Il «caso Rebora»: l'altra poesia del Novecento

Il «caso Rebora»: l'altra poesia del Novecento Una raccolta completa delle liriche Il «caso Rebora»: l'altra poesia del Novecento ACCADE, ogni tanto, che le quiete acque stagnanti detta storiografia ufficiale vengano attraversate e scosse da un 'caso: Fenomeno benefico e naturale, come lo stagionale cambio della biancheria, una estremistica banalizzazione di vichiani ricorsi e che risponde atte modificazioni epocali della cultura. Questa la'considerazione generale. Nel particolare: che ci sia un «caso» Rebora, come ieri c'è stato un «caso» Lucini o un «caso» Gozzano, mi sembra evidente e non eludibile, con le polemiche che si è portato appresso, con schieramenti e prese di partito appassionate quando non anche passionali e oltranziste. Segno, se non altro, di una qualche vitalità. n «caso* incominciò con le celebrazioni (?) del centenario, nell'SS (in buona compagnia, con Palazzeschi, che era stato pure un «caso», pochi anni prima, nel revival neoavanguardistico, e con Campana), ed ora tro-. va nuova felice e propizia esca con la pubblicazione di un volume, Le poesie (Garzanti, pp. 556, L. 50.000), ov'è raccolta, per quanto è concesso e al meglio criticamente, tutta l'opera poetica di Rebora. A curare il libro egregio sono stati Gianni Mussini e Vanni ScheiuHUer, il quale ultimo ha funzionato da vestale reboriana per anni, specie nei momenti di più colposa disattenzione da parte dell'apparato storico-ufficiale-editoriale. In cosa consiste il «caso»? Nell'acquisizione di una realtà nuova e «altra», che modifica gli schemi genealogici o gerarchici e che costringe a considerare non pacifiche le acquisizioni canoniche e canonizzate. Nella fattispecie, come era accaduto con Lucini Gozzano Palazzeschi per opera di Sanguìneti, nell'indicazione di una possibile e legittima lettura alternativa, se non oppositiva, della nostra poesia novecentesca, divergente da quella ufficiale e ufficializzata, Ungaretti-Montale-ermetici. Per Gozzano e Palazzeschi, per esempio, per la loro parodicità del sublime dannunziano, comica e .prosaica, per l'antipoesia cioè e per la conseguente collocazione dì valore, la proposta era, a posteriori, evidente. I modelli erano «altri». Non solo, ma sembrava che una cultura sì facesse harakiri come unica possibile soluzione, di fronte al suo scarto con la storia, ma lo facesse stando alTinternodiuna struttura, essendone i rappresentanti incaricati. Donde un buono spazio di ambiguità nel complesso e sul complesso dell'operazione. Forse per queste ragioni, per quanto c'è nell'Allegria, Ungaretti è stato risparmiato dalla polemica, per quella fase iniziale almeno. D'altra parte si sa che la linea vincente in Italia (e non solo) fu quella ordinata e restaurativa della Ronda, con tutti ì significati, ma soprattutto i significanti, ideologi- ci-politicl, che la governarono (il fenomeno, comunque, è ampio, basti pensare all'evoluzione neoclassicistica di uno Stravinskij, per fare solo un nome). I primi vent'anni del secolo, con al centro la prima Voce, ebbero certo ben altra inquietudine, e altre parentele, preparavano la fine di un mondo e lo facevano intervenendo sulla loro materia e i loro materiali, con la rottura degli schemi formali sì, ma pure con un impegno politico nuovo, ancorché tumultuoso e confuso, con esiti sconcertanti giudicandoli oggi. Poeticamente e sempliftcativamente, si passa da Rimbaud a Valéry, come giro parentale, da Jerry a Perce. E'però vero che i poeti di quei dintorni, nell'85, non ebbero figli, mantennero una posizione di rispetto ma ininfluente (un offside non punìbile) rispetto alla linea dominante che portava all'ermetismo e alla sua egemonia ideologico-formale. Finché non sono venuti fuori i «casi». Ecco, la comprensione del «caso» Rebora pretende questo concentratissimo antefatto, anzi sta in questo antefatto, che lo riguarda innanzitutto per appartenenza. Appartenenza a quella cultura che pativa in modi anche contradditori la drammaticità della sua crisi, con tutte le sue componenti, nel passaggio da una ad altra civiltà, con modificazioni di valori referenziali e di centri di potere, con una conflittualità sociale dagli esiti nuovi, con una guerra mondiale messa lì a significativo coronamento; tutte condizioni che, bene o male, finiscono col riflettersi-sulla cultura letteraria di quegli anni, consapevolmente. Ai quali anni appartiene Rebora, appunto, che è già un poeta della civiltà industriale. Un poeta, però, che a differenza di Gozzano o Palazzeschi o Gavoni non ripudia il décor poetico, non lo irride ma lo soffre: la sua lingua non è quella della prosa, nessuna negligenza ma «dignità», sebbene di tipo affatto particolare, che lascia allo scoperto tutta l'incontenibile nervosità che lo sostanzia. Dal punto di vistaformale, dico (che del¬ l'altro è l'ovvia speculare conseguenza), dove non si esce mai in un canto spiegato né in una piana dizione, ma dove il ritmo (è, in più, una delle parole chiave di Rebora) accentua durezze e asprezze. Con tutta l'approssimazione e la peregrinità, rischiose di queste proposizioni, si direbbe che qui ilritmo siail correlativo del discorso filosofico contestuale. Siamo, credo, atte ragioni del «caso» d'oggi. Il décor, d'accordo, però segno di una tensione morale. E'proprio quella tensione morale, che connota la poesia di Rebora, soprattutto, mi si lasci dire, dei Frammenti lirici e dei Canti anonimi (oltre che di certe Poesie sparse), prima della conversione religiosa cioè, e la vestizione dell'abito sacerdotale, in una condizione più difficile e meno pacificata—è quella tensione morale che va a coprire, o può andare a coprire, singolarmente, oggi, un vuoto o una insoddisfazione a petto di altri esiti più fortunati o facili o corrivi, delle linee egemoni e ufficiali. E in questa situazione storica, in un momento di crisi forse non molto dissimile da quello d'inizio secolo. In questo senso la riproposta di Rebora si colloca coerentemente accanto a quelle di Palazzeschi o dell'avanguardia protofuturista. Certo, vale pure, e come, la vicenda poetica particolare e privata, di Rebora, nel suo complesso (e nella sua complessità), con le sue offerte di riscontro esistenziale. Non la sua consolatorietà ma la sua solidarietà. Fin dall'attacco, dal primo dei Frammenti, per nulla elusivo, diagnostico semmai, con quel suo «esser preso dentro» la realtà contraddittoria: -L'ugual vita diversa urge intorno; / Cerco e non trovo e m'avvio / Nell'incessante suo moto: / A secondarlo par uso o ventura, / Ma dentro fa paura (...) I Qui nasce qui muore il mio canto: / E parrà forse vano / Accordo solitario; / Ma tu che ascolti, recalo / Al tuo bene e al tuo male: / E non ti sarà oscuro». Che è un modo d'intonare definitivo. ■ Così la mazziniana «fraternità»; così la funzione dialettica che assume la natura nella storicità industriale; così, in capo a ogni altra disgressione, il trauma della guerra (generazionale, e perciò varrebbe la pena di aprire un capitolo per saggiare la diversa reazione di Jahier, Ungaretti, Soffici, Saba, di fronte all'evento e alle suelloro responsabilità di uomini); così, infine, la terapeutica e risolutiva conversione (senza radicali modificazioni di registro, però). Quello, comunque, è il filo che le lega e che oggi si ripropone a modello, a prescindere dalla soluzione contingente: l'irrequietezza, la tensione morale, senza alibi, senza fughe evasive. Quello stile, cioè. _, . _ Folco Portinan Clemente Rebora nacque a Milano nel 1885 e morì a Stresa nel 1957. Considerato il più grande poeta cattolico del '900, Rebora conobbe gli orrori della guerra dal '15, una lunga e tormentata crisi religiosa che lo riavvicinò alla fede nel '29 e lo portò nel '31 a farsi novizio presso l'Istituto della Carità a Domodossola e più tardi al sacerdozio fra i rosmlniani. Collaborò ad alcune fra le riviste più prestigiose del tempo, da «La voce» alla «Riviera ligure», a «Diana». La poesia di Rebora, da «Frammenti lirici» a «Canti anonimi» alle ultime composizioni mistiche si avvale di autobiografismo sofferto, desiderio di annullamento e serenità della fede. L'edizione delle poesie che presenta oggi Garzanti è la più completa, per raccolta di versi, note, apparato bibliografico, tenuto conto della impossibilità di rintracciare i materiali dei primi scrìtti di Rebora andati distrutti con il suo archivio. Clemente Rebora

Luoghi citati: Campana, Domodossola, Gozzano, Italia, Milano, Stresa