. Solo disegni Altrettanta -fede nella pia nificazione» si osserva nella mostra della Finlandia. Sono illustrati i piani del centro di Helsinki (485 mila abitanti, 980 mila nell'area me tropolitana) scaturiti dal concorso di idee del 1986 non senza contraddizioni e lacu ne, rilevate dalla giuria stes sa. Anche in Finlandia sem bra oggi dominante la tendenza a operare senza una visione di insieme paragona bile a quelle di Saarinen e di Alvar Aalto, proponendo so luzioni astratte, ottimi dise gni più che modelli reali, co me annota nell'introduzione Maria-Ritta Norri. Rivolta a un futuro in cui creare armonia tra la natu ra, il passato, il dinamismo di città multipolari, è la sezione giapponese che presen ta i progetti della città-aero porto e del tecnoporto su ba se informatica previsti Osaka Per Tokyo i progett in vista del Duemila mirano a utilizzare gli specchi d'acqua per «trasformare la capi tale in un luogo confortevole e familiare», con un piano di moltiplicazione del verde. Si può avanzare qualche timi do dubbio osservando la rap presentazione grafica del piano per la città fluviale di Tokyo Ohkawabata, con suoi grattacieli e il mo asset torsidcvcmYilmgpzarelmdut to non propriamente familiare. E' evidente lo sforzo straordinario dei giapponesi in direzione di 'Città mondiali», centri privilegiati di comando e di controllo, al vertice di una nuova gerarchia su scala planetaria. Domani Tokyo come oggi New York. La cultura europea messa in mostra alla Triennale delle città potrebbe sembrare meno impegnata nell'immaginare la città del futuro, propensa all'intervento parziale, con qualche sortita astratta e fantasie visionarie. E' il caso dei progetti esposti nella sezione dell'Urss, alcuni graficamente molto belli, con forte carica di provocazione («dotare di un paio di ali ciascun abitante della città di domani»). Parigi fugace / francesi hanno cercato originalità ed ironia nell'ailestire la loro mostra sul tema 'Organizzare Parigi», trattato senza il consueto supporto didascalico (di cui però si avverte la mancanza). Lo spettatore assiste alla proiezione di immagini di Parigi in movimento che illustrano sinteticamente il di venire della città, con l'ausi Ho di raggi e trame colorate indicanti i grandi assi gene rotori, le proiezioni, i contrasti, dalla quasi fantascienza dell'aeroporto Roissy 2 allo scenario d'asfalto di Pori de la Chapelle, alla piramide del Louvre e al parco tecnico-scientifico della Villette. Fine dichiarato: «Rendere percettibile un presente inafferrabile, sfuggente ed effimero», come si legge nel commento di Serge Salat e Frangoise Labbé. Chissà che cosa ne pensano gli abitanti-utenti della città, destinati a soffrire sulla pelle un presente per essi tutt'altro che inafferrabile. E'possibile risparmiare alle popolazioni urbane i danni di progetti concepiti in funzione di interessi speculativi e accolti con vere e proprie ribellioni? La sezione degli Stati Uniti sembra offrire qualche speranza nella simulazione elettronica. E' il caso di Times Square, New York. Il progetto del 1982 prevedeva la demolizione dell'intero quartiere degli spettacoli per tirar su grattacieli da 70 piani. Nel laboratorio di simulazione ambientale dell'Università di Berkeley vennero costruiti modelli del cantiere, con un cielo artificiale per misurare l'insolazione, le ombre, la luminosità in rapporto ai diversi tipi di edifici. Con fotocamere speciali, guidate dal computer, furono resi visibili gli effetti del progetto su Times Square. Risultato: le altezze degli edifici vennero ridotte. Sfortunatamente il ricco catalogo pubblicato dalla Electa riserva all'esperimento di Times Square una sola paginetta. Catalogo denso di testi più utili della mostra (costata 6 miliardi di lire) per un confronto di idee sul futuro della citta, insidiata dal prevalere dell'interesse finanziario su quello sociale e culturale. Lo mette in evidenza il 'rinascimento all'americana» fortemente criticato dagli americani stessi appunto nel catalogo. Scrive David Harvey, a proposito di città presentate come modelli, ad esempio Baltimora: «La realtà dei fatti sta nel progressivo impoverimento della maggior parte dei quartieri, nelle deficienze di abitazioni e di servizi per l'istruzione. C'è molto marciume dietro lo sfarzo. Eppure è l'immagine a prevalere. Il circo ha successo anche dove manca il pane-. Feroce ma stimolante., Mario Fazio