Raoul Grassilli-contro «registi spendaccioni»
Raoul Grassilli-contro «registi spendaccioni» L'ex bel tenebroso vuole scomparire dalla scena Raoul Grassilli-contro «registi spendaccioni» «Si mandano all'aria i teatri, e lo Stato deve intervenire» Lungo, stempiato, lo sguardo azzurro stinto, un certo distacco diffidente dall'interlocutore, parco di sorrisi e, almeno all'inizio, di parole, Raoul Grassilli che ha incar-, nato per anni il Bel Tenebroso televisivo, sembra deciso ormai a scoparlre dalla scena. Niente o quasi televisione, pochissimo teatro, anche se la sua ultima interpretazione accanto alla Borboni, due anni fa, gli ha valso la Maschera d'Oro: perché se il teatro è stato 11 suo primo grande amore oggi è passato in secondo piano surclassato dal secondo grande amore, quello di regista lirico, mestiere che gU permette di dar libero sfogo alla sua passione: i viaggi. «L'opera, oltre a farmi rientrare nell'ambiente musicale, in cui sono nato, mi ha aperto orizzonti nuovi, facendomi scoprire Paesi in cui, forse, non sarei mai andato: la tournée teatrale ti blocca per gran parte dell'anno, la regìa lirica ti permette invece di spaziare, da Madrid a Mosca, da Buenos Aires a chissà dove. E sono, forse, i miei ultimi viaggi... Anche per questo, al momento, il regista prevale sull'attore». — E che tipo di regista è? «Certamente, non alla Ronconi: diciamo un regista tradizionale, che tende a presentare l'opera così come è stata scritta e come l'hanno voluta gli autori, senza grandi stravolgimenti e senza voler trovare ad ogni costo significati che non esistono, costringendo magari i cantanti, che sono già sottoposti a fatiche enormi, a cantare con le spalle voltate al pubblico o dondolandosi su un' al' t alena. Che non mi sembra poi il modo giù sto per rilanciare la lirica». — Polemico? «No, perché? Semplicemente contrario alla moda corrente della stravaganza ad ogni costo, diciamo, a costi faraonici. Per cui si finisce col mandare all'aria i teatri, col mandare all'aria l'Ater, tanto per fare un esempio: dopodiché deve intervenire lo Stato. Io sono invece del parere che i teatri siano fatti per restare aperti; purtroppo sono pochissimi i registi che la pensano come me». — E mi dica: com'è che da attore di prosa si è trasformato in regista di opere liriche? «Fu negli Anni 70, quando si pensò di svecchiare l'opera lirica ricorrendo ai registi teatrali: e sulla scia di Visconti, De Lullo, Squarzina, furono molti gli attori che si get tarono con entusiasmo nell'impresa. Fra questi, anch'io. Ma l'entusiasmo durò pochissimo: la maggior parte si arrese di fron te alle mille difficoltà pratiche. Prima di tutte, quella di lottare con un'organizzazione assolutamente deficitaria, un Moloch che cerca di stritolarti giorno dopo giorno. Qui, da noi, non c'è nulla che funzioni a cominciare dalla mentalità: non è possibile che mentre stai allestendo una scena importantissima ti facciano notare che è scaduto l'orario e che tu per poter continuare debba mettere tutti in straordinario. Con conseguenti costi astronomici. Il nostro errore è quello di trattare il teatro alla stregua di un'officina meccanica; ma quanto può essere valido per la Fiat è assurdo invece in un lavoro creativo dove un giorno si può stare sulla breccia dodici ore e il giorno dopo, magari, una sola». — Soluzioni? «Quella di rappresentare le opere sotto forma di concerto: l'orchestra sul palcoscenico, i cantanti tutti schierati in prima fila, il direttore sul podio. Senza scene, costumi, regìa: come una messa da requiem. Sono molti i teatri che hanno già optato per questa soluzione: d'altronde, la gente vuol sentire dei bravi cantanti e della musica suonata bene. Se poi c'è anche la cornice, meglio». — Lei sembra ormai lontano anni luce dalla prosa: forse il teatro non la interessa più? «Se pensa che io voglia lasciare il teatro, si sbaglia. Dirado sempre più le mie apparizioni, questo è vero: perché la televisione, ormai, non si serve di attori e perché lavorare in teatro significa sottoporsi a lunghe, lo goranti tournées. Meglio la radio». — Non ha paura di essere dimenticato? «Questo, mai. Perché siamo ancora noi, della vecchia generazione, a reggere le sorti del teatro italiano. Da poco ho visto il mio buon amico Sbragia che con un parrucchino nero interpretava la parte di un giova notto. Bene: sono sicuro che ancora per parecchi anni continueremo a impersonare ventenni e trentenni di bella presenza met tendoci il parrucchino e tingendoci le so pracciglia». J"H~ don. gian Raoul Grassilli ancora lontano dai teatri
Persone citate: Ater, Borboni, De Lullo, Raoul Grassilli, Sbragia, Squarzina, Visconti
Luoghi citati: Buenos Aires, Madrid, Mosca
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