La rivincita di «Moscardino»

La rivìncita di «Moscardino » CONVEGNO SU ENRICO PEA, GRANDE POETA DEL 900 La rivìncita di «Moscardino » MASSA — E' stato uno dei «grandi» del nostro Novecento, ma chi volesse leggerlo, oggi, sarebbe condannato a un lungo pellegrinaggio fra biblioteche e bouquinistes. La letteratura italiana non ha certo dimenticato Enrico Pea, il poeta e romanziere che ha legato il suo nome alla Versilia; è semmai l'editoria che dimostra un interesse assai scarso. Un'edizione della tetralogia di Moscardino fatta da Einaudi ma probabilmente esaurita, qualcosa per Mondadori, ed è tutto. Eppure proprio Moscardino era considerato da Etra Pound uno dei massimi capolavori della narrativa italiana, tanto che volle tradurlo personalmente in inglese. Certo, il vecchio poeta aveva dei gusti un po' strambi, ma forse quella volta non si sbagliava davvero. Cs lo ha raccontato un giovanissimo studioso, Luca Cesari, amargine del convegno che si è tenuto sabato per ricordare Pea a trent'anni dalla morte. Cesari, che è anche poeta, si è studiato pazientemente non solo le prime poesie dello scrittore, ma anche i rapporti col grande Ungaretti. Fu l'incontro in Egitto fra i due, giovanissimi e parecchio bohémiens, netta «baracca rossa» di Alessandria dove finivano esuli,, avventurieri e anarchici, a rivelare il talento poetico di quel lucchese, figlio di un operaio del marno, fuggito oltremare per cercare fortuna. Ungaretti corresse personalmente le poesie, e furono subito dei folgoranti piccoli capolavori. Come questa: «Perché si nasce,/ quando danzan le streghe sul portico,/ e accovacciati 1 pipistrelli stanno?», O questa: «Noi siamo una barca che va/ nel grand'oceanoy noi siamo l'oceano che culla/ la barca che va». Erano i primi frammenti lirici del Novecento italiano. Poi col ritorno in Italia vennero i romanzi detta tetralogia autobiografica: Moscardino (nel "22), n volto santo (nel "24), Il servitore del Diavolo (nel '31) e Magoometto (nel '42), certo le sue opere più note fra i molti libri (poesia, teatro, narrativa) che scrisse mentre dirìgeva a Viareggio il Politeama e reinventava i Maggi toscani. Quando morì nella sua villa a Forte dei Marmi, era la sera dell'll agosto 1958, Carlo Bo scrisse che «Pea è stato un narratore che ha trovato il suo equilibrio, si è fissato nell'accento stesso della poesia». E non ebbe dubbi: Moscardino e n volto santo, disse, «resteranno». Trent'anni dopo, tutto tace. Lo hanno ripetuto sabato Silvio Guarnieri, che detto scrittore fu amico, Cesare Garbolì e Manlio Cancogni, autore di un vibrante articolo già sette anni fa contro quel «silenzio ingiustificato» che gravava a grava ancora. E' stato deciso di costituire un comitato per la pubblicazione delle opere, e forse già qualcosa si sta muovendo, probabilmente per mano dello stesso Garbolì. Ma al convegno c'era anche un personaggio che Pea conóbbe bene, e nella letteratura italiana ha segnato un percorso parallelo alle idee guida del grande scrittore: Mino Maccari, vivacissimo con i suoi novant'anni, lui che ai tempi di Strapaese andò fra i primi atta riscoperta di una concezione della natura e della campagna contrapposta al modernismo esasperato e al culto detta metropoli o della città Proprio come Pea, «diogenico e candido», secondo un'altra definizione di Ungaretti Quella campagna è forse da riscoprire. Lo ha ricordato Umberto Piersanti: «Oggi, ha spiegato, siamo a una stagione poetica particolarmente adatta per 11 recupero di Pea. La violenza di chi crede al "moderno" non esiste più, è caduto l'obbligo di essere ad ogni costo "metropolitani"». La conclusione del convegno? n mondo contadino di Pea, con le sue superstizioni e la sua dura forza, e soprattutto il suo essere profondamente compenetrato da una concezione "sacra" della natura, è di nuovo a portata di mano. Lo si può esplorare sema nostalgie provincialistiche. In genere si dice, in questi casi, che «1 libri sono IL basta aprirli». Ma per Pea, bisogna ricominciare a stamparli. Mario Bautlino

Luoghi citati: Alessandria, Egitto, Forte Dei Marmi, Italia, Massa, Viareggio