Il rettore scagionato dall'accusa di truffa di Claudio Giacchino

Il rettore scagionato dall'accusa di truffa Il prof. Dianzani prosciolto in istruttoria Il rettore scagionato dall'accusa di truffa Non svolse attività privata, violando il tempo pieno, in favore del Cdc n rettore dell'Università, Mario Umberto Dianzani, è stato prosciolto con formula ampia dall'accusa di truffa dal giudice istruttore Aldo Cuva perché «il fatto non costituisce reato». Il prof. Dianzani, docente di patologia generale, era finito sotto inchiesta nel luglio dello scorso anno con questa imputazione: «Nel 1983 ha ricevuto compensi dal laboratorio medico Cdc di via Cernaia. Compensi illeciti in quanto, all'epoca, il prof. Dianzani, preside della Facoltà di medicina, aveva scelto il tempo pieno e non poteva, quindi, più svolgere attività professionale privata. Ecco perché s'è configurato il reato di truffa'. Per il giudice Cuva, Mario Umberto Dianzani non è responsabile di nulla: accogliendo la tesi del difensore, prof. Gilberto Lozzi, il magistrato ha sentenziato che i compensi pagati dal Cdc si riferiscono a prestazioni fornite dall'accusato quando questi non aveva ancora scelto il tempo pieno. Di qui, il proscioglimento completo, che contrasta con la richiesta del pubblico ministero Stella Caminiti: «Dianzani va prò cessato». La notizia che i guai giudi ziari sono finiti è stata commentata dal rettore con pacatezza: «Ho sempre avuto fiducia nella giustizia. Una giustizia che ha fatto soffrire tanto me e la mia famiglia. Mi sono impegnato perché tutta questa vicenda non turbasse l'Università. Ho, cioè, cercato di farne sempre un fatto privato». Alla domanda: «Il giudice istruttore ha creduto a lei, il pubblico ministero, però, voleva che lei fosse processato», ha risposto: «I magistrati hanno fatto il loro dovere. Ciascun inquirente ha coscienza e convincimenti propri». L'accusa di truffa piombò su Dianzani il 9 luglio '87. Indagando sullo scandalo degli illeciti compensi ai laboratori privati, che è costato il carcere a decine di persone (titolari e soci degli istituti, funzionari e dirigenti Usi, politici), gli investigatori scoprirono fatture intestate al rettore e datate 1983. Erano nel mare dì documenti sequestrati al Cdc di via Cernaia. Assistito dal prof. Lozzi, Mario Umberto Dianzani spiegò agli inquirenti: «Le fatture riguardano pagamenti per le prestazioni da me svolte per conto del Cdc prima del 1981. A quell'epoca non avevo ancora scelto il tempo pieno, non ho commesso nessun illecito. Lo so bene che, una volta deciso di lavorare solo per l'Università, non avrei più potuto svolgere attività professionale. Tant'è che, quando m'accorsi che il Cdc usava ancora il mio nome, pur non avendo io più niente a che spartire con il laboratorio, inviai ai suoi titolari alcune lettere di diffida: "Gettate via la carta intestata a Mario Umberto Dianzani"». Su queste lettere i giudici ordinarono al perito Aurelio Ohio perizie per stabilire quando erano state scritte. •Gli esami sulla qualità della carta, sulla loro, diciamo cosi, età — ha dichiarato il prof. Lozzi — ci diedero ragione. Le diffide risalgono all'epoca in cui il prof. Dianzani aveva già abbracciato il tempo pieno». Contro il rettore giocò anche il fatto che al Cdc lavoravano i figli Chiara, Umberto e Irma (tutti medici) e la moglie Maria Assunta (biologa). Il sospetto che il prof. Dianzani potesse avere cointeressenze nel laboratorio di via Cernaia trovava, secondo gli inquirenti, il suo fondamento proprio nella massiccia presenza di famigliari nel Cdc. I giudici ascoltarono dipedenti e proprietari dell'istituto, tutti testimoniarono: «Dianzani non c'entra nulla con le loro prestazioni». Dopo il deposito delle perizie contabili, il prof. Lozzi depositò una memoria difensiva: «Non è ravvisabile nel comportamento del mio assistito alcun artifizio o raggiro. Da tutta questa vicenda Dianzani, e pure l'Università, hanno tratto un danno d'immagine spaventoso».. Claudio Giacchino U prof. Umberto Dianzani

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