o l'uomo: chi vìncerà?

o l'uomo: chi vìncerà? Fra controversie ecologiche e politiche si prepara la legge sulle riserve o l'uomo: chi vìncerà? COM'È' possibile che il Parlamento italiano,. con un dibattito sulla legge-quadro sui parchi nazionali che dura, anche se in modo discontinuo, da un quarto di secolo, non sia riuscito a produrre una sola proposta concreta e neppure qualche idea interessante in fatto di territori protetti? Perché mai lo sviluppo economico e sociale che ha portato l'Italia al sesto posto fra le nazioni più industrializzate non si è accompagnato, nell'ultimo mezzo secolo (i quattro parchi nazionali d'Italia furono creati fra Ù '22 e il '35), a nessun reale progresso nella tutela dell'ambiente, neppure dei luoghi più preziosi, che quasi tutti gli altri Paesi hanno invece messo al riparo come parchi nazionali e conservano con cura e orgoglio quasi religiosi? Una risposta a queste-domande va cercata, più che nell'alta densità di popolazione e nell'antichità degli insediamenti umani, nella cultura e nel costume politico; nella tradizione idealistica della filosofia italiana, che tende a svalutare la natura; nell'antropocentrismo delle due dottrine politico-religiose dominanti, il cattolicesimo e il comunismo; nell'utilitarismo della mentalità mediterranea; nel particolarismo delle popolazioni italiche, sfociato nell'ordinamento regionale. Ciò nonostante, ora che il disegno legge-quadro sui parchi nazionali sembra possa giungere in dirittura d'arrivo, vale la pena di chiarire uno specifico oggetto di controversie — i rapporti fra parchi e abitati umani—che rappresenta un reale intreccio di problemi ecologici e politici. Conviene partire da alcune questioni generali. Che cos'è un parco nazionale? Quale importanza, al fini della funzionalità, hanno le sue dimensioni e 11 disegno del suoi confini? Quali sono le soluzioni adottate e adottabili in pratica,,nel caso di preesistenti insediamenti umani? Storicamente i parchi nazionali sono nati negli Usa poco più d'un secolo1 fa, quando l'immigrazione europea, nella sua espansione verso Ovest, incontrò la straordinaria bellezza e grandiosità di alcuni paesaggi naturali e di certi fenomeni geologici e geomorfologici. Probabilmente le devastazioni ecologiche che accompagnarono quella espansione e lo sviluppo della costa atlantica — come lo sterminio dei bisonti o quello, totale e irrevocabile, delle colombe migratrici (per non parlare di quello degli Indiani) — non ebbero molta influenza sulle motivazioni dei parchi: essi furono voluti soprattutto per mettere da parte alcuni luoghi privilegiati, sottraendoli alla privatizzazione e allo sfruttamento, «per il beneficio e il godimento del popolo» (Yellowstone NPAct, 1872). In seguito, i parchi nazionali assunsero sempre più la funzione di rifugio per le specie viventi, anzi per i loro ambienti vitali, funzione che oggi, in un mondo sempre più affollato e manomesso, assume crescente importanza pratica (conservazione del patrimonio genetico; confronto di ambienti e processi naturali e artificiali). Nell'Europa Centrale e mediterranea, i Paesi che vollero istituire parchi nazionali, lo fecero per lo più sulle montagne: l'Engadina in Svizzera (1914), il Gran Paradiso, l'Abruzzo e lo Stelvio in Italia C22-'35), la Vanolse, l'Ecrins e il Mercantour in Francia 064-'73. '79), Berchtesgaden in Germania C78). La prima difficoltà fu la compenetrazione di uomini e vita selvatica. Per esempio l'orso bruno, il simbolo della selvatichezza, va di notte a nutrirsi nei frutteti dei villaggi del parco d'Abruzzo — mentre in quello di Yellowstone lo si può incontrare, con pericolo, solo addentrandosi nella «wilderness». Quali soluzioni furono tentate? Svizzera e Germania fecero i parchi dove non c'erano zone abitate, quindi relativamente piccoli. Possono comunque contare su un territorio circostante ben protetto e regolamentato. Italia e Francia fecero parchi nazionali grandi (per una scala europea), quindi con centri abitati al loro interno. Con questa differenza: i parchi italiani, più antichi, sono compatti e senza zonizzazione (non prevista dalle leggi istitutive); quelli francesi sono esagerata¬ mente frastagliati e assumono una forma compatta solo con l'annesso pre-parco. L'assenza di zonizzazione e di leggi moderne nei parchi italiani è una delle cause, anche se non l'unica, delle tensioni endemiche fra le Amministrazioni e gli abitanti. Per contro, nei parchi francesi, tutti riconoscono che il preparco ò troppo orientato verso lo sviluppo, tanto da compromettere qua e là 11 parco stesso (per esempio le prossime Olimpiadi invernali, con annessi e connessi, si terranno in Val d'Isère, nel preparco della Vanolse). La soluzione ideale va cercata In uno sviluppo almeno localmente integrato con la conservazione, cioè uno sviluppo che non divori le risorse naturali. L'esperienza dimostra che questo tipo .di sviluppo non solo è possibile, ma è competitivo con quello tradizionale. Esso tuttavia non è ottenibile con iniziative spontanee locali né con qualche articolo di legge, bensì con decisioni politiche ad alto livello e con l'impiego di persone preparate e motivate. Certo non appare ispirata alla ricerca di questo difficile equilibrio (ma piuttosto all'esasperato autonomismo altoatesino) la richiesta della Provincia di Bolzano di amputare tutti i fondovalle dal parco nazionale dello Stelvio in Val Venosta. A parte la grossa riduzione di per sé negativa dell'area e l'Irrazionale deformazione del confine, che renderebbero meno efficace la protezio¬ ne e più gravosa la sorveglianza, l'amputazione dei fondovalle escluderebbe dal parco non solo gli habitat invernali di alcuni animali del parco, ma anche preziosi biotopi'Isolati e limitati, che insieme a quelli di media'e alta montagna costituiscono un ecosistema la cui diversità biologica (abbondanza di specie di fauna e di flora) è straordinariamente alta, fra le più alte d'Europa. Analogo, ma più piccolo, è il caso di una vallata valdostana nel Gran Paradiso. In realtà, non c'è un solo metro quadrato in Italia (e forse anche in Europa centrale) che non sia in qualche modo toccato dall'uomo; per cui il criterio della zona abitata, invocato in questi due casi, renderebbe impossibile nel nostro Paese l'istituzione di un parco. D'altra parte una considerazione s'impone. A differenza dai parchi nazionali stranieri, nelle amministrazioni dei parchi italiani i rappresentanti locali sono in maggioranza, ciò che molti ritengono in contrasto con l'interesse nazionale, anzi, internazionale, dei parchi e causa non ultima della loro cattiva gestione. Se la tendenza a escludere dai parchi i terreni antropizzati e gli abitati dovesse affermarsi, non sarebbe più sostenibile l'attuale prevalenza delle rappresentanze locali nelle amministrazioni e sarebbe inevitabile un rafforzamento in senso scientifico e conservazionistico della gestione di quel che resta. Francesco Framarin

Persone citate: Francesco Framarin