Emergenze di Giuseppe Zaccaria

In Calabria la frode di massa DOSSIER: NEL SISTEMA DELL'ILLEGALITÀ' TOLLERATA In Calabria la frode di massa Un tèrzo di Roccaforte del Greco, nel Reggino, ha la pensione d'invalidità ■ Lo stesso accade in molti altri centri - «Ormai rappresentiamo un'economia dipendente solo dai finanziamenti speciali dello Stato» - Intorno ai morti della 'ndrangheta, si afferma l'assistenzialismo abusivo, sopportato o guidato dai partiti • «Realtà arcaica? Tutt'altro: qui si è realizzato un modello economico completamente inedito» DAL NOSTRO INVIATO ROCCAFORTE DEL GRECO (Reggio Calabria) — il vento che attraversa le macchie boscose delio Zomaro porta giù brandelli di uno strano frastuono. Sono i cingolati della «Friuli» che battono l'Aspromonte. Fanti in assetto dì guerra, mitragliere spianate sulle torrette: pare di sentire l'ululato dei «Lupi di Toscana», finché non s'incrociano le facce spaurite dei soldatini. Lì, in montagna, lo Stato mostra i muscoli. Qui, nella Piana dì Locri, la mafia continua ad ammazzare. Ieri c 'è stato il centunesima morto dell'anno. Forse converrà iniziarlo da mezza costa, questo viaggio nel «caso Calabria». Da un luogo senza lupare e senza storie, senza martiri e senza titoli, lontano dalle tinte forti del paesaggio eppure in gualche modo vicinissimo a una delle questioni centrali della Calabria d'oggi. Chissà se a Roccaforte del Oreco saranno contenti di questo esordio sui giornali. Non sapevano ancora di costituire una specie di fenomeno. Ma il dato è implacabile: questo paesino sperduto detiene il record italiano (dunque, probabilmente europeo) dell'assistenzialismo di rapina. Un terzo del paese è titolare di una pensione d'invalidità, 317abitanti su 1200 contano, da dieci, quindici anni, sul sussidio mensile dello Stato. Un invalido ogni tre abitanti: cosa sarà mai accaduto, quindici anni fa, in quest'angolo d'Aspromonte? Quale inesistente fabbrica, quale misteriosa catena d'incidenti nei campi o in piccoli cantieri avrà mai prodotto questa generazione di infelici? Vincenzo Gullì, il sindaco, allarga le braccia: «Sa, guido la giunta da appena dieci giorni...». Bisognerebbe tomare indietro, ricostruire le gesta di chissà quale 'sindaco degli Anni 70 che- a molta, troppa gente, era stato in grado di dire: «Ci penso io». Radiografare la faciloneria, la complicità di chissà quanti funzionari sparsi negli uffici regionali. La distrazione di chissà quali giudici. Una giungla Eppure quello di Roccaforte non è un caso isolato, tutt'intorno (a Staiti, Calanna, Pazzano, Sant'Agata del Bianco) le percentuali d'invalidità s'attestano spavaldamente sopra il 30 per cento. Proprio a due passi dal famigerato «triangolo della morte» le statistiche rivelano un pentagono che inscrive Infossa delle Marianne dell'assistenzialismo, che da tre lustri celebra lo sfacciato trionfo della frode di massa, sopportata, guidata, a volte sollecitata dai partiti. Se adesso un giudice di Lo¬ cri tentasse di veder chiaro in questo gigantesco imbroglio, la gente del Reggino approverebbe? L'opinione pubblica, anche la più leale, lo appoggerebbe come un magistrato coraggioso o finirebbe piuttosto per considerarlo una specie di sovvertitore? Ecco la giungla da esplorare se appena si vuol dare un senso agli allarmi lanciati da Ezio Arcadi e Carlo Macrì, ecco il terreno su cui davvero rischia di giocarsi quel tentativo di «normalizzazione» che adesso ha-provocato anche l'intervento del presidente Cossiga. La violenza mafiosa, le bombe, l'inarrestabile torrente di sangue che ricopre il Reggino sono lì, sotto gli occhi di tutti, non richiedono né grandi analisi né decisive scoperte. Ma se su una carta della Calabria si provasse ad unire con una linea tutti i luoghi che vivono amministrazioni strane, tutte le sedi di consorzi che continuano a erogare misteriosi contributi, tutti gli uffici delle Usi, degli enti di sviluppo, delle dipendenze regionali, degli ispettorati, quel pentagono si trasformerebbe in un'indecifrabile figura con cento vertici, e chissà quanti angoli oscuri. L'autentico nodo del «caso Calabria», per chi tenti oggi di fotografarlo, è tutto in questo intrico, in questo progressivo affermarsi di interessi illegittimi eppure tollerati. Nel lento costituirsi di un «nuovo equilibrio» che alcuni studiosi cominciano a credere sia sempre più difficile sciogliere. Per quarantanni abbiamo inseguito l'immagine di una Calabria arcaica, pittoresca e feroce, i riti e il sangue della 'ndrangheta, l'assurdo paradosso di Gioia Tauro, e non c'eravamo accorti che accanto, intorno a quella Calabria ne nasceva un'altra, forse ancora più difficile da decifrare, a suo modo fornita dei caratteri della modernità. Una modernità sconcertante. Emergenze Un salto di qualche centinaio di chilometri: eccoci a Roma, in un piccolo ufficio di Porta Pia, la sede dell'Istituto Meridionale di storia e scienze sociali, centro studi nato da un libro: quel saggio sulla Calabria pubblicato lo scorso anno da Einaudi cui aveva collaborato una serie di studiosi che, terminato il lavoro, si era chiesta se questo patrimonio di ricerca comune non andasse in qualche modo salvato. L'Imes, da allora, si propone come consulente esterno per chiunque, Regione compresa, voglia approfondire i temi della Calabria d'oggi. E le tesi di questi einaudiani del Sud, di questi calabresi della diaspora suonano impietose: «La Calabria, in quanto tale, ormai esiste soprattutto perché è capace di ottenere fondi». Sentite Carmine Donzelli, responsabile dell'Imes: «Questa regione si avvia a diventa¬ re un "non luogo" ingessato da una grande retorica. Si continua a discutere dei suoi elementi di arretratezza, che sono molti, quasi che fra vent'anni questa realtà sia destinata a cambiare. Ciclicamente, sull'onda di episodi più o meno clamorosi, si continuano a individuare sempre le stesse "emergenze". E invece non ci si è resi conto che in pochi anni questa è divenuta una realtà stabile, tutt'altro che arcaica, in qualche modo anzi completamente up to date. Qualcosa che può continuare così all'infinito, che da sola non cambierà perché non ne avverte il bisogno. In Calabria, negli ultimi dieci anni, si è realizzato un modello d'integrazione completamente inedito...». -Economia dipendente», l'ha definita il prof. Sergio Runi, un sistema che per un quarto delle sue necessità dipende da aiuti esterni (legge 64, legge Calabria, integrazioni Cee) e che, se continua così, di interventi avrà sempre più bisogno. Converrà partire dal basso, per rendersene conto: da qualche confronto, per esempio, sulla vita del calabrese medio. Tre anni fa una statistica analoga riferita a Palermo creò scandalo: la capitale della mafia risultava essere, in Italia, l'SO* città quanto a reddito e l'S" per i consumi. Che dire allora del calabrese-tipo che da qualche anno, sempre stando alle cifre, pare si comporti come un folle scialacquatore? Ecco un altro stereotipo che rischia di crollare: non era, l'uomo delle Calabrie, l'immagine della povertà, della frugalità, dell'ostinazione? Eppure le cifre dicono il contrario. A Cosenza da qualche anno è in funzione "Pitagora», una banca dati sull'economia che lavora in contatto con alcune fra le più grandi aziende del Paese: e dal rapporto annuale che ha appena presentato sull'economia della regione, si evince che le cose vanno male, malissimo, tranne che per due voci, i consumi e i depositi bancari. La «forbice» qui agisce in due sensi: non solo per rendere sempre più profondo il divario fra Sud e Nord (e fra la Calabria e il resto del Mezzogiorno), ma anclie per dipingere in termini sempre più incom prensìbili la condotta del buon padre di famiglia di Catanzaro, Castrovillari o Marcellinara. La sorpresa Bisognerebbe addentrarsi in una serie di distinguo fra reddito disponibile, prodotto interno, propensione al consumo e cosi via. Li risparmiamo: con qualche approssimazione si può dire che se lo scorso anno l'italiano medio ha prodotto ricchezza per più di 17 milioni, il calabrese non è andato oltre i 9.700.000 lire. Ma poi — ecco la sorpresa — se a Padova o a Bari il consumo medio ha inciso nell'87 per 7.400.000 lire, in Calabria ciascuno ha speso 5 milioni e mezzo. Insomma: nel reddito, la Calabria resta al 56 per cento della media nazionale, nei consumi è già ai tre quarti. E anche i deposili baiicari il'anno scorso, 7900 miliardi) continuano a crescere a un tasso ben più alto di quello del resto d'Italia. Da dove arrivano, allora, quei soldi? -Pensare, come a Palermo, che tutto sia dovuto alla 'ndrangheta, che tutto sia frutto del traffico di droga, sarebbe ridicolo-, risponde Giuseppe Di Rose, direttore della Maise Servizi, altra azienda di studi sorta a Cosenza. -Fra l'altro, si sa, la mafia i miliardi non li mette in banca...». Domenico Cersosimo. ricercato¬ re dello Iasm, è ancora piùnetto: «E' chiaro, sono aiuti esterni, il frutto di finanziamenti, incentivi, strumenti di assistenza. I pensionati, in Calabria, su una popolazione che supera appena i due milioni ormai sono più di 400.000, ma scoprire l'assistenzialismo, anche in forme così parossistiche, non mi scandalizza affatto, in qualche misura lo trovo anche giusto. Il problema non sta nel danaro che si manda in Calabria ma nella destinazione di quel danaro. E qui il sistema è ormai ancorato alla gestione del sottosviluppo: io, Stato, ti dò i quattrini perché tu possa crescere, tu, Regione, non lo fai, anzi ti avvitì sempre più su te stessa, in una condizione di dipendenza che diventa patologica. Un equilibrio al ribasso, certo, ma sempre più stabile. E attenzione: non è una situazione mal gestita. Al contrario, direi che nell'ammìnistrarla l'apparato calabrese si dimostra ogni giorno più funzionale. Lavora al massimo dell'efficienza, considerati gli obiettivi». Eccoci dunque a una prima, possibile conclusione. Dopo gli anni dei grandi progetti, delle autostrade, del -polo chimico» e di quello tessile, del -pacchetto Colombo-, di Giacomo Mancini, la Calabria è ripiombata fin dai primi Anni 70 nella crisi più nera. Meno scontato era che su questa crisi e sugli aiuti conseguenti un'intera generazione, tutta una regione finisse col costruire un nuovo assetto poco invidiabile, certo, ma probabilmente dotato dei caratteri della stabilità. Augusto Placanica, catanzarese, 55 anni, ordinario di Storia moderna alla Sapienza di Roma, si spinge fino a sostenere che in qualche misura oggi la Calabria sarebbe perfino una regione pacificata. «La terra delle rivolte contadine, o per tornare ai nostri giorni quella dei moti di Reggio, adesso pare lontana anni luce, come se non ci fosse più la ragione del contendere...». Il professore probabilmente trascura la variabile 'ndrangheta, o quanto meno mostra di considerarla una questione a sé stante. Ma il paradosso nasconde come sempre una parte di verità: cosa accadrebbe se anziché sulle organizzazioni criminali i giudici, pur con tutte le loro difficoltà, puntassero i riflettori sulla gestione delle migliaia di miliardi che ogni anno la Regiont: continua a chiedere, e che ogni anno son destinati ad aumentare? «Emergerebbe, risponde Cersosimo, tutta la schizofrenia d'una regione che dagli aiuti esterni è nello stesso tempo beneficiaria e prigioniera. Tutte le difficoltà di una classe politica locale calata solo nel ruolo di grande dispensatrice e costretta a rincorrere nuovi aiuti, altre provvidenze, che ancora una volta finiranno col perdere qualsiasi significato propulsivo per trasformarsi in puro strumento di sopravvivenza». Sull'emergenza a volte si può anche costruire un nuovo modello dì vita. La Calabria (due milioni dì abitanti) oggi annovera 25 Comunità montane, 24 enti che dovrebbero concorrere alla forestazione, 31 unità sanitarie, una pletora di consorzi e di ispettorati. L'esempio più illuminante delle sconfinate prospettive di una gestione dell'economia al contrario, forse resta ancora quello dei forestali. Ma questa è una storia che merita d'essere raccontata per intero. Giuseppe Zaccaria Vibo Valentia. I «Lupi di Toscana» verso le operazioni in Aspromonte: ma nella Piana di Locri la mafia continua ad ammazzare