Quarantacinque anni fa a Boves la prima «rappresaglia» nazista
Quarantacinque anni fa a Boves la prima «rappresaglia» nazista Quarantacinque anni fa a Boves la prima «rappresaglia» nazista D boia Peiper ordinò di sparare alla.popolazione e di bruciare le case - Ieri i valori della pace e della democrazia esaltati dal presidente della Regione Beltrami * Oggi negozi chiusi 59b BOVES — n 19 settembre 1943 era una calda domenica di un'estate che non voleva morire. Ma l'atmosfera della festa era ben lontana Non c'era nemmeno stato il passeggio nella piazza Italia dopo la Messa « gronda». I tedeschi stavano per mettere a ferro e fuoco il paese. Alle 14 le SS del maggiore Joachin Peiper avevano bloccato le vie d'accesso all'abitato. Chi era rimasto doveva attendersi di tutto. I presentimenti della mattinata non erano infondati: quell'atmosfera di angoscia che gravava su Boves anticipava un tragico pomeriggio di sangue. Verso le 15 incominciò 11 tiro a segno contro 1 civili inermi che non si erano allontanati dal paese per raggiungere le baite della montagna. Tra le vittime un ragazzo di appena 16 anni, uomini vecchi o malati, persino dei mutilati; colpiti e poi gettati tra le fiamme il parroco don Giuseppe Bernardi e l'industriale Antonio Vassallo che pure erano riusciti a far restituire due militari nazisti catturati dai partigiani qualche ora prima. Ucciso anche don Mario Ghibaudo mentre cercava di portare in salvo dei bambini. Gli incendi si estendevano dal paese alle frazioni di montagna. Perché tanta rabbia contro questo piccolo centro di campagna? La zona era stata invasa dagli sbandati della IV Annata, parecchi militari si erano fermati, alcuni ufficiali stavano organizzando la prima banda armata. I nomi di Vian, Dunchi, Toscano, Aimo, Giuliano avevano già il fascino della cospirazione e del ribellismo; molti giovani bovesani erano saliti in Bis alta per unirsi a loro. Boves dunque faceva paura. «/ tedeschi temevano il ripetersi del fenomeno Jugoslavia — dice il professor Bartolomeo Giuliano, allora giovanissimo sottotenente —, erano ossessionati dalla guerriglia. Sapevano che sulla Bisalta c'era un primo nucleo di partigiani e volevano eliminarlo ad ogni costo. Bisognava dare un esempio, colpire il paese che li aiutava perché tutta l'Italia sapesse. Cercavano solo il pretesto, l'occasione favorevole». Forse favorirono loro stessi la provocazione. Due SS su una macchina si trovarono infatti davanti al municipio quella domenica mattina mentre sulla piazza Italia irrompeva un autocarro con un gruppo di partigiani sceso a prendere del pane. Li guidava il sottotenente Ezio Aceto, ora generale a riposo. «7n quel caso — ricorda Aceto — il primo che impugnava le armi aveva ragione. Andò bene che non sparammo ma dovemmo catturarci due tedeschi e portarli con noi in montagna. Nessuno però li toccò. Li liberammo ma non servì a niente. Peiper voleva colpire Boves». Poco dopo mezzogiorno le due SS, grazie alla mediazione del parroco e dell'industriale Vassallo, erano già a Boves sane e salve; ma intanto sulla Bisalta era avvenuto il primo scontro tra partigiani italiani e tedeschi, era caduto un sottufficiale germanico, era morto il primo partigiano, Domenico Burlando di Genova. Il maggiore Peiper aveva cosi il pretesto per attuare la feroce rappresaglia. La sera di quella domenica 19 settembre 1943 si contarono 17 morti, tutti civili Boves era un grande falò, 350 case divorate dalle fiamme. Ma era appena l'inizio del lungo calvario: il 31 dicembre '43, il 1", il 2 e il 3 gennaio '44 furono quattro giorni di ferro e fuoco per Boves e le sue frazioni: una cinquantina di morti, altre 500 case incendiate. E lo stillicidio di vitti- me per scontri armati, rastrellamenti e rappresaglie contiuò sino ai giorni della liberazione: 137 i caduti in combattimento o fucilati, pochissimi i feriti superstiti. I tedeschi e poi i fascisti non lasciavano feriti dove passavano. Oggi, a 45 anni dal primo eccidio, Boves ricorda i suoi morti chiudendo nel pomerìggio negozi e locali pubblici in segno di lutto; ieri domenica li ha onorati con l'omaggio della regione (discorso ufficiale del presidente della giunta Vittorio Beltrami), di delegazioni di altre città martiri e soprattutto con il saluto degli ex compagni di lotta e dei giovani che vogliono conoscere la storia di ièri per evitare altre tragedie. 'Dobbiamo capire e far nostro il messaggio che ci hano lasciato quelle vittime innocenti, uccise perché credevano nella pace» ha detto il sindaco Pier Giorgio Peano. Per questo dal monumento ai caduti e dal sacrario di Boves sono spariti i cannoni: una decisione del sindaco che ha suscitato a suo tempo assurde polemiche. Boves, medaglia d'oro e Città di Pace, non ha bisogno di cannoni per ricordare i suoi figli caduti Bruno Marchiar©
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