Un'altra spina al Csm: il «caso Calabria» di Giovanni Bianconi

Un'altra spina al Csm: il «caso Calabria» Indagine sulla crisi della magistratura e la carenza di risposta alla 'ndrangheta Un'altra spina al Csm: il «caso Calabria» ROMA — -Le inchieste sulla 'ndrangheta non si fanno più. Noi giudici siamo rimasti isolati, ci hanno tolto gli investigatori capaci; quelli che ci sono adesso vengono da me per avere informazioni. Alcune indagini che sarebbero necessarie non vengono nemmeno avviate dal procuratore capo. E i processi che riusciamo a fare, quando arrivano all'ufficio istruzione, si bloccano. Cosa vuole, quando si mandano dei giovani inesperti ad occuparsi di mafia...-. Ecco il «caso Calabria». Il sostituto procuratore di Locri, Carlo Macri, lo racconta mentre aspetta di essere interrogato dal comitato antimafia del Consiglio superiore della magistratura. Dentro, nell'aula del plenum, è il turno del suo collega Ezio Arcadi. Sono loro due ad avere scoperchiato la pentola, quest'estate, con alcune interviste: lo Stato in Calabria è assente mentre la 'ndrangheta continua ad imperversare, le strutture giudiziarie non sono in grado di reggere lo scontro. E anche quel poco che si faceva prima, adesso non si fa più: -C'é una maledetta fretta di smantellare tutto-. Tutto questo in una situazione che già in marzo il Csm aveva definito di -eccezionale gravità, che richiede interventi eccezionali-. Ma la risposta dello Stato non è ancora arrivata. Come per il «caso Palermo», il presidente della Repubblica Cossiga ha chiesto spiegazioni al Csm, che adesso ha avviato la sua indagine. Oltre ad Arcadi e Macri ascolterà l'avvocato dello Stato presso la corte d'appello Falsea e il procuratore della Repubblica Rocco Lombardo. Quest'ultimo è uno degli uomini messi sotto accusa dalle denunce di Macri e Arcadi. L'« isolamento-, dicono, è cominciato da quando un anno fa Lombardo s'è insediato in Procura. E quando affermano che certe indagini non vengono nemmeno avviate, il bersaglio sembra essere ancora lui. •Ci sono contrasti sul metodo di condurre le inchieste sulla mafia — spiega Macri —, ma anche atteggiamenti eccessivamente burocratici, forse la voglia di non dare fa¬ stidio a qualcuno-. L'intenzione di non colpire qualche «santuario»? "Forse-. Ma le accuse a Lombardo non si fermano qui. In una memoria inviata al Csm Macri ha scritto: -In un incontro riservato col comitato antimafia del Csm (febbraio '88. ndr), il presidente del tribunale e il procuratore della Repubblica hanno riferito che io e il collega Arcadi "plagiavamo i giudici istruttori". Dichiarazione irresponsabile, gratuita, immotivata-. Lui, Lombardo, quasi si indigna di fronte a queste accuse. Parla malvolentieri perché, dice, -sto aspettando di essere ascoltato dal Csm. Voglio rispondere prima li-. Ma poi aggiunge: -Se a Locri c'è qualcuno che ha combatluto la mafia, questo sono io. Quando presiedevo i processi alle cosche in corte d'assise i giornali mi definirom il "giudice cattivo". E quando a febbraio è venuto il Csm, le denunce più forti sulla situazione insostenibile che viviamo le ho fatte io-. Un altro -caso Palermo-, coi giudici antimafia che accusano il capo ufficio di fre¬ nare le indagini? A prima vista sembrerebbe di si, anche perché pure in questo caso c'è, come nello scontro MeliFalcone, una nomina contrastata. Lombardo correva al posto di procuratore insieme con Macri. ed anche allora (luglio '87), il Csm si divise sulla sua nomina: 16 voti contro 10. Ma in realtà la situazione è diversa. Sullo sfondo c'è uno sfascio della giustizia denunciato da tutti i protagonismi di questa vicenda. Alla Procura pendono attualmente 900 processi, divisi fra un capo e tre sostituti, uno dei quali, una donna, è attualmente in licenza di maternità. Lombardo racconta che lui stesso e costretto a recarsi a volte in udienza per sostenere la parte del pubblico ministero. E poi mancano segretari, cancellieri, uditori, personale amministrativo. Ma soprattuto investigatori capaci. •Questo è il fatto più grave — dice Macri —, quei pochi che avevamo li hanno trasferiti-. E' uno dei capitoli del -caso», il trasferimento del maresciallo dei carabinieri Spanò, e di altri tre investiga¬ tori: un sottufficiale dell'Arma, un comandante della Finanza, un commissario di pubblica sicurezza. Spano e stato mandato via parche coinvolto nella morte dell'imputato Francesco Sergi, avvenuta in una caserma dei carabinieri nel 1985. E' accusato di omicidio colposo, e per quella morte Macn e Arcadi sono sotto processo davanti alla sezione disciplinare del Csm. -Dicono che il trasferimento di Spano fosse un fatto di opportunità — accusa Macri —, ma perche allora il suo coimputato, il sottufficiale dulia, è stato lasciato dov'era?-. L'audizione di Arcadi davanti al Csm si prolunga per oltre cinque ore. All'uscita il giudice dice: -Ho confermato tutte le mie precedenti dichiarazioni, fornendo molti particolari. Ma non è finita, probabilmente sarò richiamato-. Nell'aula ovale del plenum entra Carlo Macri. Dopo il procuratore Lombardo e l'avvocato dello Stato Falsea. molto probabilmente il Consiglio chiamerà a rapporto altri giudici di Locri. Giovanni Bianconi

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