Elemire Zolla: oggi siamo orfani di ragione e religione

Elemire Zolla: oggi siamo orfani di ragione e religione Incontro con il vincitore del premio «Elba» Elemire Zolla: oggi siamo orfani di ragione e religione PORTOFERRAIO — «Di Torino non ricordo nulla che valga la pena...». A dirlo è Elemire Zolla, che ha vinto con il saggio «Archetipi» (Marsilio), il 16° Premio Isola d'Elba, davanti a Bohumil Hrabal con «Una solitudine troppo rumorosa» (Einaudi) e a Mario Sgalambro per «Trattato dell'empietà» (Adelphi). La consegna avverrà oggi durante la chiusura di un convegno dedicato allo scrittore elbano Raffaello Brignetti. Anglista, studioso di religioni, come dice Ceronetti, uno «della banda dei gnostici», Elemire Zolla, nato a Torino nel 1926, è una figura da tanti anni scomoda nel panorama culturale italiano: sempre in anticipo con i tempi, sempre controcorrente, in una posizione facilmente definibile «elitaria», •reazionaria», un irregolare. Negli Anni 50 amava Kafka, Emily Dickiìison, Joyce. Negli Anni 60 Simone Weil e la critica alla civiltà di massa, secondo gli insegnamenti della scuola di Francoforte, dopo aver scritto «Eclissi dell'intellettuale». Verso la fine degli Anni 60 si inabissa nei testi mistici dell'Occidente pagano e cristiano, raccoglie l'antologia «Mistici», pubblica «I letterati e lo sciamano», sulla presenza profonda degli indiani nella letteratura nordamericana. Oggi si occupa di metafìsica, alchimia, linguistica sacra, teologia; sulla rivista «Conoscenza religiosa», da lui fondata, cerca di individuare i grandi impalpabili archetipi che regolano la nostra vita. Seduto sulla terrazza dell'albergo, con il mare di Procchio, che contende con il cielo una fase di luna, i profumi intensi di pittosforo e mortella, Zolla distende un sorriso sornione, allusivo, sotto uno sguardo più melanconico, di lontananza. Riflette. Forse è stato un po'duro con Torino e con la sua giovinezza. Dice: «E' anche vero che oggi porto solo il cognome di ciò che ero trent'anni fa. E' anche vero che allora, quando studiavo, la città non mi pareva importante. Se studio, ancora oggi, non mi sembra importante la città che c'è intomo. Allora Citati lo vidi solo per un anno, andò via presto, alla Normale di Pisa. Quelli dell'Einaudi erano arroganti. Non vidi mai Cremona. Poche volte Galvano. Sì, i pittori avevano dei luoghi d'incontro. Ma non mi accorgevo che c'era "una folle lontananza" l'uno dall'altro. Non c'erano luoghi per vedersi. S'incontravano i pittori, ma per gli scrittori, che non esistevano, ciò era impossibile. E poi pensavo veramente che la vita fosse nei luoghi dove si studiava». — Lei per molto tempo ha studiato l'illuminismo, -lo splendore della ragione», poi ne ha fatto l'autocritica... «Il razionale è ciò che non risponde a finalità proprie. La vita moderna è irrazionale, non vuol turbare la vita dell'uomo ma la turba, la trasforma in tortura. Grazie a Solmi ho scoperto Adomo, era allora un personaggio sconosciuto...». — La sua particolare critica all'illuminismo, alla razionalità, il suo interesse al mito e alla cultura antropologica e religiosa l'ha costretta ad emarginarsi dall'ideologia culturale dominante in questi anni. Oggi non è più così? «Dal '70 ad oggi non sembra più di vivere nello stesso Paese. Il gioco è cambiato. E da sei anni in modo visibile. Difficile dire per opera di chi o di che. Ma da sei anni lo è per tutti. E tutto è cambiato senza bisogno di guerra o rivoluzione. E' la dimostrazione di quanto siano inutili». — Un desiderio di religiosità sta cam¬ biando il nostro panorama? «Non lo so. Prima costava a crederci, oggi non più». — Non sente, intorno il desiderio di mistero? «I miei studi sulla religione tendono a diminuire il mistero». — Oggi anche i laici dicono che si può combattere la violenza con la religione. Cosa ne pensa? «L'ha scritto Gallino su La Stampa. Ma deve fare attenzione. Sociologicamente si può parlare di religione, ma, poi, ognuno ha la sua religiosità. Ricordo che in America, negli Anni 70, dopo l'avanguardia, le droghe, ci fu la ricerca del mondo religioso indiano. Questo tipo di "esplosione" non mi ha mai interessato». — E quella di Comunione e Liberazione, qui da noi? -La letteratura che offre è ancora scarsa. Del Noce ne parla con entusiasmo. Beato lui...». — Nel suo saggio «Archetipi- lei dice che «oggi non si è più in grado di formulare i fini della vita-. «E* vero. La stessa religione non si pone il principio dell'essere. Come può allora dare "i fini della vita"? Nessuno oggi è in grado di dire "perché fa e che cosa fa". Il '68 ha fatto la rivoluzione per ridere, per pretesto, adoperando parole da capocomico di varietà. Per fortuna non è successo gran che, ci siamo salvati dall'orrore. E il terribile era che nessuno sembrava in grado di valutare i discorsi che circolavano. Oggi abbiamo un po' di danni e poco stupore-. — Ha fallito la ragione, ha fallito la religione. Anche la filosofìa? «Certo una volta, i primi insegnamenti si informavano dei fini di un'esistenza. Oggi no. La filosofia occupa cattedre, ma in quelle ore palla di tutt'altro. E come si fa a giudicare il mondo se non si hanno modelli?». — Può farlo quello che lei chiama «l'occhio del cuore-? «No. Non si può inventare la "teorica dei fini". Non è il suo mestiere. E' compito della filosofia. Una volta esisteva quella spic¬ ciola che ti guidava nella vita di tutti i giorni. Poi c'era la filosofia e i filosofi che pensavano a principi profondi. Oggi la filosofia si vieta di farlo». — La religione sta per riprendere il terreno della filosofia? «E' un tentativo. Solo così si spiega la facilità dei venditori di fede. Ma in America il fenomeno è in calo, con la presidenza Reagan, le sette sono in diminuzione dopo le sue inchieste legislative». — La sua idiosincrasia per l'industria culturale continua? «Nessuno ci obbliga a vedere la tv, a sentire la radio, ad essere informati E' qualcosa di delimitato, che si può ignorare. Bisogna sapere cosa si vuole, altrimenti si è "marionette"». — La riporto a Torino: presto si farà un convegno, molto serio, pare, sul diavolo. Cosa ne pensa? «Per Torino sembra obbligatorio parlare del diavolo. L'ho fatto anch'io, nel '70, per i Venerdì culturali deH'Aci. Oggi non lo farei più. Lampedusa ha scritto un racconto bellissimo sul diavolo, ambientato in un caffè di via Po. Cosa ci sarà mai da dire di più?». Sorride: ironia e melanconia di un'intelligenza che deve provocare se stesso per inoltrarsi, come un moderno Teseo, nei labirinti delle nostre vitali contraddizioni culturali. Nico Orango