«La mafia ora attacca chi la protessa»

«La mafia ora attacca chi la protessa» «La mafia ora attacca chi la protessa» Un giudice del pool anti-piovra: «E' cominciata una nuova campagna delle cosche contro di noi» - Il primo presidente della Corte d'appello: «La guerra è perduta e le autorità romane vengono qui solo per i funerali» PALERMO — A Palermo si dice che i morti parlano. Ogni cadavere, cioè, racchiude in sé un messaggio diverso ed è la stessa identità della vittima a offrire i possibili perché dell'assassinio. Cosa dice, allora, il corpo crivellato di Antonino Saetta, magistrato di Corte d'appello ucciso con una scarica di mitra insieme con l'incolpevole figlio? La risposta che dà un collega della vittima, Giuseppe Di Lello, magistrato del pool antimafia dell'ufficio istruzione, è agghiacciante nella sua logica ovvia. «£' fa prima volta — spiega — che la mafia -colpisce un magistrato giudicante, cioè non di prima linea. Evidentemente Cosa nostra inaugura una nuova campagna contro i giudici. E il messaggio contenuto nell'agguato di Grottarossa è terribile: "Non ci sono magistrati di prima e di seconda linea, siete tutti nostri nemici"-. Di Lello è provato, parla a voce bassa, non riesce a darsi pace per 'questa battaglia che non finisce mai-. Aggiun' ge che tanta ostentazione di efficienza da parte delle cosche dimostra che la mafia non ha modificato la sua strategia. "Chi credeva che Cosa nostra avesse rinunciato a servirsi degli omicidi eclatanti per imporre il terrore e l'intimidazione è stato clamorosamente smentito-. I boss, dunque, rialzano la testa. La calma, imposta alla vigilia del maxiprocesso co me segno di distensione, è naufragata dopo gli ergastoli inflitti a mafiosi di grande, piccolo e medio rango. Ad assicurare la piovra, per un certo periodo, era bastato il clima che si era^nstaurato a Palazzo di Giustizia di Palermo, e non solo li. La questura nell'occhio del ciclone, il palazzo del governo municipale tramutato in palazzo dei veleni. Poi i fatti della recentissima, torrida estate: il grido d'allarme lanciato a luglio dal giudice Paolo Borsellino, che apriva una spaccatura senza precedenti nel Consiglio superiore della magistratura e che induceva alle dimissioni Giovanni Falcone, il più esposto dei giudici antimafia di Palermo. In agosto il severo richiamo del presidente Cossiga all'organo di autogoverno della magistratura, e a settembre la svolta: la ritrovata unità fra 1 magistrati, con una soluzione che lasciava soddisfatti i giudici del pool antimafia, infine la nomina di Domenico Sica ad Alto commissario. Tutto mentre il Consiglio dei ministri varava il riammodemamento della legge RognoniLa Torre. Segnali, questi, di attenzione dello Stato verso il problema della mafia. La macchina antipiovra cominciava a dare l'impressione di riprendere a girare per il giusto verso. Una prima iniziativa in questo senso veniva dal tribunale di Palermo che negava a Vito Ciancimino,/ l'ex sindaco accusato di associazione mafiosa, la possibilità di tornare in città giudicandolo pericoloso. Nessuno riuscirà a dimostrare che esiste un legame fra le decisioni che intervengono ai più alti livelli delle istituzioni in materia di lotta alla mafia e i comportamenti dell'organizzazione criminale Però è un fatto che tutte le volte che lo Stato dà l'im- pressione di un rallentamento di compromesso o di cedimento (com'è accaduto a luglio con la prima sessione del Csm) la pax mafiosa resiste. E tutte le volte che, invece, viene ripresa l'iniziativa, con metodi straordinari e comunque adeguati alla gravità del fenomeno, la risposta è violenta. E così, come accade ormai da anni, Cosa nostra corre ai ripari. Secondo il suo stile, uccidendo. Questa la chiave di lettura che a Palermo si dà all'ag¬ guato di Grottarossa. E c'è chi addirittura va oltre indicando quale potrebbe essere il prossimo terreno di scontro fra cosche e magistratura. L'ipotesi è che probabilmente l'attenzione dei boss sia adesso rivolta all'andamento dei processi. E' come se i killer, uccidendo Saetta, avessero voluto dire a tutti gli altri giudici: 'Basta con gli ergastoli-. D primo presidente della Corte d'appello, Carmelo Conti, è ancora più pessimista. "La guerra è perduta, non c'è più speranza. E le varie autorità romane calano giù solo quando c'è da celebrare un funerale o commemorare una vittima-. Sull'atteggiamento, non sempre fermo, dei politici, dice che devono trovare l'unità che fu determinante per sconfiggere il terrorismo. Perché la mafia è ancora peggio e non serve trastullarsi con polemiche stucchevoli su chi fa antimafia e chi invece va a braccetto con i boss. Le parole del presidente Conti certamente risentono del clima di esasperazione per quest'altra vittima eccellente, ma il magistrato non perde lucidità quando va ad un'analisi del delitto. -Un omicidio di mafia — dice — che può essere stato compiuto per due motivi- una vendetta, fredda, barbara, stupida, ovvero una minaccia nei confronti di quanti devono esercitare giustizia'. Ed ecco riaffiorare il braccio di ferro tra mafia e poteri dello Stato. Si avvicina il tempo dell'appello per i tre maxiprocessi a Cosa Nostra, si avvicina la conclusione dell'istruttoria contro Ciancimino, i giudici del pool antimafia si sono rituffati nelle indagini sui delitti politici (Reina, Mattarella, La Torre), e l'inchiesta sull'omicidio dell'ex sindaco Insalaco è solo all'inizio. Come si vede la mafia ha di che temere. Francesco La Licata Antonino Saetta

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