I giardini del Duemila

I giardini del Duemila Una mostra a Roma anticipa il nuovo gusto nell'allestimento, degli spazi verdi I giardini del Duemila ALago, in Calabria, c'è un giardino fatto a forma eli torre e che per di più si trova in cima a una torre. Lassù, illuminato anche di notte, c'è un albero. Il giardino è tutto qui. A Barcellona ne hanno costruito uno in pietra e metallo. Sempre in Spagna, a San Sebastiàn, il «Peine del vi«yito» ha la stessa sagoma del lungomare, formato da blocchi di granito da cui a tratti escono dei getti d'acqua, e nessuna traccia di verde. Inquietante e ricco di fascino, il giardino contemporaneo è una realtà, esiste. Esiste, in Italia, in Europa, in Nord America, America Latina e Giappone. A dircelo è la mostra Oltre il giardino. L'architettura del giardino contemporaneo. (A Roma e Palazzo Taverna fino a fine ottobre). Decine di fotografie, sei film, numerose dispositive e un voluminoso catalogo spiegano che il giardino può non essere più soltanto un giardino. Per i profani che ne scorrono le immagini nelle sale di un antico palazzo nel cuore di Roma, come per gli architetti, i paesaggisti e gli artisti impegnati nella sperimentazione di nuovi assetti dello spazio, questo giardino si presenta come «un nodo inquietante-, uno spazio tra i più contraddittori della sfera sociale. Ci se ne può rende.-e conto esplorando la mostra curata da Franco Zagari, professore di Arte dei giardini presso la facoltà di Architettura dell'Università di Roma, organizzata dall'In/Arch (Istituto Nazionale di Architettura). Tra gradini cavi che, calpestati, risuonano con note diverse, panchine di marmo nero, pergole metalliche, lampioni con grandi foglie di acciaio, capitelli di lamiera che riproducono la chioma delle palme, pilastri a forma di albero, piramidi di grani¬ to, grattacieli simili a serre, cascate di marmo e boschetti di arpe eoliche, qualcosa del giardino-giardino, in questo giardino che va «oltre», è ancora riconoscibile. Non solo: chiede, come ha sempre fatto, di esprimersi. Si tratta dell'acqua, della vegetazione, dell'aria e anche del tempo che passa. A Hereveen, in Olanda, Louis Guillame Le Roy sta costruendo da vent'anni le sue «Cattedrali ecologiche»: una foresta composta da materiali di discarica usati come fondamenta e un'infinità di specie su cui lui, una volta piantate, non interviene mai. n «Freeway Park» di Seattle, nel cuore della città, dove c'è un immenso svincolo autostradale, ha per protagonisti assoluti lastre di pietra verticali e il rumore e la luce dell'acqua. Lawrence Halprin, paesaggista, ha voluto che la gente dimenticasse l'esistenza della città immergendosi nell'acqua, e cioè passandoci sopra, sotto e attraverso. n giardino scultoreo di Isamu Noguchi a Costa Mésa, Los Angeles, si chiama «California Scenario» ed è posto alla base di due grattacieli di cristallo nel quali si specchia. n brasiliano Roberto Burle Marx, architetto, scultore, botanico, definito «il più insigne e prolifico di tutti i giardinieri del XX secolo», ha dato il proprio nome a molte specie di piante da lui scoperte e tratte per lo. più dagli habitat della flora brasiliana, dell'Amazzonia, della caaatinga, del calcareo e del granito. Gli elementi dei suoi giardini, in cui sono rielaborati motivi di quelli giapponesi e inglesi e in cui il riferimento pittorico è l'astrattismo, non sono altro che alberi, arbusti, cespugli, fiori, erba e acqua disposti facendo attenzione ai mutamenti di ombre e colori durante il giorno e durante le stagioni. Vedere questo e altro in sale illuminate artificialmente, percorse da rumori a volte indefinibili e a volte riconoscibili in quelli prodotti da uccelli, dall'acqua e dalla ghiaia calpestata, qualcosa di inquietante. In via di Monte Giordano 36, la mostra «Oltre il giardino. L'architettura del giardino contemporaneo» è aperta dal lunedì al venerdì dalle ' 9 alle 13 e dalle 16 alle 19. Elisa Forghieri S. Francisco: il giardino moderno secondo Lawrence Halprin

Persone citate: Arch, Costa Mésa, Elisa Forghieri, Franco Zagari, Isamu Noguchi, Lawrence Halprin, Louis Guillame, Roberto Burle Marx