Come viaggiava in Italia lo scandaloso Lord Byron

Come viaggiava in Italia lo scandaloso Lord Byron E' in corso a Ravenna una mostra di memorie del poeta Come viaggiava in Italia lo scandaloso Lord Byron «A? PPENA raggiunse propria stanza, 'Lord Byron si buttò sulla serva». Era la stanza di una locanda in Ostenda, prima tappa del pellegrinaggio del giovane Byron dall'Inghilterra che stava lasciando per sempre alla sua nuova e più vasta patria, il continente. Il balzo sulla serva, almeno nell'interpretazione del testimone e compagno di viaggio, poteva essere inteso come entusiastica presa d'atto delle maggiori e più congeniali libertà di espressione che il continente offriva. Byron viaggiava su un'enorme carrozza dipinta in verde scuro, in orrendo stile napoleonico. Coerentemente, essendo sua dichiarata opinione che l'intera epoca avesse prodotto tre soli geni: Napoleone appunto, Lord Brummel, e se stesso. Come non avere di queste tentazioni, del resto, quando a ventotto anni nome e opera sono già leggenda e si viene considerati «l'interprete più potentemente ispirato di tutti i sentimenti del proprio tempo» (per Goethe sarà addirittura «il massimo genio di questo secolo»)? Ora, però, su quella carrozza napoleonica. Byron fugge l'indignazione dei connazionali e lo scandalo: sua moglie lo ha lasciato, a pochi mesi dal matromonio, giurando di non poter vivere un'altra sola ora sotto lo stesso tetto; per di più — questo il grave — si è rifiutata di spiegare i motivi del suo gesto, alimentando così le più morbose illazioni. Trascorsi quattro mesi in Svizzera «fra metafisica, montagne, laghi, amore inestinguibile, pensieri inesprimibili, e l'incubo delle mie colpe», Byron decide di trasferirsi a vivere stabilmente a Venezia «l'isola più verde della mia fantasia». Della sua fantasia decadente, soprattutto. Popola il palcoscenico della sua esistenza di figure e sequenze in stretta, e risonante, aderenza con il mito che ha deciso di impersonare (e nello spirito annunciato da quel primo «balzo» a Ostenda): affitta sul Canal Grande la parte centrale di Palazzo Mocenigo dove si trasferisce a vivere in un'atmosfera di sperpero e incredibile disordine. Girano liberamente per le sale e saloni del palazzo cani di tutte le razze, tra cui diversi mastini, uno zoo crescente di scimmie, caprette nane, pavoni, in più una volpe perennemente in¬ seguita dai cani. Sarebbe il meno. Girano anche liberamente — non sempre cordialmente — le componenti del suo harem privato, «alcune nobili — confida — alcune ordinarie, alcune di bassa condizione, e tutte puttane» che gli costano, pare, sulle tremila sterline l'anno. Spese bene del resto, visto che, a sentir lui, non può vivere senza meno di duecento donne a disposizione. Inoltre vi sono i suoi quattordici servitori, il gondoliere privato e il suo medico personale (c'è chi stupisce gliene basti uno). «Sfrutterò la miniera della mia giovinezza fino all'ultima vena di metallo e poi... buonanotte». Lo intende davvero. Gli eccessi si susseguono alle stravaganze. «Ho a malapena chiuso un occhio durante la scorsa settimana... siamo agli ultimi sussulti del Carnevale»; così, passa da una cavalcata furiosa lungo il Lido e un convegno galante extra-harem a fitti impegni di ricevimenti da cui usa rientrare a nuoto reggendo con la sinistra ima torcia per avvertire i gondolieri della suapresenza. La miniera non tarda a minacciare esaurimento. «Lord Byron si era quasi rovinato a Venezia —annoterà l'amico e poeta Percy B. Shelley — il suo stato di debolezza era tale che non riusciva a digerire nessun cibo». E' Byron stesso a riconoscersi albero disseccato: «il cor deve fermarsi a respirare / e amor stesso aver tregua». Ha messo su pancia, soffre di giramenti di capo e annunci di sordità, i capelli («i riccioli corvini in scompigliata confusione») cominciano a tirare sul grigio e per restar rìcci necessitano di papìllotes e di sagaci parrucchieri, in più i suoi denti si sono fatti «piuttosto dondolanti e mi stanno su per cortesia». I tempi sono maturi per una svolta, per ritrovare la parte migliore della propria natura. «La sua vera natura — ci assicura Shalley — è in realtà molto diversa da come appare. Il fatto è che Byron è in amicizia con la più bassa specie di donne italiane le quali sono le più spregevoli fra tutte quelle che esistono sotto la luna». Cambiare donne, dunque. O, almeno, ridurle di nume¬ ro. Le condenserà in una sola. Quella Teresa Gulccioli, ravennate, diciannovenne sposata a un sessantenne di eccentrici costumi, cicciottella (per Byron «figura pie- na e voluttuosa»), rossa di capelli («riccioli di un rosso dorato tizianesco»), a volte sciocca, sempre sentimentale e che usava confondere l'Islanda con l'Irlanda (ma Byron corregge: «n ninnolo più bello mai creato da dolce Natura / mite, seria, selvaggia eppur gentile»). Per Teresa, Byron si farà monogamo, o quasi, rinuncerà a molte delle sue stra¬ vaganze e a tutto il suo harem (ma non al suo zoo ora accresciuto di diverse oche, un gallo, un falco e di un'aquila). Lascerà Venezia, seguirà Teresa à Ravenna, si sistemerà nella sua casa con la deliziata approvazione del marito. «Lord Byron è in ottimo stato sia di salute che di animo —scrive ora Shelley —, si è liberato di tutte quelle triste e degradanti abitudini. Vive con una donna che gli è affezionata e alla quale è affezionato, e sotto tutti i punti di vista è un uomo cambiato». Si è messo anche in politica. Si è iscritto alla Carboneria e finanzia generosamente moti (tentati moti) e giornali liberali di annunciata pubblicazione. E' «uomo cambiato» anche nella produzione letteraria. Già a Venezia il ribelle, il bel tenebroso del Childe Harold si era mutato nell'avventuriero cinico e libertino del Don Juan; ora compone drammi di ispirazione alfieriana alcuni dei quali ambientati nella storia di Venezia, come il Marin Faliero e / Due Foscari. Si addensano nubi. Gli muore una figlia illegittima. viene colpito da febbri malariche; e comincia a essere stufo di Teresa. E' tempo di cambiare ancora una volta orizzonti, personaggio, amori. Andrà in Grecia a combattere per la libertà di quella nazione. Parte su un brigantino appositamente noleggiato. Si è fatto fare tre elmi omerici di cui uno piumato e dorato, un secondo dipinto di verde con la figura di Atena. Sogna battaglie: trascorrerà, invece, un anno in irritata inazione tra un polverone di gelosie, contrattempi, beghe fra rivoluzionari, e nulla di fatto. La morte, infine, nel 1924 a trentasei anni di età, per febbri reumatiche incompetentemente curate. Ora Ravenna ha organizzato, con la Rìtz Saddler, una mostra, aperta fino al 31 agosto, che si presenta come unica manifestazione a livello europeo dedicata a Byron nel bicentenario della sua nascita. Inserita nel suggestivo scenario del Convento dei Camaldolesi, sede della Biblioteca Classense, la mostra espone manoscritti, cimeli, dipinti e sculture di ricchezza e varietà tali da consentire la miglior rilettura e rivisitazione di un poeta che per tutta la vita ha saputo suscitare le più violente e contrastanti emozioni. Pier Francesco Gasparetto George Byron