«Sport e politica»

«Sport e politica» «Sport e politica» (Segue dalla l'pagina) voro, dopo di esso e con esso 11 linguaggio». Ma dopo Ortega («L'origine sportiva dello Stato», 1924) Huizinga sguaina lo slogan delr«Homo ludens» (1938): «n gioco è più antico della cultura». Una conseguenza di questa contrapposizione è l'atteggiamento verso il corpo. Il leader fascista è in pratica «un atleta sessuale o equestre». Ancora nel novembre del '68 il capo nero dell'Uganda Amìn Dada, ex campione dipesi massimi, sfida il presidente della Tanzania, Nyerere, a un incontro di boxe per risolvere una disputa di confine. Sull'altro versante, quello marxista, si bandisce ogni iattanza corporea. La nuotata di Mao fu più che altro un exploit pedagogico e la prestanza di Castro è ben circoscritta. Sono agli antipodi anche le psicologie politiche. Il fascista sente rifluire in sé un «arcaico istinto predatorio». Nietzsche richiama la necessità di mascolinizzare l'Europa. La durezza è il nucleo del pensiero delle SS. Marinetti accusa il comunismo di volere «la vita senza sorprese, la terra liscia come una palla di biliardo». Ma per un marxista, come dice Henry Lefebvre, «solo la ragione è virile». E tuttavia, nota l'autore, la sinistra è •donchisciottesca», perché ignora o sottovaluta la forza dell'irrazionale. Per decenni il dibattito fu maestoso. Il povero Pierre de Coubertin, il restauratore del fuoco di Olimpia, vide nello sport il rimedio contro 'la nevrosi universale» e contro i -due vampiri della società contemporanea», la fretta e la folla. Da buon ingegnere sociale, considerò che lo sport potesse indurre 'Calma collettiva». Nient'affatto, gli replicò Arnold Toynbee («Le civiltà della storia», 1939): lo sport non riesce a compensare il disagio della civiltà. E per Musil come per Benn è pericoloso il 'vuoto culturale» che segue gli incontri sportivi. Heidegger arriva ad associare lo sport allo 'sprofondamento nell'idiozia». Mentre Eliot e Valéry si compiacciono dell'ideale di autodisciplina, E finalmente, ecco le ideologie realizzate e le loro difficoltà. Nel nazifascismo, come conciliare volontà e narcisismo individuali con le esigenze del gioco di squadra? Con la subordinazione al capo. E in Urss è il 1936 l'anno della svolta: la competizione, prima disapprovata, diventa -mezzo di socializzazione politica», e la fraternità viene svalutata a favore del culto della gerarchia. Stessa svolta nella Cina comunista. In un primo tempo «l'etica sportiva era basata sullo sradicamento dei sentimenti ostili o aggressivi verso l'avversario».fu allora che i volti degli atleti cinesi sconfitti «apparivano illuminati da sorrisi di squisito divertimento». Ma dopo la morte di Mao, nel '76, trionfa la competizione. Nella Germania Est il comunismo ottiene i risultati più clamorosi, grazie a una miscela di ideologia, tecnologia, medicina. Un'ultima fiammata di contestazione dello sport si ha con la Scuola di Francoforte e con alcuni critici neomarxisti. Dicono: il corpo sportivo è stravolto in una morsa di libido alienata, anche lo sport è subordinato al bieco principio di prestazione. E Roland Barthes salva solo l'epicità del Tour de France. Conclusione: in «Politica e sport» prevale nettamente la ricerca filosofico-letteraria. Restano in ombra sia le decisioni concrete prese dai governi, le strutture che spesso proseguiranno anche dopo la caduta dei regimi, sia le idee e le realizzazioni delle forze liberali. Per esempio non affiora Thomas Arnold, che varò le 'public schools» in Gran Bretagna e introdusse nette scuole l'attività sportiva. L'autore . è affascinato quasi esclusivamente dal gioco dei rossi: e dei neri. c. a.

Luoghi citati: Cina, Europa, Francoforte, Germania Est, Gran Bretagna, Tanzania, Urss