Risparmio: la grande paura
Risparmio: la grande paura I nostri soldi di Mario Salvatorelli Risparmio: la grande paura É «Nel luglio '87 abbiamo investilo tulio, 145 milioni — il ricavato di due alloggi — in un fondo obbligazionario (così ci è stato definito), pagando un "ingresso" di 4 milioni e 500 mila lire». Interrompo un attimo la lettura di quanto mi scrivono le sorelle A. e R. di Torre Pellicc (Torino), per osservare che smentirci la diversificazione degli impieghi, che da anni vado predicando ai risparmiatori, se non criticassi questa decisione di puntare «tutto ciò che si ha» su un'unica attività finanziaria, in questo caso un unico fondo, peraltro un leader nel suo settore, per entità della raccolta c livello del suo azionista di maggioranza. Ma proseguiamo nella lettura: «Nel marzo di quest'anno ci è stato recapitato un assegno di 10 milioni e 270 mila lire. Erano passati 7 mesi e ci siamo accontentate». Nuova interruzione per soffermarci sulle parole «ci siamo accontentate». Lo credo bene. L'assegno ricevuto, se costituiva veramente il frutto di 140 milioni e mezzo (l'investimento al netto delle spese di sottoscrizione), in soli sette mesi, corrisponderebbe a un interesse annuo del 12.60 per cento. Di questi tempi, non è poco. Certamente più di quanto avrebbero reso i Bot, che le sorelle A. c R. rimpiangono. Infatti, esse scrivono: «leggiamo su La Stampa del 3 settembre che i fondi obbligazionari sono mII'8 per cento (annuo, n.d.r.), e ri domandiamo se non era più intelligente investire tutto in Bot. Se non altro il nostro capitale non sarebbe stato decurtato "dall'ingresso", una cifra piuttosto alta per gestire un patrimonio così piccolo, e il reddito sarebbe stato più alto». Devo, ancora una volta, puntualizzare: il cosiddetto «ingresso» non appare «piuttosto alto», perché corrisponde al 3,25 per cento, livello medio di spese di sottoscrizione per i fondi. Detto questo, però, e tenuto conto anche di quello cho ha pubblicato La Stampa (come gli altri giornali), sui rendimenti nominali medi dei fondi comuni, calcolati sulle loro performances nei primi otto mesi di quest'anno (che non è stato un periodo negativo né per essi né per la Borsa), ritornerei sull'opportunità di diversificare il proprio risparmio. Le due sorelle di Torre Pellicc, molto cortesemente, mi eleggono a loro amico, e come tale mi chiedono un consiglio. Suggerirei loro, pertanto, di mantenere sul Fondo in questione una quarantina di milioni, anche per diluire nel tempo la spesa di sottoscrizione. Riscattati gli altri 100 milioni, ne investirei una trentina nel Fondo azionario che ha gli stessi azionisti e la stessa società di gestione del Fondo obbligazionario in questione, e gli altri 70 milioni in Bot, in Cct c in Btp, in parti eguali. In ogni caso, care signore, si tratta di avere qualche punto in più, o in meno, di rendimento, e non è proprio il caso di avere quella «grande paura» che, nella vostra lettera, confessate di avere. Noi eia banca La signora Rita Paganelli mi scrive, da Firenze, che si sente «sciocca e vittima di un sopruso», perché, avendo creduto nel 1978 di chiudere un conto corrente presso una banca di Firenze, sul quale riteneva di aver lasciato solo 3000 (tremila) lire, dopo aver girovagato per lavoro nel Nord d'Italia ed essere tornata, infine, a Firenze, nell'aprile di quest'anno si è vista recapitare un'ingiunzione di pagamento, da parte dell'ufficio legale di quella banca, per ben 1 milione 450 mila lire. Motivo: uno «scoperto» di 71.000 lire, verificatosi in quel conto corrente del 1978, più le spese per la tenuta del conto, che non risultava mai chiuso. Conclude la lettera: «Siamo arrivati a una transazione per la metà della cifra (che ho dovuto versare). Ma trovo ingiusta questa storia e vorrei sentire il suo parere: dovevo pagare così tanto?». Mi sembrano opportune due precisazioni: la lettrice ha disposto «soltanto oralmente» la chiusura del conto corrente del 1978; inoltre, non ha lasciato a quella banca il suo nuovo indirizzo. A rigore, quindi, siccome «verbo volani, scripta manenl», e siccome la titolare del conto era volata, con le parole, senza lasciare tracce, la banca era nel suo diritto a considerare aperti il conto e lo «scoperto». In pratica, evidentemente la banca aveva calcato la mano sugli interessi, per essa attivi, passivi per la cliente, tanto da superare, sia pure al lordo di «tenuta conto età», il 32 per cento annuo. E lo dimostra anche il fatto che si è «accontentata» della metà della cifra inizialmente richiesta, e pur sempre pari a dieci volte il vecchi^ «scoperto». Comunque, siamo di fronte a uno dei tanti esempi di «opacità» nei rapporti tra noi e le banche, dai quali risulta la necessità di quella «trasparenza», che è tanto auspicata c poco praticata da tutti. .1
Persone citate: Mario Salvatorelli, Rita Paganelli, Torre Pellicc
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