Questi sono i trucchi elettronici per una tv che eguagli il cinema

Questi sono i trucchi elettronici per una tv che eguagli il cinema Il problema più arduo: comprimere le informazioni in canali già sovraffollati Questi sono i trucchi elettronici per una tv che eguagli il cinema SONO essenzialmente tecniche di compressione numerica dei segnali quelle che stanno alla base dei nuovi sistemi televisivi ad alta definizione, si tratti del nipponico Nhk-Muse, ribattezzato oggi Hi-Vision, o dell'europeo Hd-mac, dell'inglese High Definition Mac, che viene presentato in questi giorni a Brighton. Algoritmi che rendono meno ingombrante l'enorme. quantità di informazione visiva necessaria a una qualità cinematografica delle immagini, così da passare attraverso i limitati spazi dei canali di trasmissione. Soluzioni puramente informatiche, dunque, rese possibili dai nuovi dispositivi microelettronici che trasformano le immagini televisive analogiche in tavole di numeri, trattabili in tempo reale con metodi vicini a quelli usati dalia computer grafica e dalla visione artificiale. Queste tecniche operano compromessi tra le esigenze della percezione visiva umana e i vincoli della tecnologia. Non è la prima volta nella- storta della televisione. Ecco perché per capire a fondo il loro funzionamento, la loro portata e la strada tuttora aperta verso la digitalizzazione, converrà cominciare dall'inizio. Dal momento in cui la telecamera in bianco e nero è entrata in funzione, con i fotoni che toccano ogni singolo elemento della superficie sensibile del tubo catodico, mandando un numero proporzionale di scariche elettriche. La superficie «carica» viene letta (o «esplorata») come una pagina scritta, da sinistra a destra e dall'alto in basso, da un fascio di elettroni che nasce dentro il tubo ed è chiamato pennello elettronico. n doppio effetto è quello di «scaricare» la superficie e creare una corrente elettrica la cui intensità varia in funzione della luminosità di ciascun elemento. Un segnale continuo, analogico, che riproduce linearmente la «forma» dell'immagine, la quale verrà ricostruita all'altro estremo del percorso. Il pennello analizza ogni secondo 25 immagini di 625 linee, ciascuna di 700 punti in Europa, Asia e Africa; 30 immagini di 525 linee di 530 punti negli Stati Uniti e in Giappone. Identico per entrambi il rapporto fra larghezza e altezza delle immagini pari a 4:3, lo stesso formato del cinema degli Anni 40. Leggendo soltanto 25-30 immagini al secondo, restava tuttavia allo spettatore un'impressione di sfarfallio. D'altra parte era impossìbile allora aumentare il numero delle linee per la limitata larghezza della «banda portante»: la frequenza radio che trasporta il segnale. Allora i tecnici inventarono l'esplorazione interallacciata: il movimento alterno del pennello che legge alternativamente una riga dispari e una pari fornendo in metà tempo mezza immagine (o trama) e subito dopo l'altra mezra. Un trucco tecnico che inganna gli occhi soddisfacendo l'economia. Ma quando arriva il colore le cose si complicano. Per ricostruire qualsiasi sfumatura dell'arcobaleno, aveva dimostrato Maxwell nel 1860, all'occhio umano basta addizionare in modi diversi tre colorì di base: rosso verde e blu. Alla ripresa televisiva serviranno dunque tre tubi catodici per avere tre segnali in quei tre colori. Ma anche la banda di frequenza dovrebbe triplicare. Ancora una volta per evitarlo si inventa un trucco che servirà anche a mantenere la compatibilità col bianco e nero. L'astuzia è quella dì trasformare i tre segnali video in altri, codificandoli. Il primo, la luminanza, rappresenta l'immagine in bianconero. I due altri, che sono la differenza fra la luminanza e il rosso da una parte e il blu dall'altra, rappresentano la crominanza, vale a dire il colore. Una decodifica inversa alla fine permetterà di ricostruire i tre segnali di partenza, n tutto viene combinato in un unico nuovo segnale composito, dove la crominanza riesce a occupare solo il 40 per cento dello spazio disponìbile, il resto essendo necessario alla luminanza. Lo scopo è raggiunto e chi non ha ancora il ricevitore a colori, riceverà solo i segnali del bianco e nero. Ma ci sono dei problemi residui. La codifica, che varia dal Secam al Pai all'Ntsc (i tre standard colore del mondo) pasticcia un po' le cose. Crea difetti che solo recentemente le moderne memorie di immagine e il sistema Mac sono riusciti a eliminare. Allo sfarfallio, che resta percettibile malgrado l'aumento di luminosità dei nuovi video, si aggiunge uno scintillio fra una linea e l'altra, dei falsi colori fra le linee e un rimescolìo dei dettagli, causato dalla non nettissima separazione dei due tipi di segnale. Nelle memorie d'immagine i segnali di luminanza e crominanza ritrovano il loro ordine dopo che riga per riga ogni elemento dell'immagine è stato memorizzato, trattato e quindi recuperato: il tutto praticamente in tempo reale, all'interno della telecamera prima e poi del televisore. Frutto dell'idea di un ingegnere della Telefunken a metà degli Anni Settanta, e perfezionato in Inghilterra dai tecnici dell'iba, il Mac fa un passo in più modificando la codifica nella trasmissione. Ai metodi precedenti, basati sulla modulazione di frequenza dei segnali, sostituisce una modulazione temporale che abolisce il fatale miscuglio dei segnali dì luminanza e crominanza. Col nuovo sistema ogni segnale occuperà tutto il posto disponibile in quel momento nella banda di frequenza ma solo «ogni tanto». E' una tecnica vicina a quella usata nella trasmissione digitale di dati. Ma qui i segnali sono ancora analogici. Mac vuol dire infatti Multiplexing Analog Components. La «numerizzazione» resta confinata al prima e al dopo la trasmissione. Digitali fino in fondo sono solo 1 suoni, trasmessi in più canali (due stereo con la versione «D2» che possono diventare quattro monoaudio o dati; quattro moltiplicabili a otto col «D»). Un ricevitore Mac intelligente (o un decodificatore da aggiungere a un normale televisore) è in grado di decidere di volta in volta quando usare la capacità stereofonica e quando un parlato bilingue. Come e più del colore, oggi l'alta definizione complica ancora una volta le cose ipotizzando un'immagine con un numero di linee e di punti molto superiore. Il sistema giapponese propone 1125 linee da 1496 punti l'una e una frequenza che resta di 60 trame il secondo, interallacciata. Quello europeo ha 1250 linee da 1400 punti e 50 trame non interallacciate: numeri non casuali, dal momento che 1250 è l'esatto doppio delle 625 linee dello standard europeo attuale con cui si vuole assicurare la compatibilità. Per entrambi il formato si allunga e passa a un rapporto larghezza-altezza 5:3. n problema di fondo è dunque comprimere i segnali dieci volte più numero¬ si di prima partendo però ormai dalla loro numerizzazione. Così anche il trucco escogitato per aggirare il problema questa volta è assai diverso, più astratto: basato sul fatto che in ogni sequenza visiva in movimento ogni singola immagine non è interamente diversa dall'altra. Dunque si può prendere a caso un campione di punti, ignorandone altri e calcolando poi l'intensità luminosa di quelli mancanti rifacendosi a quelli vicini. La probabilità matematica di azzeccarci è assai alta e quella che l'imperfetto occhio umano si accorga dell'eventuale errore è bassa. Su un'idea del genere si fonda il sistema nipponico Nhk-Muse (Nhk dal nome dell'emittente pubblica che lo ha studiato, Muse da Multiplexing Sub-nyquist sampling Encoding) capace di ridurre la larghezza di banda necessaria alla nuova immagine dai 30 Megahertz «teorici» ai 12 Megahertz stabiliti per la trasmissione via satellite a diffusione diretta, che resta l'obiettivo giapponese. . Una volta trasformate in numeri, le linee vengono «campionate» in modo da dimenticare un punto su due per ogni linea dell'immagine originaria. I punti rimasti vanno poi a formare quattro trame (semi-immagini) interallacciate che danno origine a due immagini intere successive. Nella ricezione i valori dei punti inizialmente omessi sono calcolati prendendo come media i quattro valori vicini, n risultato del Muse non è però altrettanto strabiliante del sistema da studio che fa a meno della trasmissione. Le immagini fisse sono ottime, ma dove il movimento è rapido il calcolo diventa meno preciso perché la ricostruzione avviene a partire da una sola trama. Ancora la decodifica nel ricevitore si è rivelata molto complessa e resta ancora della strada da compiere per eliminare i tre tubi catodici che rendono l'attuale televisore Hd pesantissimo. Al contrario, le immagini dell'alta definizione europea formano alla fine una sola trama non interallacciata. Il problema è stato poi trasformarle in immagini compatibili con la codifica Mac. L'inizio nel sistema Hd-Mac è simile al Muse. Anche qui si comincia col «numerizzare» le immagini e col «campionarie». L'immagine risultante, sempre di 1250 linee, è poi divisa in quattro trame interallacciate a due a due, ciascuna delle quali ha 625 linee. I punti campione di ogni coppia di trame vengono quindi interpolati — ed è questa la vera novità — così da fondere un tipo di linea con un altro. Risultato: due immagini a punti misti a 625 linee e due trame interallacciate, equivalenti a quelle dei nostri televisori che possono essere trasmesse secondo il sistema Mac. Nella ricezione, un televisore dotato di schermo ad alta definizione e di decodificatori Mac potrà, compiendo un'interpolazione inversa, ricostruire un'unica trama da 1250 linee e ricalcolare quindi i valori dei punti omessi in partenza, ritrovando la sequenza originale. Ma anche quest'ultimo stadio del sistema, così come nel caso giapponese, è ancora confinato nei laboratori. Maria Grazia Bruzzone 625 linee l'trama 2* trama rimescolamento del campioni 3" trama 4* trama rimescolamento dei campioni 625 linee 625 linee S " nceaone m un tele v son; attuale con decodlticatore 02 MAC riproduzione su un televisore HO da 1250 linee La tecnologia tv ad alta definizione compatibile con l'attuale

Persone citate: High Definition Mac, Maria Grazia Bruzzone

Luoghi citati: Africa, Asia, Europa, Giappone, Inghilterra, Stati Uniti