Il laico che scoprì i cattolici

Il laico che scoprì i cattolici LA SCOMPARSA DI CANDELORO, TRA STORIA E BATTAGLIE POLITICHE Il laico che scoprì i cattolici «Dopo più di trent'anni di peregrinazioni attraverso due secoli e mezzo di storia saluto l'Italia di oggi con un entusiasmo simile a quello degli eroi troiani cantati da Virgilio, quando giunsero in vista della costa italiana dopo una lunga navigazione... E' lo stesso saluto augurale all' "umile Italia" delle donne e degli uomini comuni che rivolgo con le parole che Dante attribuisce a Virgilio nel primo canto della Divina Commedia...». Cosi, agli inizi del 1986, Giorgio Candeloro chiudeva la grande fatica della Storia dell'Italia moderna, nella prefazione all'undicesimo volume feltrinelliano che coronava un'opera iniziata a metà degli Anni Cinquanta, e più precisamente nel 1956. Ricercatore e storico insieme, Candeloro. Con un metodo artigianale che aveva qualcosa della vecchia Italia. Con la pazienza certosina nel reperimento delle fonti, senza le équipes di cui dispone oggi l'industria culturale. Con una capacità di rivedere tutti i testi, tutte le bozze, tutte le variazioni. Con una volontà di riportare gli avvenimenti frastagliati e contraddittori di quella storia, dalla Rivoluzione francese in poi, a un minimo comune denominatore, a una specie di logica che nell'uomo obbediva all'antica formazione azionista, innestala sul tronco del revisionismo marxista «Mi sento marxista e gramsciano come mi sento illuminista per quel tanto che l'illuminismo e il marxismo possono servire per capire la storia dal punto di osservazione di chi vive ormai sul finire del secolo ventesimo». Sono altre e significative parole di quella prefazione. La sua origine illuminista mai smentita risaliva all'esperienza dell'azionismo vissuto durante la Resistenza e ancora prima, attraverso gli studi su Tocqueville e sul pensiero democratico che aveva compiuto negli anni fra il '30 e il '40, professore di liceo secondo lo schema di quell'Italia post-risorgimentale che aveva ancora studiosi insigni nelle scuole secondarie. Deluso dall'esperienza azionista; naufrago come tanti della scissione del 1946. E attratto dai temi più che del marxismo, di quella che fu la revisione marxista compiuta da Gramsci. Lettore appassionato di Gramsci, portato a ricostruire la stessa storia del Risorgimento secondo un filone gramsciano, in cui col tempo si andò attenuando e scolorendo l'origine liberale e rosselliana. Ma Candeloro non ha legato solo il suo nome a questa Storia dell'Italia moderna concepita con un taglio originale e peculiare. Egli è stato uno dei primissimi storici del dopoguerra che abbia concentrato l'attenzione sul movimento cattolico: un'espressione quasi sconosciuta alla vecchia storiografia liberale di pura osservanza crociana. H movimento cattolico in Italia è il libro essenziale di questa riflessione, che si collega agli studi della gioventù e che aveva avuto un'anticipazione in uno studio sull'Azione cattolica in Italia dei primi Anni 50. Libri non solo di storiografia ma anche di battaglia politica, ricordando anche l'editore che fu 'Rinascita» per il Movimento cattolico e le 'Edizioni di cultura sociale» per l'Azione cattolica Ma libri compenetrati di cultura liberale non senza vene anticlericali, e annunciatori di orizzonti che in quegli stessi anni saranno discoperti sia dalla storiografia sia laica sia cattolica. il peso dell'intransigentismo nella formazione del movimento cattolico fu un'intuizione ben precisa nella mente di Candeloro. Un'intuizione cui mancarono talvolta i necessari corollari. Egli non colse fino in fondo la svolta del 1898 per il movimento cattolico: svolta preparatri.ee dell'esperienza autonoma del partito popolare ventanni dopo. Tese ad identificare la protesta cattolica con gli sbocchi e gli epiloghi clerico-moderali limitati alla sola età giolittiana. Talvolta la condanna prevalse sulla comprensione, la protesta sull'analisi. Ma i fermenti anticipatori di storia vivente contenuti in quelle pagine non possono e non debbono essere dimenticati. E si spiega il perché. Candeloro era nato agli studi storici da quelli che potremmo chiamare gli studi di storia delle dottrine politiche, una materia che in Italia si configurò e prese dignità scientifica intorno agli Anni Trenta E dedicò in quel periodo pagine importanti a Tocqueville, a Paruta, al pensiero politico di David Hume. Riguardo in questo momento il primissimo suo saggio che lessi quarantanni fa: Lo svolgimento del pensiero di Giuseppe De Maistre, una pubblicazione della 'Tipografia del Senato» nel 1931 che rifletteva una collana di storia della filosofia dell'Università di Roma, sotto l'influenza diretta o indiretta di Giovanni Gentile. Candeloro anticipò gli studi fondamentali di Adolfo Omodeo sul filone reazionario. Egli dedicò a De Maistre — il protagonista del Dizionario dell'omo salvatico di Papini e di Giuliotti, l'uomo di una certa controffensiva cattolico-fascista — un'analisi penetrante e disincantata in cui nulla restava delle giustificazioni o dei pretesti delle vi¬ cende presenti. E seppe cogliere anche tutte le novità e le pieghe del visconte savoiardo. Sosto sulle conclusioni di quelle pagine: tutte ispirate all'amore che ebbe per De Maistre Baudelaire. E alle conclusioni che ne traeva Candeloro: «Furono gli spiriti irregolari, gli insoddisfatti, coloro che si sentivano, per infinite ragioni, spaesati nel mondo moderno, che si rivolsero e amarono di più il vecchio pensatore savoiardo, col quale avevano in comune la valutazione tragica e pessimistica della vita». Di derivazione idealistica, non condivise mai i facili approdi dell'idealismo attuale o dell'idealismo assoluto. Fedele al metodo di Benedetto Croce, anche nella sua milizia marxista e gramsciana si distaccò fin dall'inizio dalle conclusioni ottimistiche di una storiografia che riduceva l'esperienza del fascismo alla ■invasione degli Ixos» e preservava intatte le contraddizioni e i compromessi dell'Italia liberale. Animato dal soffio critico di 'Giustizia e Libertà» e dell'esperienza azionista, mise le sue doti di storico al servizio dell'impostazione in cui grande peso assumevano le masse popolari, quel le «donne e uomini comuni» della vita italiana cui rivolgeva il suo pensiero finale, quasi testamenta rio, nella Storia dell'Italia moderna (l'ultimo volu me riguardava proprio la fondazione della Repubblica e l'avvio della ricostruzione, e non senza una serie di considerazioni finali che riassumevano la visione etico-politica dell'uomo). Era arrivato molto tardi, e dopo sofferenze di ogni genere, alla cattedra universitaria Non aveva avuto mai la vita facile. La perdita della figlia nel '60 aveva piegato la sua vita. Era rimasto sempre nell'ombra di una milizia scientifica mentila ancora col rigore dell'insegnante dell'età carducciana e crociana. Non collaborò mai al Mondo; non condivise mai le posizioni della sinistra liberale e radicale da cui si era irreversibilmente separato nel 1946. Ma rimase uno spirito indipendente nelle sue visioni e valutazioni generali, gramsciano anche nel fermento critico che dal maestro aveva derivato. E non insensibile al travaglio del mondo orientale che dall'Ungheria in avanti aveva inciso profondamente sulla sua vita. Forse negli ultimi anni ebbe la consolazione di vedere accettato anche dai comunisti il Gramsci col quale aveva sempre colloquiato. Diverso da quello dell'idolatria post-bellica Giovanni Spadolini