Com'era scapigliato il serio D'Azeglio di Giovanni Tesio

Com'era scapigliato il serio D'Azeglio Amore e arte nel primo volume dell'epistolario Com'era scapigliato il serio D'Azeglio LIBRI, spartiti, la tavolozza, il violoncello. Una caricatura del «Fischietto» rappresenta Massimo d'Azeglio che sale le scale del ministero carico come un ciuco. La didascalia è abbastanza mite: «Con la conoscenza dì tanti mestieri, se non sarà Massimo in tutto, qualche cosafaràlll...». Come dubitarne? Pittore, scrittore, pubblicista, uomo politico, cavaliere e galantuomo, è uno dei personaggi più significativi del nostro Risorgimento, il detto che, fatta l'Italia, bisogna fare gli italiani è il più noto del secolo. Il suo temperamento artistico porta nel mondo non proprio balsamico della burocrazia di corte una ventata di freschezza e anche un pizzico di follia trasgressiva. Ma, come scrive il De Sanctis, il fondo è solido e dietro la piacevolezza e la stravaganza ci sono sempre in agguato la serietà e la moderazione. Ne fa fede il primo volume dell'Epistolario (18191866) che Georges Virlogeux sta pubblicando presso il Centro Studi Piemontesi. Quattromila lettere per dieci volumi, con la cadenza di un volume all'anno. Il primo comprende 340 lettere per 533 pagine. Va dal 1819 al 1840. Non è forse il periodo più importante dal punto di vista storico, lontano com'è dagli Ultimi casi di Romagna o dalla presidenza ministeriale e dal proclama di Moncalieri. Ma i fatti non sono né pochi né di poco conto. Prima data, il 28 di un mese imprecisato, anno 1819. Destinatario Michelangelo Pacetti, pittore romano, paesista e compagno di vita artistica. Ultima data il 30 dicembre .'1840. Destinataria Luisa Blondel, la seconda moglie. Ci sono dentro l'esperienza romana tra apprendistato pittorico e amorose scapigliature, il matrimo¬ nio con la figlia di Alessandro Manzoni, Giulietta, la pubblicazione dell'Ettore Fieramosca, il dissenso con il fratello Roberto e l'inattesa conciliazione, il secondo matrimonio, l'esposizione parigina del 1835. Nelle lettere al Pacetti, più che la vita festosa della brigata romana alla scuola del fiammingo Martino Verstappen c'è già il ricordo di un tempo passato a filo di memoria e di vaga nostalgia: quello che nei Bozzetti della vita italiana (1856) prenderà 1 toni smaglianti di una stampa policroma. Tra le tante cacce, 'd'alberi, di rocche e di montagne: s'intrufolano vocazioni di facile linguaggio maccheronico: il «dulce foramen» o più chiaramente la tentazione «ficarum». Nemmeno vi manca la casistica venerea del praticante di amori mercenari. Ma si direbbe condotta con temperanza e con disinvoltura un po' blasé. Nella pania romana l'Azeglio è invischiato fino al collo, come racconterà nei Ricordi, ma anche nell'«arcinojosa» Torino non manca di 'sgattajolare per le camere mal illuminate, in braccio di Nice». E tuttavia, dopo il matrimonio, l'Epistolario non registra che attestati di fedeltà. Al solito Pacetti confida: 'Puoi pensare se son contento d'aver chiuse le vele e gettato l'ancora in un porto che non è il peggior del mondo né il più spiacevole». Purtroppo il primo matrimonio, da cui nasce una figlia, Rina, si chiude con la morte precoce della moglie e con strascico di malumori, specialmente da parte della terribile nonna Beccaria. E nemmeno il secondo matrimonio è da catalogare tra i felici poiché i coniugi vivono ben presto separati con reciproco bon ton. Due anni dopo il secondo matrimonio, già cor¬ rono nelle lettere richieste di tregua e di tranquillità. Ma per ora il ritratto dell'amata, Luisa Maumary, vedova di Enrico Blondel, fratello della prima moglie del Manzoni, è a tutto tondo: 'Ha trentun anno, statura ordinaria, svelta, capelli e occhi neri, un po' brunetta, denti bellissimi, ed unafisionomia di molta finezza nei contorni: non fo per dire ma è una delle più belle teste che conosco: e per il carattere fra lo spagnuola e l'italiano». Una miscela piuttosto esplosiva. Giuseppe Giusti, che verrà chiacchierato nel bel mondo come il terzo incomodo, scrive di Luisa al Manzoni: «Ha l'indole dei fiammiferi». L'Azeglio nelle lettere del primo periodo la chiama con gli appellativi più teneri, -ange-, «amour», «Nino mio». Le scrive in francese e teme qualche volta di cadere nel «larmoyant». Siccome lei è protestante, per fare il matrimonio ci vuole la dispensa pontificia e il promesso sposo si dà un gran da fare. L'i 1 maggio 1835 D'Azeglio scrive allo zio, il cardinale Giuseppe Morozzo, vescovo di Novara. Racconta la risoluzione presa quattro anni prima per tenere «una condotta migliore della passata», insinua che per gran tempo ha dovuto vivere come non avesse moglie, fa presenti le necessità economiche della figlia e infine scocca di traverso: «E come farò per mantenere le mie povere risoluzioni di vivere cristianamente?». Mira però al bersaglio grosso con un tocco un po' da padre provinciale un po' da conte zio: 'Rimarrei dunque solo, esposto a pericoli dai quali, pensi V. E. se posso aver la forza di salvarmi lungamente: Diplomazia o ricatto? □ matrimonio si celebra a Klagenfurt nell'agosto, quando ormai la pazienza sta venendo meno e comincia ad essere prepotente la voglia di mandare a quel paese 'vescovi abati e cardinali». Il primo volume àcWEpistolario mette in mostra una personalità dal volto chiaro. Consente di cogliere l'animo del protagonista un po' dietro il nitido moralismo dei Ricordi. Ma gli studiosi potranno aggiustare prospettive su un itinerario più vario che contraddittorio. L'Azeglio non scrive lettere con la prudenza del postumo, ma colpi sensazionali non dovrebbero essercene. La moderazione è incarnata in lui come il sangue nelle vene. Anche la parolaccia pare detta con buon gusto. Salvo qualche episodio minore, è difficile coglierlo in difetto.' E quando capita diventa persino facile il perdono. Forse il De Sanctis aveva ragione. La serietà prevale in lui, anche quando fa le battute. Giovanni Tesio Massimo d'Azeglio

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