Che intellettuali nei secoli bui

Che intellettuali nei secoli bui I LETTERATI TRA LA FINE DELL'IMPERO ROMANO E CARLO MAGNO Che intellettuali nei secoli bui Tre secoli della nostra storia è quasi come se non esistessero. Tra la fine senza rumore dell'Impero Romano in Occidente (476) e l'affermazione dei Franchi di Carlo Magno che conquistano l'Italia ponendo fine al regno dei longobardi (773) si stende un gran vuoto: un mare incognito nel quale galleggiano nomi, di regine e re e principi, come Brunilde e Ermengarda, Artù e Adelchi, grazie a cicli leggendari (i Nibelunghi, i cavalieri della Tavola Rotonda) o alla tragedia del Manzoni. Della storia dell'Europa occidentale in quei secoli e della sua letteratura quasi nulla si è salvato nella nostra «memoria collettiva». I Merovingi e i loro maestri di palazzo, il papa Gregorio Magno, la regina longobarda Teodolinda non ci dicono nulla. Spicca invece la figura di San Benedetto, con i suoi monaci che percorsero infaticabili in lungo e in largo l'Europa I ministri che in Italia furono accanto al re ostrogoto Teodorico: Boezio e la sua Consolazione della filosofìa, Cassiodoro e il suo monastero di Vivarium in Calabria, li sentiamo come le ultime voci del mondo romano piuttosto che come le voci nuove di un mondo nuovo che preludeva alla difficile gestazione dell'Europa medievale. Tanta noncuranza per quei trecent'anni in cui l'Europa ormai cristiana corse il rischio di cadere sotto l'Islam — i califfi s'insediarono in Spagna, a Toledo, all'inizio del secolo VETI: solo Carlo Martello riuscì a bloccarli in Francia — trova una prima spiegazione nel fatto che la letteratura di quei secoli non fu ritenuta meritevole di studio perché scritta in un latino imbarbarito, che si andava sempre più disgregando (le lingue romanze non erano ancora nate): perciò nel ricupero dell'antichità operato dall'Umanesimo e dal Rinascimento platonico e ciceroniano gli scrittori di quei secoli non apparvero meritevoli di ascolto. Nell'età moderna intervennero poi anche motivi ideologici ad allontanare la nostra cultura da quei tempi «oscuri»: in un'Europa sempre più laicizzata e proiettata orgogliosamente verso un futuro illuministicamente inteso come sede di un progresso inarrestabile della ragione, si preferiva rimuovere quei secoli (e i successivi) durante i quali la realtà predominante era stata quella della Chiesa. I segni di quest'orientamenteo culturale sono tuttora ben avvertìbili nei programmi di studio dei licei, nei quali la produzione letteraria dei tempi che seguirono alla fine della letteratura latina pagana e cristiana antica non ha spazio. La situazione da qualche decennio sta rapidamente cambiando. L'attuale vivace risveglio dell'Islam e la sua nuova spinta espansionistica, la presenza sempre più evidente d'immigrati di altri Continenti in Italia e gli sporadici episodi di razzismo intollerante che si verificano qua e là nel nostro Paese, una certa analogia di situazioni tra l'Europa d'oggi, che avverte chiari i segni del suo declino demografico, con l'Europa spopolata di quei secoli che la videro percorsa dai barbari provenienti da Nord e da Est e invasa e minacciata dagli Arabi dal Sud, ci aiutano a capire meglio anche quella lontana età. Sta riacquistando un senso indagare «la difficile realtà dell'intellettuale latino di allora che cerca di trovarsi un molo in una società che avverte contraddittoriamente solcata da aspetti di conservazione, forse non stimolanti ma certo consolatori, ed innovazioni di fronte alle quali non sa come collocarsi, se in un rigido aprioristico rifiuto oppure su una linea di accettazione e addirittura di esaltazione», come scrive Giovanni Polare nella sua Letteratura latina tardoantica e oliomedievale (ed. Jouvence, Roma): si tratta di una guida informata e agile, che ricostruisce con dottrina sicura e in maniera molto leggibile le vicende letterarie sullo sfondo della storia di quéi trecen¬ t'anni. Gli Ostrogoti in Italia, i Franchi in Francia, i Visigoti in Spagna, i Vandali in Africa: il rapporto dei -Romani» con i barbari, l'azione unificatrice e accentratrice della Chiesa romana, l'urto degli Arabi che cancellano i resti della presenza romana e cristiana nell'Africa e costringono al silenzio la cultura latina di Spagna sono alcuni tratti salienti della gestazione di un mondo che riprenderà un nuovo cammino con l'unificazione dell'Europa già romana nel rinato impero di Carlo Magno. Singolare è la funzione svolta dall'Irlanda e dalla Britannia in quei secoli Proprio dall'Irlanda, che non aveva conosciuto la conquista dei Romani, e dalla Britannia, definitivamente abbandonata dai Romani già all'inizio del secolo V, prese avvio e sviluppo un movimento culturale e religioso che con la riacquisizione dotta del latino, e addirittura, in Inghilterra, con lo studio del greco, rappresentò un punto di forza nel ricupero di una certa unità culturale europea Tra i monaci irlandesi Colombano, vissuto parecchi anni in monasteri della sua isola, passò in Francia a fondarvi vari monasteri, come quello, importantissimo, di Luxeuil in Borgogna, finché verso la fine della vita venne in Italia dove eresse il monastero di Bobbio, centro di vita spirituale e culturale. E tra i Britanni soprattutto Bonifacio e i monaci suoi compagni «trasmisero allo Stato franco — quando l'analfabetismo era diffuso in tutte le classi sociali (anche l'imperatore Carlo Magno era pressoché analfabeta) — la cultura più avanzata del tempo», quella elaborata nelle isole britanniche; la tradizione latina tornava così sul Continente a opera di dotti che non parlavano il latino come lingua madre, ma lo avevano imparato come una lingua artificiale e di cultura. Avvicinandoci a quel mon¬ do di intellettuali, lo troviamo affascinante. Accanto al poeta elegiaco italiano Massimiano, che nella sua vecchiaia rievoca le peripezie degli amori giovanili e racconta le esperienze erotiche di lui vecchio e impotente con una fanciulla greca, quasi a simboleggiare, con l'incombere della morte e il venir meno della capacità di godere, la fustrazione di un mondo senza avvenire, sta il grammatico spagnolo Virgilio Marone, geniale falsario anche nel nome, sfrenato inventore di storie inverosimili raccontate con imperturbabilità: quando tratta dei cognomi, passa in poche righe dall'antico Scipione detto l'Africano per le vittorie sui Cartaginesi a «Samminio mio zio che siccome era la gioia di sua madre ancora oggi è chiamato Gioietta». Di ben altra statura. Gregorio di Tours con la Storia dei Franchi scrive un'opera, «la fonte più ricca e acuta sugli avvenimenti della Francia tardoantica»; e il papa Gregorio Magno alle soglie del VII secolo con robusto ingegno nei suoi scritti «pose le basi dello Stato pontifìcio con la teorizzazione dell'opportunità per il Papa di disporre di mezzi profani da impiegare al servizio della Chiesa». E i grandi eruditi, Isidoro in Spagna, Beda in Inghilterra, costruiscono sistemi culturali enciclopedici che segnano il cammino dei secoli futuri. Un mondo variegato, ricco e complesso, con luci e ombre, nel quale convivono cultura autentica e superficiale faciloneria, profonda spiritualità e superstizione sconcertante. Verrà poi la letteratura dell'età carolingia che si suole definire come una «rinascita»: ma è giusto^ tenere conto che essa non sarebbe stata possibile senza la «fioritura della produzione letteraria quantitativamente e qualitativamente impressionante» degli ultimi decenni del secolo ottavo. Italo Lana