Il nuovo zar della Riforma

Il nuovo zar della Riforma Il nuovo zar della Riforma Iniziata 1*11 marzo 1985, l'era del primo Gorbaciov si è chiusa traumaticamente e simbolicamente il 30 settembre 1988 col ridimensionamento di Ligaciov e col pensionamento definitivo di Gromyko, ultimo mostro sacro del regime. Con l'assunzione istituzionalmente potenziata, da parte del segretario generale, del ruolo di presidente del Soviet Supremo, incomincerà l'era ancora più perigliosa del secondo Gorbaciov. Dalla glasnost nei discorsi e nei media alla perestrojka nell'economia, nel partito, nello Stato, nella società: dovrà essere questo il binario strategico del nuovo periodo gorbacioviano appena avviato. Dalla parola al fatto, dalla promessa riformistica alla sferza della riforma vera e propria, I risultati visibili di questa prima decisiva svolta nella lotta per il potere sono, in breve, i seguenti. Nel momento stesso in cui si assicura la carica, pregna di significato, di capo dello Stato, Gorbaciov neutralizza i due principali antagonisti: trasferisce Cebrikov dal comando del Kgb ad altro incarico e, togliendo dalle mani di Ligaciov la temibile arma antiglasnost dell'ideologia, cioè dell'ortodossia, gli mette nel pugno vuoto la patata incandescente dell'agricoltura. Al tempo stesso riduce le competenze e le funzioni del Comitato centrale del partito, ne amputa l'apparato della metà, lo purga degli avversari reali o latenti, introduce nel Segretariato e nel Politbjuro un'infornata di uomini nuovi a lui devoti. Dopo tre anni di paradossi, di contrasti, di deviazioni e confusioni d'ogni genere, la logica del potere bolscevico fa così prevalere le sue ferree ragioni anche su colui che finora si era battuto contro la «destra conservatrice» nel nome della liberalizzazione e democratizzazione del socialismo. Una volta di più, nell'agitata storia della Russia comunista, naufraga, dopo un sordo periodo di torbidi e contorsioni, il tentativo di preservare una parvenza di collegialità e di pluralità ai vertici del sistema. Pure con Gorbaciov si ripete, ancorché in altre circostanze e in altre dimensioni, ciò che era già avvenuto ai tempi di Stalin, di Krusciov, di Breznev: la macchina del potere riesce a mettersi in moto, nel male e nel bene, solo nel momento in cui il leader del partito, il segretario generale, riesce a impadronirsi delle sue leve schiacciando o scacciando dal ponte di comando tutti gli altri aspiranti manovratori. Il potere, in Urss, non lo si divide; lo si può solo monopolizzare e personalizzare. Neppure Gorbaciov sfugge alla regola. Secondo i dettami «istituzionalizzanti della conferenza del partito di luglio, egli avrebbe dovuto farsi eleggere col consenso popolare, la prossima primavera, alla carica di presidente dell'Urss. Ha dovuto invece anticipare brutalmente i tempi espellendo, con un atto d'imperio, Gromyko dal Soviet Supremo. Secondo i patti e i compromessi di luglio, avrebbe dovuto tollerare le posizioni e le opinioni divergenti di Ligaciov e di Cebrikov. Ha dovuto invece affrontarli e degradarli. Secondo la retorica della democratizzazione e della glasnost, avrebbe dovuto dare più ascolto alle proteste e alle esigenze nazionali e umane degli armeni mi nacciati di genocidio dagli azeri turcheschi nel Nagorny-Karabakh. Invece, con un amici po di qualche giorno sullo scontro all'interno del Comitato Centrale, ha dovuto piegare gli armeni in subbuglio con io stato d'assedio militare, imprimendo in tal modo all'in¬ tegeg tera situazione sovietica, fuori e dentro il partito, una svolta generale dura di cui l'odierna e particolare svolta istituzionale sembra essere una conseguenza logica. Oggi vediamo Gorbaciov costretto, dalla forza direi ancestrale, intrinseca al sistema, avviarsi alla perestrojka, alla riforma, al mercato, alla libera concorrenza, con metodi autoritari che nella sostanza, se non nella forma, non sono poi tanto dissimili da quello che all'inizio delle rispettive scalate al potere dovettero impiegare Stalin, Krusciov e Breznev. Anch'egli deve distruggere l'apparato di partito dei predecessori e costruirsene uno proprio. Anch'egli, per operare dei cambiamenti, per imporre la sua riforma dall'alto, deve impadronirsi prima d'ogni altra cosa della totalità del potere. Anch'egli deve, insomma, stabilire un nesso «dialettico» tra il cambiamento della società e la distruzione delle precedenti strutture partitiche. Stalin sgozzò il vecchio partito leninista. Krusciov tentò di fratturare in due tronconi il vecchio partito stalinista. Breznev dckruscevizzò mediante una sorta di ristalinizzazione morbida e corrotta. Gorbaciov cerca di disciogliere il vecchio partito brezneviano in uno «Stato di diritto socialista» non meglio definito, di cui Gorbaciov stesso sarà l'autocrate, speriamo, illuminato. Certo, il gorbaciovismo, entrato nella sua seconda e più determinata fase, non potrà esaurirsi soltanto nella fenomenologia e tecnologia del potere. L'intera società sovietica ne verrà investita e sconvolta. Ma le regole del gioco bolscevico, più che mai adesso, andavano sottolineate. Dopo, che l'autocrate illuminato avrà piegato l'ultimo rivale politico, dovrà lanciarsi a fondo sul vero antagonista: l'uomo medio sovietico, con tutte le sue deformazioni storiche e psicologiche, che finora ha mostrato di preferire le comodità della stagnazione ai rischi della riforma. Sarà allora che vedremo come e in quale direzione Gorbaciov userà il potere assoluto che in queste ore va accumulando nelle proprie mani da cui, all'improvviso, abbiamo visto balenare artigli d'ac- ciaì0 EnzoBettiza

Luoghi citati: Russia, Urss