Pugilato, che nostalgia!

Pugilato, che nostalgia! Gli spettacoli del ring, entrati nell'orbita della tv, hanno lasciato ormai da alcuni anni le grandi città: Torino, come le altre, è diventata periferia Pugilato, che nostalgia! C, E' stato un tempo, vent'anni fa o anche più, in cui Torino, capitale del calcio in singoiar tenzone con Milano, reggeva e a volte vinceva il duello con la metropoli lombarda anche come capitale del pugilato. Erano i tempi di Carlo Restelli (scomparso, da pochi anni, in un incidente d'auto) il dinamico, appassionatissimo concessionario piemontese della Gbc, che si era lasciato contagiare dal «virus» della boxe sotto la spinta del suo «boss» Iacopo Castelfranchi e di Umberto Branchini. Sotto le insegne della Gbc, Torino, che già nel 1S60 aveva proiettato, ospitando i campionati tricolori nella fumosa palestra Ponchia di corso Grosseto, i vari Benvenuti, De Piccoli e C. verso i trionfi olimpici di Roma, visse anni di autentica gloria: sul ring del teatro Alfieri e poi del Palasport di Parco RufBni passarono, conquistando o difendendo titoli italiani (che allora erano importanti) od europei, campioni come Benvenuti, Mazzinghi, De Piccoli, Burnirli, Manca, Cotena, Carlo Duran ed altri ancora. Prendendo il testimone da Carlo Restelli, negli Anni 70, fu il romano Rodolfo Sabbatini a far compiere alla nostra città un salto di qualità assoluto, addirittura a livello mondiale. I tempi erano cambiati, la tv era diventata non solo un supporto ma un cardine indispensabile alle manifestazioni di più ampio respiro, accorciando le distanze fra Europa ed America e portando fra noi fior di campioni. Le epiche battaglie di Bruno Arcari, del mediomassimo argentino Victor Galindez riempivano il Palasport, così come lo riempirono, in epoca successiva, i tentativi di «revival» effettuati dallo stesso Sabbatini con l'appoggio di altri appassionati torinesi, dapprima Beniamino Accorsi, industriale di alimentari, poi Gigi Rossini, industria manifatturiera. A poco a poco però la stella pugilistica di Torino è tramontata, seguendo sul «Sunset boulevard» il declino delle altre metropoli, abbandonate dalla boxe che, ormai schiava della tv via satellite, seguiva altre strade, cercando località turistiche disposte a pagare pur di farsi pubblicità sui teleschermi di tutto il mondo. Una strada che né Torino né altre grandi città, legate ad un tipo di amministrazione finanziaria che non consente questi sconfinamenti nell'assurdo, potevano seguire. Alla nostra città (e alle altre, se mal comune si può ancora dire mezzo gaudio) non è rimasto che specchiarsi nel proprio passato, amministrando un presente che è di piccola vegetazione, di umile sottobosco, di caparbia resistenza da sopravvissuti. Bastano pochi dati per capire come da capitale Torino sia diventata, per la boxe, estrema periferia: 1) l'ultima manifestazione a livello mondiale, il titolo mondiale dei mosca Wba tra il venezolano Pinango e Ciro De Leva, risale a due anni fa, ottobre 1986, e fu un fallimento: la gente, da troppo tempo abituata a restare a casa, davanti alla tv, a casa rimase, ancora una volta. 2) ai tempi d'oro, i pugili dilettanti piemontesi si battevano per il primato ed a volte vincevano, nell'annuale rassegna tricolore, mentre nel 1987 si è presentato sul ring degli «assoluti» a Bologna uno solo dei «nostri», Schiavello di Orbassano, fatto rapidamente fuori; 3) ai campionati europei dilettanti nel maggio 1987 al Palasport, voluti dal presidente federale Marchiaro, torinese ciecamente legato alla sua città, la presenza di pubblico fu francamente umiliante, a dimostrazione di un'inversione di tendenza legata soprattutto alla comodità di tanta boxe offerta gratis davanti alla poltrona in tv; 4) tornando ai tempi d'oro, la boxe piemontese aveva fior di campioncini, da Armando Scorda a Italo Biscotti, da Benito Michelon a Paolo Castrovilli a Tony Verdiani, ora in tutto il Piemonte i professionisti sono sei, il peso gallo Lupino attuale campione d'Italia, il superpiuma La Fratta, il superleggero Vottero, i welters Cipollino e Mercuri, i cui orizzonti sono necessariamente limitati da un'attività scesa al limite di sopravvivenza. Nonostante tutto ci sono gli irreducibili che resistono, aggrappati all'ultima trincea, decisi a tener accesa l'ultima fiammella. Se ne parla qui a fianco. Gianni Pigliata Il giovane professionista Bruno Votlero