La «città del diano» conquistata da un minatore-playboy di Ernesto Gagliano

La «città del diano» conquistata da un minatore-playboy Parlano gli autori dei memoriali finalisti al premio Pieve S. Stefano La «città del diano» conquistata da un minatore-playboy PIEVE S. STEFANO — Dovrebbe essere un premio alla testimonianza, al documento intimo, magari alla letteratura involontaria. A quelle carte condannate spesso a ingiallire sepólte nei cassetti di famiglia. Un premio all'Italia sommersa, alla gente senza ribalta. Ma è ancora solo questo? Alla quarta edizione il Premio Pieve S. Stefano-Banca Toscana (riservato a diari, memorie, epistolari inediti) ha acquistato importanza e adesioni. E' un rito che si celebra ogni anno 1*8 settembre durante la festa del paese con palcoscenico e telecamere, è un archivio della memoria e infine un trampolino per manoscritti in cerca di editore. Ha due anime: una spontanea, l'altra un po' esibizionista. Non c'è il rischio che diari e memorie siano compilati apposta per concorrere? Saverio Tutino, ideatore di questa raccolta di «Frammenti di vita», strenuo difensore della banca dei ricordi, scuote il capo: «Se arrivano opere confezionate apposta, ce ne accorgiamo. E le escludiamo. Il premio serve ad attirare carteggi*. Ci indica l'elenco degli scritti (quest'anno ne sono arrivati altri 160) che vanno dall'autobiografia di una moglie bambina agli sfoghi di un impiegato della Sip. Una commissione popolare di lettura ha scelto 10 finalisti, una giuria di esperti si è tormentata fino all'ultimo, incerta se premiare il diario di un giovane, Stefano Procopio, irto di interrogativi esistenziali, oppure il resoconto spigliato di un Casanova di provincia. Ha vinto lui, l'ex playboy Raul Rossetti, 59 anni, autore di un'autobiografia dal titolo 'Schiena di vetro». E' un vicentino che descrive con nitidi ritratti le sue conquiste amorose, ma soprattutto racconta la pena di lavorare in una miniera di carbone in Belgio, l'incontro con i topi, la solitudine che ingigantisce le sensazioni. Confessione con i colori del romanzo? Natalia Ginzburg, membro della giuria, non ha dubbi: «Mi sembra una scelta felice, questo premio è molto serio. E' il libro di una persona che sa raccontare, dotata di poesìo>. Avete scoperto un narratore? 'Abbiamo trovato qualcosa che unisce il documento intimo e la verità poetica: Una scelta letteraria? 'Una ricerca di realtà. La realtà poetica è la vera realtà. Io poi ho una lettura sola: per me una cosa conta se mi sembra veritiera. Anche nel romanzo...: E lui, il vincitore, che cosa pensa? Raul Rossetti sta seduto nella hall dell'albergo, sospeso tra stupore e soddisfazione. Ora fa il magazziniere a Trivero nella fabbrica di Ermenegildo Zegna, ha i capelli imbiancati, rifiuta l'etichetta di playboy. Dice: «Ho scritto quelle memorie di getto nel 1956, non mi sembrava giusto che tante cose vissute andassero perse. Adesso non so se la vita nelle miniere sia così, allora andavi sotto e non sapevi se venivi fuori. Ogni giorno era una resurrezione». Lei era amico di Goffredo Parise. Le ha dato qualche suggerimento? 'Mi diceva: Raul metti giù quel che hai vìssuto. Io ero già dentro nei primi libri di Parise. Nel "Ragazzo morto e le comete" figurava anche il mio nome, Raul, il personaggio che gestisce l'imbarcadero. Allora a Vicenza insegnavo a nuotare e remare sul fiume Retrone: Ma perché il suo manoscritto non è stato pubblicato prima? 'Non lo so. Lo aveva letto anche Pasolini e poi Longanesi mi ha fatto un contratto, ma il mio libro, che un giornalista doveva mettere a posto, non è mai uscito...: E' tutto vero ciò che ha scritto? 'Quasi tutto. Però ho inventato la morte di un mio amico perché mi contendeva una ragazza che non era fatta per lui: Non si esalta, dice con prudenza che 'essere scrittori è una cosa seria». Le sue pagine preferite? 'Senz'altro l'angoscia che ti soffocava quando scendevi giù. E l'incontro con i topi. Gli parlavo, li avevo battezzati, a volte mi salvavano la pelle. Li vedevo riunirsi sui binari delle gallerie, ragionare, poi magari fuggire. E io dietro...: Un documento inquietante, tra le opere finaliste, è il racconto di Margherita Cadoni dal titolo «La raccoglitrice di cartoni». Scritto con l'aiuto di assistenti sociali, è lo specchio di una vita tragica. La Cadoni descrive la sua esistenza a Oristano, immersa in una miseria totale, la rissa con una vicina di casa che finisce in un delitto, poi 18 anni di carcere e manicomio giudizia¬ rio: a Pozzuoli le tocca perfino di fare la «domestica» alla Cianciulli, la famigerata saponificatrice. Sono pagine intrise di dolore e violenza, interni con particolari atroci. La protagonista adesso ha 62 anni, abita a Roma e si è rifatta una vita: quel racconto, dice, è una liberazione dal passato e una denuncia. Un memoriale in stile naif, «Storia di un vaccaro», l'ha scritto Serafino Maggi, di Carmagnola. E" l'affresco di una vita che comprende un'infanzia come guardiano di mandrie, una parentesi in Africa, l'approdo alla grande fabbrica torinese. Maggi, 73 anni, gli occhi ridenti, ha voluto afferrare la sua avventura che ritiene irripetibile. Confida: 'Sono andato in pensione, pensavo ai tempi passati, mi sono messo a scrive¬ re per lasciare una testimonianza». E' soddisfatto? «Con la seconda elementare sono arrivato più in alto che potevo». Si sente scrittore? «No, mi sento un operaio detta Fiat». Le memorie sembrano prevalere sui diari. C'è chi ama, a un certo punto del suo itinerario, tracciare un bilancio, ricavare una lezione. O sempllcAnè'nte ricordare prima che il tempo ingoi tutto. Antonio Ruju, sardo trapiantato a Torino dove fa l'agente di Borsa, ripercorre le sue stagioni in 'Vita di un anarchico sardo». Spiccano l'infanzia povera a Sassari, la guerra partigiana in Piemonte, la difesa dei deboli e l'idea anarchica. Ruju ha fatto sobbalzare qualche giurato perché riferisce una tesi sulla morte dell'anarchico Pinelli che ora la cronaca riporta d'attualità. Dice che il commissario Calabresi 'fu causa involontaria della morte di Pinetti», fornisce qualche dettaglio, afferma di averlo saputo da una persona «che si trovava in quella stanza del quarto piano della questura di Milano». Non fa nomi, non aggiunge altri elementi. Le perplessità sono arrivate fino al sindaco di Pieve S. Stefano, Albano Bragagni, che spinto da impeto civico ha portato quelle pagine ai carabinieri. Non si sa mai, un memoriale può anche svelare uno scheletro in un armadio. E gli epistolari? C'è una serie di lettere, fitte di osservazioni intelligenti, inviate da Anna Guala de Sandre dall'America. Altre dolenti missive le ha scritte un pittore, Giuseppe Forcignanò, dal carcere di Parigi alla sorella. Siamo all'inizio del secolo. Lui racconta perché ha ucciso la moglie in un attacco di gelosia 'sotto l'influsso di malfondati sospetti». Ma si consola perché si accorge di essersi sbagliato e 'almeno porterò con me il ricordo della sua innocenza». Questi sono drammi veri, pagine non scritte per l'editore, voci di gente perduta e sommersa che finalmente qualcuno raccoglie. Sono le «tracce di vita» che giustificano un cartello appeso all'ingresso di Pieve S. Stefano. E piccolo paese di tremila abitanti, ai piedi dell'Appennino Toscano, attraversato da un Tevere neonato e gracile, osa fregiarsi di un titolo altisonante: «Città del diario». Ernesto Gagliano Illustrazione di YVill Barnet