Gava il leader ombra della dc di Marcello Sorgi

Gava, il leader ombra della d Grandi manovre del correntone di Centro alla vigilia del convegno di Sirmione Gava, il leader ombra della d La campagna pei sul caso Cirillo non ha frenato il gioco del ministro: «Io ho la faccia più dura della pietra» - A De Mita: se viaggiamo sulla stessa automobile non è detto che debba guidare sempre tu ■ E a Craxi ha promesso un nuovo segretario ROMA—'Tieni duro ministro!: 'Avanti col Centro!: Davanti alla chiesetta di Malo, un paesino in provincia di Vicenza nel Veneto bianco, quella piccola folla assiepata in sua difesa fu una piacevole sorpresa per Gava. Due sabati fa, nel giorno in cui Palazzo Chigi ufficializzava la notizia delle sue dimissioni legate al «Caso Cirillo» e respinte due volte dal presidente del Consiglio, Gava era quello di sempre. A passi lenti, circondato dalia scorta e accompagnato dal vicesegretario Enzo Scotti, il ministro entrò in chiesa e andò a sedersi al primo banco. Il prete che diceva messa era Mario Bisaglia, fratello di quel Toni, leader doroteo scomparso, di cui Gava e il correntone di Centro erano divenuti eredi. L'omelia, che il ministro subito riconobbe, era un brano del profeta Isaia: «Sono perseguitato, mi calunniano, si avventano su di me, ma di fronte a chi mi giudicherà e cercherà di condannarmi...', recitava il sacerdote, «...io avrò la faccia più dura della pietra», concluse Gava a memoria, sottovoce all'orecchio di Scotti. Anche Bisaglia, nella sua storia di ministro e capocorrente, aveva subito un impeachment e si era dimesso. Ma Gava, ripetendo il messaggio del profeta, faceva intendere che non farà lo stesso. Accusato, colpito, stretto in un angolo? -Lui dice semplicemente che ha la coscienza a posto — spiegano i suoi collaboratori —; se i comunisti hanno ancora bisogno di creare mostri per far politica, è il segno che la loro crisi è ben lontana dalla soluzione, sostiene Gava». Chi gli è stato vicino in queste ore dice che mentre la campagna nei suoi confronti cresce ogni giorno d'intensità, il ministro è tutto preso dai suoi impegni, -fra vertici sull'ordine pubblico, nomine di prefetti^riunionj^a Palazzi Chigi per il 'concertò» della finanziaria. Lavora molto, non ha cambiato in nulla le sue abitudini «e negl* intervalli non trascura di occuparsi del congresso de». Il gioco precongressuale di Gava, fino a prima del ritomo deU'aJTaire Cirillo, era racchiuso in un quadrilatero. Ai quattro angoli c'erano De Mita, Andreotti, Forlani e Craxi. Dentro c'era Gava con la sua creatura, quel Centro maggioritario nel partito che nei progetti doveva allargarsi a macchia d'olio, fino a comprendere tutta o quasi la de. Nei primi mesi di vita la corrente, nata a settembre dell'anno scorso sul fronte demitiano per bloccare V'intentano» voluta da Piccoli e Andreotti e non osteggiata da Forlani, con l'obiettivo di far fuori De Mita, era cresciuta e prosperata con gran soddisfazione del suo fondatore. Accanto a Forlani e a Piccoli, presto rientrati nel gran ceppo doroteo, e a superare anche le più rosee previsioni di Gava, c'era tutto un movimento di soldati e graduati democristiani per allargare i confini del Centro. Dal Piemonte di Lega alla Lombardia di Senaldi, Usellini e Campagnoli, dalla «cospicua forza» emiliana di Cuminetti, Tesini e Casini al doro teismo storico di Pontello e Speranza in Toscana; e giù fino al Lazio di Darida e Bubbico, a Napoli monocolore gavianea, all'Abruzzo di Gaspari, alla Puglia di Lattanzio, alla Basilicata di Colombo, alla Calabria, alla Sicilia. 'Siamo presenti dappertutto, anche dove non si vede', poteva dire sazio Gava, preparandosi a portare al governo, in sei ministeri 'forti-, i leader del suo correntone. Gli restava da compiere l'operazione più difficile: convincere De Mita che il suo trasferimento a Palazzo Chigi per il partito era l'inizio della successione; riunire gli aspiranti che già fremevano ai blocchi di partenza in un nuovo 'insieme» democristiano. Il tentativo, guardato dall'esterno, può sembrare impossibile: ma Gava, prima e dopo che il vento cominciasse a soffiargli contro, ha continuato a lavorarci. A De Mita ha fatto un discorso molto semplice: «Se io e te siamo sulla stessa macchina per andare da Roma a Milano, non importa chi guida: puoi guidare tu, io o un terzo». Di Andreotti, malgrado le visite degli ambasciatori andreottlanl che fanno mezze offerte e dicono che il loro leader, ormai anziano, ha voglia di fare | un giro di due anni al ponte di comando di Piazza del Gesù per poi lasciargli libera la piazza, apprezza «la cortesia, la stima, le attenzioni», perfino quegli artlcoletti in sua difesa rivolti al pei, che dicono che Gava con Cirillo c'entra quanto 'il compianto Zia, capo di Stato del Pakistan». Ma non ne ha capito le vere intenzioni, e in ogni caso «se vuol fare il segretario, può farlo, ne ha tutte le qua-' lità». A Forlani, Scotti e agli altri leader del Centro impazienti di avviare la gara congressuale, ha raccomandato prudenza, ha detto che sarebbe un errore già domani al convegno della corrente a Sirmione 'far partire candidature che servirebbero a creare divisioni. Il nuovo segretario può nascere se non nasce contro De Mita». E un impegno del genere, sulla sua parola, ha preso anche con Craxi. Tre anni fa quando il segretario socialista gli diede il primo appuntamento, Gava rimase colpito dal personaggio: 'Conosceva tutte le percentuali delle correnti meglio di me, elencava uno dopo l'altro i nomi di quelli che gli avevano giurato di schierarsi contro De Mita — ha raccontato il ministro ai suoi collaboratori —. io lo ho ascoltato e mi sono messo a ridere. Ma sei sicuro, gli chiesi, che non ti raccontano palle?». Da quel giorno i due si sono visti varie altre volte: Craxi sempre a chiedere le stesse cose, Gava sempre a rispondere nellostesso modo: che nella de, se si vuol raggiungere un risultato, 'bisogna ottenerlo senza spargimenti di sangue». Poi, senza dirlo, ognuno ha fatto un piccolo spostamento. Craxi ha smesso di consultare le -ali- della de, accettando di trattare, quando è necessario, direttamente con De Mita. E Gava ha smesso di dire, come ha fatto per tanto tempo, che De Mita deve continuare a fare il segretario: 'Dopo l'ultimo congresso non l'ho più ripetuto». Dove doveva portare tutto questo lavoro era chiaro, anche se Gava non l'ha mai confessato a voce alta. A chi gli chiedeva se il rischio, alla fine, non fosse di fare entrare De Mita come leader etemo nel Pantheon democristiano, rispondeva che 'nella storia, di tanti discorsi di De Mita, resterà solo un avverbio, 'probabilmente'». A chi lo spinge ancor oggi a farsi avanti,fregandosene della campagna sul «caso Cirillo» e ufficializzando la sua candidatura subacquea, intuita, ma sempre smentita alla segreteria de, lui replica negando, sorridendo, esclamando che i suoi guai «son cominciai! da quando qualcuno va dicendo in giro che voglio faì re il segretaria-. E a guardarlo, quasi quasi, viene da credergli: arrivare al vertice del partito forse può diventare ininfluente per chi si sente già adesso il leader-ombra di tutta la de. Marcello Sorgi