L'ultima recita di Gromyko, il grande camaleonte di Domenico Quirico

L'ultima recita di Gromyko, il grande camaleonte L'ultima recita di Gromyko, il grande camaleonte E' passato indenne attraverso gii anni di ferro e di sangue di Stalin, ha assistito impassibile al disgelo di Kruscev, è stato in prima fila alla corte fastosa e corrotta di Breznev, poi a fianco delle meteore Andropov e Cemento: 40 anni di storia sovietica tra purghe interne e crisi mondiali, guerra e distensione, ma Gromyko era sempre lì. accanto al leader di turno, un passo indietro come si conviene a un «consigliere del principe» consapevole del suo ruolo, lo sguardo impenetrabile, cappello e grisaglia, autentica divisa del burocrate. Ma al campione di sopravvivenza politica non è riuscito l'ultimo miracolo, quello di resistere anche al vento impetuoso della perestrojka. L'ex signore della diplomazia sovietica, l'uomo che aveva tenuto testa impassibile a de Gaulle e a Kennedy, esce di scena con un decreto di collocamento in pensione e quattro parole frettolose di ringraziamento per l'opera compiuta che suonano, nella prassi della nomenklatura, come un epitaffio. E nel suo commiato ('Sono triste, ma la vecchiaia è una cosa testarda e non c'è modo di cambiare-), c'è il timbro amaro della resa In queste ore Gromyko deve aver ripensato a quel giorno del 1980 quando l'ultimo arrivato nel Polltburo, uno sconosciuto tecnocrate amico di Susio v che si era fatto le ossa in provincia e doveva occuparsi della grande malata dell'economia, l'agricoltura, entrò nella sua dacia di Vnukovo, vicino a Mosca: il «giovanotto» si chiamava Mieti ali Gorbaciov e Gromyko era il primo dei grandi del vertice sovietico a invitarlo a casa, con un gesto di cortesia che forniva anche un chiaro segnale di appoggio politico. Un altro paradosso di una carriera che sembra aver sfidato la logica della politica. Quando debuttò in diplomazia, come responsabile degli affari americani al ministero degli Esteri, nel 1939, le divisioni corazzate di Hitler si preparavano a scatenare la seconda guerra mondiale e Stalin guidava con mano di ferro la patria del socialismo, dopo aver spazzato tutti gli oppositori. D ministero, o meglio l'ufficio del popolo per gli affari esteri, era stato colpito duramente dalle purghe del "37, una intera generazione di diplomatici annientata con le accuse vergognose di spionaggio e di complotto capitalistico-giudalco. Fu questa la dura scuola per il giovane laureato in economia, figlio di poveri contadini della Bielorussia, approdato a Mosca per scalare i vertici | del potere. Si racconta, e Gromyko non lo ha smentito neppure nella sua autobiografia, che il «padre dei popoli» lo scelse come ambasciatore a Washington nel 1943 per fare uno sgarbo agli americani: l'apertura del secondo fronte in Europa che Stalin invocava per alleggerire la morsa tedesca sull'Armata Rossa tardava, e Stalin volle manifestare il suo malumore destinando a una missione diplomatica chiave un oscuro burocrate. Forse neppure il dittatore aveva intuito che dietro quel giovanotto grigio e impenetrabile si nascondeva la stoffa di un Talleyrand. Gromyko lo ripagò mentendo una volta sola al suo primo padrone: prima di partire per gli Stati Uniti Stalin lo convocò e prendendolo pesantemente in giro perché non conosceva l'inglese, gli suggerì di andare nelle chiese anglicane di New York dove ascoltando le prediche, avrebbe potuto «apprendere l'accento giusto». Gromyko restò impassibile, parti per l'America ma imparò l'inglese senza mai mettere piede in una chiesa L'arte di stare zitto e di annuire gli consentì di passare indenne attraverso quegli anni di ferro scalando tutte le tappe della carriera diplomatica fino ad approddare nel '57 all'ufficio principale di un orribile monumento in stile staliniano sulla Smolenskava-Sennay a, la sede del ministero degli Esteri, il ponte di comando da cui per vent'anni ha contribuito, regista silenzioso, a tessere le trame della polìtica intemazionale. Di che pasta fosse fatto questo superburocrate si accorsero presto anche gli americani, fin dal '46 quando Gromyko divenne rappresentante permanente al Consiglio di sicurezza dell'Orni: di fronte ai suoi gelidi «nyet», 28 in due anni un vero record, si sciolse quel poco che resta-' va della collaborazione tra gli ex alleati e calò anche sulle Nazioni Unite 11 gelo della guerra fredda A tutte le sue capacità di sopravvivenza Gromyko dovette fare ricorso nel '52 quando il suo superiore diretto al ministero degli Esteri 11 terribile Vishinsky, implacabile Torquemada dei grandi processi di Stalin, scopri forse l'unica scappatella della sua carriera: aveva costruito la dacia usando fondi pubblici. Erano anni in cui per una colpa come questa si poteva sparire silenziosamente in qualche Gulag siberiano: Gromyko pagò soltanto con un breve esilio dorato all'ambasciata di Londra dove attese la morte di Stalin. Gli anni più duri per Gromyko sono stati forse quelli di Kruscev: il ministero degli Esteri restò sempre saldamente nelle sue mani, ma il successore di Stalin non lo poteva soffrire. Quel burocrate silenzioso e colto non poteva certo piacere al vulcanico, un po' rozzo ex contadino ukraino che non perdeva occasione per umiliarlo. 'Gromyko? Se glielo ordino è disposto a calarsi le brache e a sedersi su un cubo di ghiaccio», è la più celebre delle pesanti battute di Kruscev sul suo «insostituibile» ministro degli Esteri. Ma Gromyko è uno specialista nell'ine assare, gelido e impenetrabile resta al fianco di Kruscev pilotando grandi crisi intemazionali come quella di Cuba L'esperienza gli ha insegnato che la carta vincente tra i veleni e le congiure del Cremlino è saper aspettare: e infatti quando Kruscev finì malinconicamente a meditare in una dacia alla periferia di Mosca, il capo della diplomazia rimase a fianco del nuovo signore, Breznev. Furono anni d'oro per Gromyko che di Breznev è amico personale, lo chiama affettuosamentye Lyonya, e gli detta passo passo le mosse in politica estera. Gromyko può dispiegare la strategia diplomatica a cui è rimasto sempre fedele, sicuro che nelle Cancellerie quel che conta alla fine è la conti¬ nuità: offrire la distensione e approfittare di tutte le occasioni per rafforzare le posizioni sovietiche in uno scacchiere ormai planetario. L'uomo che poche ore prima dell'invasione sovietica in Afghanistan dichiarava, offeso, all'ambasciatore americano Watson che le voci di movimenti militari «erano tutte false», era anche il regista degli accordi Abm, Salt e della storica riconciliazione con la Germania Ovest. Una stagione di successi premiata anche con la massima consacrazione politica per il «servitore modello dello Stato», l'ingresso nel polltburo. L'era di Gorbaciov non sembrava aver mutato la fortuna dell'inossidabile diplomatico: la nomina alla presidenza del soviet supremo, in pratica la carica di capo di Stato con un ruolo puramente formale, non lo aveva tolto di scena Gromyko è stato in prima linea in tutti i momenti chiave della difficile marcia della glasnost, dal drammatico faccia a faccia con i tartari che chiedevano la loro patria perduta alla spettacolare celebrazione del millenario cristiano. Il grande camaleonte sembrava pronto all'ultima, più difficile capriola, da fedelissimo di Breznev a tutore della perestrojka. Ma l'ultimo salto mortale non è riuscito. Domenico Quirico